Un deputato inglese è messo sotto accusa in parlamento e costretto a dimettersi. Tutti lo credono una spia del Kgb, ma un giornalista indaga e scopre che è stato tolto di mezzo perché al corrente di un disastro tipo Chernobyl (avvenuto in una base Nato in Inghilterra). Il giornalista e la segretaria del deputato scoprono le prove del pasticcio, ma anche loro vengono messi a tacere. Solido film civile, recitato molto bene da tutti, soprattutto da Denholm Elliott.
Roma, notte. Adele passeggia col fratello fuori da Castel Sant’Angelo; i due incontrano una donna sfigurata in vestiti d’epoca, che si avvicina a lei e si strappa letteralmente la testa dal corpo. Titoli di testa. Dopo essere finita in ospedale, Adele per capirci qualcosa si rivolge a Dylan Dog e al suo sarcastico assistente Groucho. L’ombroso “indagatore dell’incubo” si appassiona al caso, e con l’aiuto del proprio «quinto senso e mezzo», di una medium (Milena Vukotic, in una citazione elegante di Bette Davis), un collezionista (Massimo Bonetti irriconoscibile in vesti da Kinski/Nosferatu) e del “vecchio” ispettore Bloch (Alessandro Haber) risolve l’enigma. In una sospensione affascinante tra illusione e realtà, spiritismo e animismo, porte alchemiche, interni raffinati e bui (ma fotografati benissimo, da Matteo Bruno), tomi antichi, vicoli bagnati, soggettive alterate da sostanze psicotrope come la datura stramonium. Vietato aggiungere altro, e non c’è molto da dire: diretto da Claudio Di Biagio (creatore della web serie Freaks!) e scritto da Luca Vecchi (videomaker dei The Pills, anche interprete molto spiritoso di Groucho), Vittima degli eventi si rifà alla tradizione dell’horror italiano più eccessivo (da Bava ad Argento), ha scrittura credibile e ironica, scenografia e costumi impeccabili, cura dei dettagli, effetti speciali convincenti, insomma tutto ciò che vorremmo vedere e che non troviamo nel cinema e nella serialità tv italiani di oggi. Sarà forse perché la committenza è quella, via crowdfunding, della base di appassionati del fumetto bonelliano – e non di un circoletto di produttori che investono solo nella commedia corale quando non su “giovani” idioti o ruff(in)iani – ma questo è un prodotto che rispetta il proprio pubblico, sfrutta con intelligenza il potenziale gotico e orrorifico del set capitolino e lascia sospesi in un finale magrittiano di rara potenza. Il protagonista Valerio Di Benedetto è (per ora) declinato forse in direzione troppo virile e romanesca (il confronto con l’understatement di Rupert Everett è inevitabile), ma è l’unica osservazione da fare a una narrazione che cattura e intriga. Non è necessario infatti essere fan di Dylan Dog (anzi, forse Vittima degli eventi incuriosirà nuovi lettori) per apprezzare l’ottimo livello produttivo di questo strano oggetto filmico – pilot per una serie? Bozza di film pronto a diventare saga, in cerca di investitori? Mera dimostrazione che qui da noi c’è qualcuno che sa fare meglio di Kevin Munroe di Dylan Dog? Non escludiamo nessuna opzione, anche se questa del minutaggio medio ci sembra la formula migliore. Vittima degli eventi, sorprendente e godibilissimo, dal 2 novembre è visibile sul canale YT dei The Jackal. Citando l’acuto inside joke lanciato da Dylan ad Adele: «anche se ci ha trovato in Internet non vuol dire che non siamo dei professionisti».
Harry sta per accomiatarsi dalla vita, che ritiene un fallimento, gettandosi nell’Hudson, a New York, ma viene salvato dal vecchio amico Milt che lo fa innamorare di sua moglie Ellen della quale vuole sbarazzarsi per sposare Linda. Il piano riesce, ma le nuove coppie non sono felici; alla fine Milt torna con Ellen, Harry finisce con Linda.
