A Torino Carla – 35 anni, traduttrice, madre dei piccoli Gianni e Ilaria – è moglie ignara e felice dell’ingegnere Mario che una sera, improvvisamente, la lascia e se ne va a stare con una donna di dieci anni più giovane di lei. Disperazione, depressione, disgregazione, finché con l’aiuto di un vicino di casa riapre gli occhi. È il caso raro di un film sbagliato, dissonante, goffo, al servizio di un’attrice che si “butta fuori” con tale angosciata intensità da dare a tratti l’impressione di stare interpretando un proprio dramma personale. Fischiato a Venezia 2005 dov’era in concorso, è il frutto di una contraddizione difficile da analizzare se non per indizi esterni. Come se Faenza, innamorato perso del romanzo (2002) di Elena Ferrante, difficile da adattare perché a focalizzazione interna, avesse fatto d’impulso una duplice scommessa, con sé stesso e col pubblico, ma si fosse poi trovato a mal partito. Non a caso la sceneggiatura è firmata da lui e da 7 collaboratori fra cui 3 donne. Musiche di Goran Bregovic con la canzone del titolo scritta e interpretata da Carmen Consoli.
Dal romanzo (1966) di Bernard Malamud sceneggiato da Dalton Trumbo. Nella Russia del 1911, un giovane artigiano ebreo è ingiustamente accusato di stupro dalla figlia del suo padrone che lui aveva respinto. Il giudice istruttore a lui favorevole viene assassinato. Interviene un onesto funzionario. Un ottimo Bates rende ancora più efficace la denuncia contro l’antisemitismo e il razzismo del romanzo, tradotta da Frankenheimer in immagini e atmosfere con grande efficacia. La M-G-M ridusse il film da 150 a 132 minuti.
Toshio assume Yasaka, appena uscito dal carcere, nella sua piccola officina. Convivendo con Toshio e la sua famiglia, Yasaka si fa strada a poco a poco nelle simpatie della piccola Hotaru e la aiuta a imparare a suonare l’harmonium. Dopo qualche tempo Toshio comincia a sospettare che ci sia una complicità tra sua moglie Akie e Yasaka, mentre quest’ultimo impercettibilmente rivela di serbare del rancore nei confronti di Toshio, legato a misteriosi eventi del passato. L’instabile equilibrio è destinato ben presto a crollare.
Claude va a New York per arruolarsi nei Marines che vanno in Vietnam. Nel Central Park fa amicizia con una combriccola di ragazzi e trascorre con loro i due giorni che lo separano dalla partenza. Tra di essi c’è Sheila, della quale Claude s’innamora. Per consentire a Claude di rivederla, George organizza un’incursione a casa di certa gente, dove appunto si trova la ragazza. Finiscono tutti in gattabuia, ma per poco. Poi Claude parte per il campo-addestramento. George lo raggiunge al campo con la ragazza e si sostituisce all’amico per permettergli di stare con la fanciulla. Andrà a finire che sarà George a partire per il Vietnam. Trasposizione cinematografica della nota commedia musicale messa in scena per la prima volta nel 1967.
La solita banda di Formula 1 (i piloti e le loro donne, i tecnici, i dirigenti delle squadre) attraverso 6 gran premi: Montecarlo, Clermont Ferrand, Belgio, Olanda, Inghilterra fino a Monza. Ciascuno è filmato in modo diverso. 1° film sulle corse d’auto (fotografia in 70 mm SuperPanavision di Lionel Lindon) girato senza trasporto e con il ricorso allo split-screen (montaggio nel quadro frazionato in caselle, cercando la contemporaneità o il contrasto). Frankenheimer è un appassionato delle quattro ruote, e si vede, ma il copione di Robert Alan Arthur è una prolissa passerella di stereotipi senza sugo e di situazioni già viste. Il personaggio di Bedford è ispirato a Stirling Moss. 3 Oscar: montaggio, suono, effetti visivi. L’alta qualità tecnica accentua quella bassa del resto. 2 film in uno e stanno male insieme.
Ray Ruby è il titolare di un club di lap dance denominato «Paradise» in downtown Manhattan. Lo coadiuva l’amministratore Jay mentre il silente fratello Johnny è colui che finanzia l’impresa. Il problema è dato dal fatto che il fallimento è alle porte e l’anziana proprietaria dell’immobile non sembra più contenibile. Si precipita nel locale in piena attività reclamando i mesi di affitto non percepiti. Se aggiungiamo che Johnny comunica a Ray che non ha più intenzione di dargli un dollaro e che le ballerine sono intenzionate a tenersi addosso i vestiti in una sorta di sciopero dello strip tease, si può facilmente indovinare quale sia il clima che domina nel locale. Diventa indispensabile trovare una soluzione. Dopo il complesso e controverso Mary, Ferrara torna a circondarsi di attori amici (Dafoe, Modine, Argento) per raccontarci un divertissement affollato e claustrofobico. Il Paradise diventa così un luogo al contempo vicino e distante dal lontano (nel tempo) New Rose Hotel. Distante perché là i personaggi erano poco numerosi. Vicino perché torna di nuovo a essere ampia la confusione sotto il cielo ferrariano. Come nell’altmaniano Radio America ci viene raccontato il rischio di chiusura di un luogo d’intrattenimento. Ovviamente quello di Abel non può essere altro che un paradiso di nome per un inferno di fatto, dato non tanto dagli strip tease (assolutamente vietato toccare le ragazze), quanto dal tono da commedia in nero (quasi sontuosa sul piano fotografico). Il Paradise è una babele di suoni, rumori e attrazioni da cui sembrano autoescludersi uomini e donne come esseri umani. Sono tutti impegnati nei loro ruoli da commedia. La commedia della vita? Se pensiamo al Ferrara dei film migliori dobbiamo dire di sì. Tre stelle alla carriera
Uno speaker motivazionale che parla ad una folla di disoccupati e senzatetto, uno scienziato russo che costruisce una macchina del tempo nel suo appartamento e un gruppetto di amici avventurosi che si imbatte in un villaggio sperduto della campagna polacca. Cosa accomuna questi personaggi? La ricerca, non sempre consapevole, della quarta dimensione, stato esistenziale nel quale il dolore viene accettato e la gioia ha il dolce sapore dello zucchero filato. Alla regia dei tre episodi di The Fourth Dimension ci sono due nomi importanti del panorama cinematografico internazionale: Aleksei Fedorchenko (The Lotus Community Workshop) e Harmony Korine (Chronoeye). Al loro fianco si impone anche il più giovane Jan Kwiecinski (Fawns). Tutti e tre cercano, con un’originale e ammirevole voglia di sperimentare, di superare i limiti della narrazione classica, riflettendo su una dimensione spazio-temporale, solo apparentemente, inesistente. La quarta dimensione, da sempre oggetto di indagine da parte del mondo scientifico, ha rappresentato, anche per il cinema, una corposa fonte di ispirazione (l’eccentrico Doc della saga di Ritorno al futuro invitava il suo giovane Marty a “pensare quadrimensionalmente”). Il tempo, nella sua indefinibilità, lascia spazio a riflessioni filosofiche su ciò che si può toccare e cogliere e ciò che la mente umana fa fatica a raggiungere. Nel primo episodio (il più riuscito dal punto di vista visivo), che vede un trascurato Val Kilmer, in calzoncini e sgualcita camicia colorata, interpretare un maestro motivazionale, la narrazione non segue il filo cronologico dello scorrere del tempo. I ricordi si intrecciano con il presente, mentre sullo sfondo si sente una musica elettronica che dà ritmo e senso poetico a una vicenda intrisa di uno slancio verso il trascendentale. La sua contraddizione è quella di cercare di trascinare gli altri in una dimensione migliore e poi, a meeting concluso, perdersi a ingozzarsi di snack, per poi correre senza meta in bicicletta e sprofondare in un divano ad uccidere in un videogioco virtuale i “freak”, ovvero gli strani, gli stessi che aveva incontrato prima e che aveva trattato come pazienti in cerca di cura. I ragazzi di Fawns invece sono un gruppo affiatato che si immerge in un luogo di desolazione e lì trova la capacità di andare oltre alle cose solide del mondo. Lo scienziato del secondo episodio invece che, rinchiuso nella sua stanzetta, cerca di fuggire altrove (con la mente), mostra i suoi limiti umani nel momento in cui, con metodo rigoroso e fermo, intraprende il suo viaggio verso la quarta dimensione. Non si rende conto di essere troppo lontano da tutti e di aver perso, forse per sempre, un contatto con gli altri esseri umani.
Film introvabile che ho scovato su sito russo, purtroppo non esistono subita. Ho tradotto in italiano i subeng con google ma in alcune parti inspiegabilmente sono rimasti in eng. Il file è in ita ma quando vado a ripparlo rimangono in eng. La maggior parte del film ha subita comunque.
Radiografia collettiva della Germania nell’autunno 1977 dopo il sequestro e l’uccisione dell’industriale Hans-Martin Schleyer; il dirottamento di un Boeing della Lufthansa a Mogadiscio con l’intervento di reparti specializzati che liberano gli ostaggi; la morte, nel carcere di Stammheim, dei terroristi Andreas Baader, Gudrun Esslin, Jan Carl Raspe e Ulrike Meinhof. Realizzato a ridosso della cronaca e già pronto nel febbraio 1978, mescola spettacolo e ideologia, analisi critica e indignazione civile, finzione e documentario. I racconti simbolici o metaforici si alternano con le testimonianze di taglio documentario. Per i temi che affronta – terrorismo, involuzione dello stato di diritto, crisi della sinistra, comportamento dell’opinione pubblica – riguarda anche gli italiani. Mandato in onda su RAI2 nel 1980.