Marco è un trentenne in cura da uno psichiatra perchè affetto da attacchi d’ira improvvisi. Durante una seduta, riceve l’invito di unirsi ad una gita marittima per persone affette da disturbi mentali. L’escursione si svolgerà nei mari della Sardegna, su una barca a vela chiamata Andarevia. Con lui ci sono Pablo, un anziano con problemi di comunicazione, Eva, affetta da amnesia a breve termine, Stefania, ossessiva-compulsiva, e Valerio, un giovane disturbato. Troveranno nella gita la possibilità di reinventare la propria vita, imparando a relazionarsi con il disagio altrui e trovando il proprio ruolo all’interno di questa piccola comunità. Un film che ridefinisce, lontano da termini di paragone, l’idea stessa di diversità.
Parigi, novembre e dicembre 1995. La città è sprofondata nel caos a causa di uno sciopero. Laure sta per andare a convivere a casa del fidanzato François, un medico. Mentre è imbottigliata nel traffico, decide di dare un passaggio ad un autostoppista. Tra i due, si scatena subito una forte attrazione: i due finiranno per passare la notte insieme.
Il cinema di Claire Denis ci ha abituato a sequenze incomprensibili e sceneggiature piene di sorprese. L’Intrus non sfugge a questa regola, e, anzi, mette molta carne al fuoco da far girare la testa anche ai critici più navigati. L’intruso del titolo è un cuore umano, cuore del quale ha bisogno Louis, uomo sulla sessantina affetto da problemi cardiaci. Louis vive sulle montagne innevate, ha una relazione con una donna più giovane di lui, e un figlio adulto da un precedente matrimonio. Un segreto profondo, però, lo affligge, incontrare un presunto figlio avuto con un tahitiana molti anni addietro. Raccontato destrutturalmente con personaggi introdotti e poi dimenticati nel corso della storia, il film della regista francese, è un percorso nel ricordo, in una vita a cui manca qualcosa, di un uomo con un cuore che non si muove. Il trapianto, necessario al protagonista, trascende, quindi, la fisicità per assurgere alla necessità di dare un significato alla propria esistenza. Dal gelo e dalle coltri innevate innevate della Svizzera, simbolo di un’emozionalità mai vissuta e irrisolta, al mare tahitiano, aperto e sconfinato, speranza di recuperare i valori più importanti, come un figlio mai conosciuto. Claire Denis descrive il cammino di Louis con un approccio troppo cerebrale, coinvolgente a tratti quanto irritante nell’inspiegabile finale, affascinando tutti coloro che vogliono trovare forzatamente significati nell’illeggibile e infastidendo chi dal cinema desidera emozioni.
Marco Silvestri, capitano di marina mercantile al lavoro su una petroliera, viene richiamato a Parigi con urgenza dalla sorella Sandra. L’azienda di famiglia è in bancarotta, suo marito si è suicidato, sua figlia è stata internata in un istituto psichiatrico. Secondo la giovane donna il responsabile di tutto è un potente uomo d’affari, Edouard Laporte. Deciso a trovare il punto debole del colpevole e vendicarsi, Marco si trasferisce nell’edificio in cui vive con suo figlio una donna legata a Laporte, Raphaëlle. Quello dei “bastardi” è un mondo pericoloso, dove chi è in cerca di vendetta perde presto il controllo, complice anche un’attrazione imprevista.
Nénette e Boni sono fratelli, separati dal divorzio dei genitori. La madre, che stravedeva per Boni, è morta. Ora lui fa il pizzaiolo a Marsiglia, vive in uno strano tugurio e non ha buoni rapporti con gli altri. Un bel giorno nel suo rifugio arriva la sorella Nénette, scappata dal collegio dove il padre l’ha piazzata. C’è un problema che i due devono risolvere, ma i loro rapporti non sono affatto facili.