Nei primi anni ’30, ridotta in miseria dalle tempeste di sabbia e da rapaci proprietari terrieri, una famiglia di agricoltori dell’Oklahoma si mette in viaggio con un camion verso la fertile California.Un classico del cinema sociale, tratto da un romanzo (1939) di John Steinbeck. Un poema di solenne pietà, un gran capolavoro dei film su strada. Considerato politicamente un conservatore, Ford diresse uno dei film più progressisti mai fatti a Hollywood anche perché riuscì a far coincidere il tema della famiglia, a lui caro, con quello della gente: alla fine i Joad entrano a far parte della famiglia dell’uomo. Lo sceneggiatore Nunnally Johnson modificò, su indicazione del produttore D. Zanuck (che girò personalmente il monologo di mamma Joad), il finale senza speranza di Steinbeck, in linea con l’ottimismo del New Deal. Straordinario bianconero di Gregg Toland (che, come disse Ford, non aveva nulla di bello da fotografare). Oscar per la regia e la Darwell. Sdoganato in Italia solo nel 1951. Vergognosamente classificato dal Centro Cattolico “adulti con riserva” perché pessimista.
Il primo episodio, L’uomo dai cinque palloni, è diretto da Ferreri. Viene una strana idea a un industriale: fino a che punto si può soffiare in un palloncino senza farlo scoppiare? Il secondo, L’ora di punta, è tratto da un atto unico dello stesso Eduardo. Nell’episodio diretto da Salce, La moglie bionda, un impiegato di banca tenta di vendere la moglie bella.
Alla vigilia delle nozze un industriale del cioccolato è ossessionato dall’esigenza di verificare scientificamente quale sia il punto di rottura dei palloncini pubblicitari. Intitolato originariamente L’uomo dei cinque palloni , il film fu ridotto dal produttore Carlo Ponti a un episodio di mezz’ora del film Oggi, domani e dopodomani (1965) e uscì nella sua versione integrale solo in Francia, nel 1969, col titolo Break-up . Con lo stesso titolo, e arricchito di 3 nuove sequenze (una delle quali a colori), il film fu presentato nel 1973 alle Giornate del cinema italiano e finalmente distribuito (sia pur in maniera sporadica) nel 1979. Sarcastico apologo sulla solitudine e l’alienazione nella società moderna, è un film di impianto antinarrativo e sincopato che anticipa diversi temi del Ferreri successivo tra cui quello dell’afasia nata dall’orrore del sociale.
Un utente mi segnala un mio errore: Il film “L’uomo dei cinque palloni” o “Break up”, che hai caricato oggi, in realtà è “Ieri, oggi, dopodomani”, un film in tre parti che contiene come primo l’episodio “L’uomo dei cinque palloni”, ma che non è il film vero e proprio. Ho letto che il produttore, durante le riprese, non era sicuro del film e lo integrò in “Ieri, oggi, dopodomani”, insieme con altre due parti, così come si vede nel file .avi che hai caricato. Comunque il regista volle portare a termine ugualmente la sua opera, che poi raggiunse le sale cinematografiche con il doppio titolo di “L’uomo dei cinque palloni” o “Break up”, dalla durata di 85′.
Picchiarsi per stare meglio: questo l’assunto del film. Dopo il successo, in parte inaspettato, di Seven, Fincher ripercorre e perfeziona la violenza. Pitt è semplicemente il diavolo: forte, astuto, bello e violento. Norton ne rimane sedotto. Nota di costume sulla pratica di scaricamento delle tensioni con scarico di pugni. Machismo imperante. Suggestioni da palestra di pugilato. Ideologia atta a suscitare polemiche. Ben diretto e ben interpretato.
Dalla commedia di Mart Crowely, adattata dall’autore: otto giovani gay della borghesia intellettuale di New York e un ospite casuale, che si dichiara eterosessuale, partecipano a una festa di compleanno che si trasforma in una velenosa seduta di analisi terapeutica collettiva e in un feroce gioco al massacro. Interpretato dagli stessi attori che portarono la commedia al successo di Broadway, fu il 1° film di Hollywood sull’omosessualità. Girato da Friedkin con una mobilità della cinepresa che sfiora il virtuosismo, tributario di un certo sperimentalismo di marca europea con risvolti di un surrealismo che rasenta talvolta la truculenza, il film ebbe un limitato successo di scandalo, non privo di polemiche contro la sua presunta ottica troppo negativa sugli omosessuali e la loro infelicità.
Terzo lungometraggio per Marco Ferreri e ultimo prima di approdare in Italia. Tratto da un racconto di Rafael Azcona il film narra la storia di un uomo anziano che viene messo da parte dalla sua famiglia di estrazione piccolo-borghese e che quindi cerca conforto nell’amicizia con un paralitico.
Qui trovate i sottotitoli sia ita che eng. Purtroppo non sono sincronizzati e io non ho tempo di farlo
Da alcuni racconti di Frank J. Wilstack e da Prince of Pistoleers di Courtney Ryley Cooper e Grover Jones. La storia della colonizzazione del West in 4 episodi, dal 1830 al 1890: i primi 2 (“Rivers”, “Plains”) e l’ultimo (“Outlaws”) hanno la regia di H. Hathaway, l’altro (“Railroad”), che vanta una spettacolare carica di bisonti, è firmato da Marshall. C’è anche un interludio diretto da J. Ford con la storica battaglia di Shiloh, magnificamente raccontata di scorcio, e un breve dialogo notturno tra i generali nordisti Sherman (J. Wayne) e Grant (H. Morgan). Girato in Cinerama e trasferito su Cinemascope, è un western miliardario All Star tradizionale e spesso convenzionale della M-G-M. Pur carica di molti debiti, la sceneggiatura di James R. Webb ebbe l’Oscar, insieme al montaggio e al suono. Fotografia di prim’ordine di W. Daniels, M. Krasner, C. Lang Jr. e J. La Shelle.
Dal romanzo (1971) di William Peter Blatty: a Georgetown Regan MacNeil, figlia dodicenne di un’attrice divorziata, è posseduta dal demonio. Il giovane padre Karras e un anziano sacerdote esperto in esorcismi tentano di salvarla. Potente, discusso film dell’orrore per adulti che ebbe, oltre a un immenso successo, grande influenza sugli sviluppi del genere. La critica ne denunciò generalmente la dimensione truculenta, l’uso e l’abuso degli effetti speciali (di Dick Smith e Rick Baker: efficaci e innovatori), la frequente stupidità della sceneggiatura (peraltro premiata con 1 Oscar a W.P. Blatty e un altro per il suono), ma c’è un punto indiscutibile: è un film che mette paura. E un fenomeno interessante: non si rimane soltanto spaventati dalle mostruose metamorfosi della bambina, ma si simpatizza, quasi ci si identifica con lei. La voce italiana di L. Blair è di Laura Betti.
I subita in Dominion sono stati tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
Un film di Terence Fisher. Con Peter Cushing, Melissa Stribling, Michael Gough, Christopher Lee Titolo originale Dracula. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 82′ min. – Gran Bretagna 1958. MYMONETRO Dracula il vampiro valutazione media: 3,83 su 10 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Dal romanzo (1897) di Bram Stoker: Jonathan Harker e la sua fidanzata Lucy sono stati trasformati in vampiri dal conte Dracula. Il prof. Van Helsing scopre la terribile identità di Dracula e _ con l’aiuto di Arthur Holmwood, fratello di Lucy _ lo distrugge. Con La maschera di Frankenstein, è il prototipo della società britannica Hammer che influenza il cinema orrorifico degli anni ’60, è il film che definisce l’aspetto moderno di Dracula (compresi i canini, invenzione di Fisher) con la sua inquietante dimensione di erotismo perverso, reso benissimo da Lee che pure è presente sullo schermo soltanto 9 minuti, resi intensamente suggestivi dal montaggio creativo e dalla musica di James Bernard. Pur con qualche variazione, la sceneggiatura di Jimmy Sangster è fedele al romanzo di Stoker e al suo spirito. Titolo in USA Horror of Dracula.
Massimo è il delfino e il “figlio putativo” di Manfredi, celebre architetto della Torino bene. Francesca è la vera figlia del luminare, anche lei architetto di talento: ma con grande disappunto del padre la donna ha deciso di abbandonare la professione e trasferirsi in Francia con un marito che, secondo Manfredi, non vale un centesimo di quello che vale lei. Quando Francesca torna a Torino per fare visita al padre, Manfredi le affida l’incarico di portare a termine la ristrutturazione di una magnifica villa alle porte della città, affiancando Massimo nell’impresa. Il celebre architetto non sa (o forse sì) che fra Massimo e Francesca nascerà una forte attrazione, dovuta anche alle similitudini fra i due caratteri: entrambi introversi e timorosi di abbandonarsi alla vita e alle sue sorprese.
Il barone Frankenstein prosegue i suoi esperimenti sul cervello umano. Per procurarsi la “materia prima” non esita a uccidere e a servirsi, col ricatto, del giovane direttore di un manicomio. Maestro dell’horror, Fisher ha resuscitato i vecchi mostri (Dracula, Frankenstein, l’Uomo Lupo, Jekyll) rinnovandoli con il colore. Il suo humour ha fatto il resto. Divertente. È il suo 4° Frankenstein.