Allo scopo di perfezionarsi nella professione di medico veterinario, il giovane David Kellum lascia lo Iowa dove è cresciuto e si trasferisce in città. Una sera si trova incidentalmente coinvolto in una rapina nel supermercato dove sta facendo degli acquisti e per evitare un omicidio è costretto a rivelare i suoi poteri mentali. Il filmato della tv a circuito chiuso che ha registrato le sue facoltà di scanner interessa molto Forrester, ufficiale di polizia, che ne informa il dr. Morse. Questi è uno scienziato che tenta di assumere il controllo degli scanner, li cattura con l’aiuto della polizia e li tiene segregati e drogati nel suo Istituto di Ricerche Neurologiche. Gli scopi di Morse non sono umanitari: la droga che somministra agli scanners non ha soltanto lo scopo di preservarli dalla follia in cui cadrebbero a causa dell’altrimenti incontrollabile e caotico flusso dei pensieri umani, ma crea in loro una dipendenza che li rende schiavi. Essi dovranno servire a convincere l’amministrazione cittadina ad eleggere Forrester quale nuovo capo della polizia e poi costituiranno l’invincibile braccio armato del folle poliziotto, che parla già in pubblico del “nuovo ordine” che si appresta ad instaurare. Inseguito da Drak, un potente e spietato scanner messogli alle calcagna da Forrester, David non riuscirà ad evitare che il sicario colpisca i suoi genitori adottivi, ma apprenderà in extremis di essere il figlio di Cameron Vale, (il protagonista del film di Cronenberg) e di avere una sorella. Riuniti, i due giovani dovranno usare i loro poteri mentali per opporsi al complotto ed impedire che la città cada sotto il dominio di Morse e Forrester. Pur avendo consentito a che questo primo sequel, ed i successivi, si riallacciassero alle tematiche del suo Scanners del 1981, David Cronenberg non ha voluto con essi alcun altro tipo di coinvolgimento diretto, evitando persino di rilasciare commenti ed esprimere opinioni sui film. Si tratta in effetti di pellicole che nulla hanno dei contenuti e dei simbolismi dell’opera del regista canadese, e che cercano consensi, se non il successo, attraverso dichiarate, esplicite parentele con il capostipite, del quale si limitano a riproporre gli aspetti e gli effetti più spettacolari. Gli altri sequel:Scanners III – The Takeover (1992)Scanner Cop (1993)Scanner Cop 2 (1994).
AEdith viene consegnata una grossa somma per conto della Croce Rossa. Perde i soldi speculando in borsa ed è costretta a chiederli ad Aka, uno strozzino di origine orientale. Finisce malissimo. Un melodramma diretto dal grande De Mille.
Il film racconta la vita di una povera disgraziata, dagli anni Trenta ai giorni nostri. Prima è costretta a fare la sguattera, poi rimane incinta, infine, negli ultimi anni di guerra, diventa ladra e truffatrice passando parecchi mesi in galera o in manicomio.
Un dongiovanni sposa un’americana molto ricca. Questa, stanca dei tradimenti del marito e dell’inutilità dei suoi tentativi di correggerlo, chiede il divorzio. Sarà il migliore amico dei due a farli riconciliare.
Esordio del francese Dumont in un film presentato a vari festival, fra cui Cannes. Storia di ragazzi e ragazze che vivono in una cittadina delle Fiandre. Uno vorrebbe amare senza pregiudizi, o convenzioni. Ma non si può. Basso budget e attori non professionisti.
Un ragazzo vive in ritiro tra le dune di Pas-de-Calais dove si nasconde un demone. Tra la Manica e la Costa d’Opale, nei pressi di un villaggio, vicino al fiume e alle paludi, risiede uno strano ragazzo che arranca, caccia di frodo e crea il fuoco. Assieme a una ragazza di campagna che si prende cura di lui e lo nutre, i due passano il tempo insieme nella grande distesa di dune attraversata da parte a parte dai boschi, per raccogliersi misteriosamente sulle sponde degli stagni mentre lotta contro il maligno, il giovane caccia il male dal piccolo villaggio e dai suoi abitanti.
Scioccata dalla foga mistica, eccessiva e cieca della novizia Hadewijch, la madre superiore decide di escluderla dal convento e di metterla alla porta e Hadewijch ritorna ad essere Céline, giovane parigina figlia di un diplomatico. Ma la sua passione per Dio, la sua rabbia e il suo incontro con Yassine e Nassir la portano, tra grazia e follia, ad intraprendere un percorso estremamente rischioso…
Le Fiandre. La campagna in cui vivono la giovane Barbe e Demester, un piccolo allevatore che ha con lei rapporti sessuali senza amore. Demester parte per il servizio militare in un paese del medioriente. Qui conoscerà la brutalità della guerra e la bestialità dello stupro. Vedrà morire alcuni dei suoi compagni e abbandonerà a se stesso quello che ha messo incinta Barbe che, nel frattempo, è affetta da disturbi psichici. Bruno Dumont torna ai suoi luoghi desolati persi nella campagna ma questa volta, bisogna riconoscerglielo, lo fa senza quella sufficienza e compiacimento pseudointellettualistici che avevano caratterizzato L’Humanité (caricato di premi immeritati a Cannes) e 29 Palms. È quasi un ritorno alle origini di La vie de Jesus questo affondare lo sguardo nel vuoto morale e materiale della campagna profonda in cui il sesso perde qualsiasi connotato di relazione fra esseri umani e dove il tempo scorre sempre uguale a se stesso mentre la mente giace in un cono d’ombra. Sarà, per assurdo, il conflitto armato raccontato senza false retoriche ad aprire (forse) una nuova prospettiva al protagonista maschile. Ancora una volta solo chi cade può risorgere.
Jesse è l’unico testimone dell’omicidio del suo amico Jonas, quindicenne come lui. Mentre elaborano faticosamente il lutto, i compagni del gruppo di BMX, così come gli adulti del quartiere, cercano in lui una risposta impossibile. Jesse, in questo modo, si ritrova ancora più isolato, alle prese con un peso insostenibile. L’esordio di Bas Devos è un film complesso e opaco, che tratta una materia difficile come la morte di un adolescente per mano di un altro ragazzo. Non c’è, dunque, nessuna evidenza in quest’opera, tutto è sentito, soggettivo, e ogni visione è sottoposta a un processo di problematizzazione. In principio le immagini sono rigorosamente filtrate, che si tratti di un monitor, di una vetrina o di una finestra: filtri non umani che si frappongono fra il soggetto che guarda e l’oggetto della sua visione (e raddoppiano con lo schermo cinematografico), come a voler ribadire tanto l’impossibilità di vedere bene dentro il mistero della vita quanto la dis-umanità di una morte come questa. Anche la luce e il colore seguono una non logica e si affacciano nel film come forze naturali e incontrollabili, ricacciando il cinema di Devos nella sua origine squisitamente ottica, dentro una genesi che non conosce ancora l’avvento del senso.
Ambientato nel sedicesimo secolo in Francia, il film è incentrato sulla storia di Michael Kohlhaas, un ricco mercante di cavalli, con una famiglia felice. Dopo aver subito un’ingiustizia, quest’uomo pio e onesto forma un esercito e inizia a mettere a ferro e fuoco le città, per ristabilire il suo diritto violato.
Browning, Montana, 1948. Jimmy Picard è un nativo americano che vive e lavora nel ranch della sorella. Reduce della Seconda Guerra Mondiale e traumatizzato dall’esperienza sul fronte europeo, Jimmy soffre disturbi inspiegabili: la vista si offusca, il cuore accelera, il respiro si fa corto. Preoccupata per le condizioni del fratello, paralizzato a terra da crisi frequenti, Gayle lo esorta a farsi visitare all’ospedale militare di Topeka, specializzato nelle patologie dei veterani. Esclusa la disfunzione di ordine neurologico, il corpo medico giudica il malessere di Jimmy imputabile a qualcosa di più profondo. Persuasi di non poter intervenire sul paziente, l’equipe chiede il parere e l’intervento di Georges Devereux, antropologo e psicanalista ungherese che studia la dimensione psicologica di culture altre da quella occidentale. Approdato in Kansans con una valigia piena di entusiasmo e competenza, Georges individuerà il disagio psicosociale di Jimmy, infilando un percorso terapeutico e amicale.
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