La sceneggiatura è ispirata al testo teatrale Pigmalione di George Bernard Shaw. Una incolta e rozza fioraia viene trasformata da uno studioso, in seguito alla scommessa con un amico, in una fanciulla raffinata e perfettamente a suo agio nei salotti dell’alta società. A esperimento concluso, la ragazza non sa tornare al vecchio lavoro e inoltre si è innamorata perdutamente del suo insegnante. Anche lui si renderà conto di amarla quando lei lo lascerà, per disperazione, e farà in modo di ritrovarla e tenerla per sempre con sé.
Un uomo nero (Englund) con un guanto munito di lame entra nei sogni dei ragazzi di una cittadina americana, e da lì può uccidere. È il film più famoso di Craven, che l’ha anche diretto, un vero caso nella storia dell’horror in bilico sullo splatter . Intessuto “di riferimenti simbolici alle paure dell’infanzia, alle difficoltà di crescere in comunità basate sull’ipocrisia, la falsità, l’odio […]. Il sogno americano è diventato (definitivamente) un incubo” (F. Cacchiari). 1° film del 21enne Depp.
Il film, basato su un fatto realmente accaduto, racconta la storia di una donna, Teresa, rimasta sola dopo l’arresto del marito da parte dei tedeschi, avvenuto nel ’44. Per vivere, gestisce un caffè in una cittadina francese. Ma un giorno, dopo sedici anni, il marito torna inaspettatamente a casa.
S’incontrano nel principale porto del Marocco nel 1941 poliziotti francesi, spie naziste, fuoriusciti antifascisti, avventurieri di rango, piccoli sciacalli. L’americano Rick Blaine, proprietario di un bar, aiuta Ilsa, la donna che amava (e ama ancora) e suo marito, perseguitato politico, a lasciare in aereo la città. Film mitico sul quale il tempo sembra non avere presa, oggetto di culto per le giovani generazioni di mezzo mondo, amalgama perfetto di toni, generi, archetipi e stereotipi dell’immaginario collettivo, memorabile galleria di personaggi grandi e piccoli. È la più sottile opera di propaganda antinazista realizzata durante la guerra e la più decisiva eccezione alla teoria del cinema d’autore. Ebbe 3 Oscar (film, regia, sceneggiatura). La sua fonte è Everybody Comes to Rick’s, testo teatrale di Murray Burnett e Joan Allison che non era mai stato messo in scena e che fu sceneggiato dai Julius J. (1909-2000) & Philip G. (1909-52) Epstein e Howard Koch. Uscito in Italia verso la fine del 1945 in una versione censurata nei dialoghi per opera di qualche funzionario, presumibilmente ex fascista: eliminati i riferimenti ai fascisti italiani e tolto il personaggio del capitano Tonelli che all’aeroporto fa il saluto romano. Circola in TV anche in edizione colorizzata.
Per raggiungere il playboy che il padre le impedisce di sposare, ricca ereditiera scappa di casa. Tutti la cercano. Sul pullman New York-Miami fa amicizia con un giornalista che, pur di assicurarsi lo scoop finale, s’impegna a non tradirla. Proseguono il viaggio, litigando, ma s’innamorano. Una storia semplice per gente semplice. Fu il primo film a vincere 5 Oscar maggiori (miglior film, regia, attore e attrice protagonisti, sceneggiatura: di Robert Riskin dal racconto Night Bus di Samuel Hopkins Adams) e il primo a usare autobus e motel come sfondo. Una perfetta miscela di umorismo e sentimento, condita di molti particolari gustosi e di piccole gag tra cui, famosa, quella dell’autostop dove lei insegna a lui quanto sia più efficace una bella gamba che un pollice. Rifatto in chiave musicale con Eve Knew Apples (1945) e con Autostop (1956)
2027. In un futuro non troppo distante, in cui il mondo non può più procreare, l’Inghilterra rimane unica zona franca, per non confrontarsi con le guerriglie urbane. Theo (Clive Owen), rapito da Julian (Julanne Moore), una donna attivista amata in passato, ha una grande responsabilità. Dovrà condurre salva una giovane donna fino a un santuario sul mare, e dare la possibilità al mondo di evitare l’estinzione. Sulla linea degli scrittori utopistici e futuristici, P.D.James ha scritto il romanzo da cui è tratto il film, in cui Cuaròn fin dalle prime sequenze ci illustra un mondo grigio, oppressivo, incolore, fra il pre-industriale (le costruzioni e i palazzi sembrano proprio quelli della “industrial revolution”), e il post-atomico, (per la scarsità di vegetazione). Londra appare come non cambiata, se non per i mercati ai bordi delle strade e gli autobus a due piani completamente scrostati dal tempo. In questo ambiente senza profondità si muovono i protagonisti. Ne sono una conferma gli stereotipi del multirazzialismo e del multilinguistico (quello che sarà non è per forza diverso da quello che è oggi). Nel panorama così definito, la macchina da presa segue Theo-Clive Owen in tutte le situazioni, come un inviato di guerra in una visione quasi documentaristico-soggettiva del futuro per acuire il senso di chiuso, di claustrofobia, e di mancanza di certezze. Ne è un esempio la guerriglia che, all’esterno della zona franca, appare come uno spaccato del conflitto jugoslavo, dove tutti sparano a tutti, e un proiettile vagante ha il potere di cambiare il personale futuro (la sequenza dei carrarmati che colpiscono una palazzina, è una scena di guerra impressionante). Per antitesi, la speranza di vita, rinascita di un “nuovo mondo”, è l’unica apertura del film all’ottimismo, in un percorso al buio, in cui il caso regna sulle esistenze di tutti. Children of Men è un film corale, è dell’umanità, (si propone raramente come singolo, per esempio nel caso dello scienziato Justice, Michael Caine, eremita per scelta ai bordi della società), perchè il futuro della terra non è dellindividuo singolo. È semplicemente globale.
In carcere Emile si sacrifica per l’amico Louis, aiutandolo a fuggire. Tempo dopo si ritrovano, il primo operaio e il secondo padrone, ma in difficoltà, nella stessa fabbrica che sta per essere automatizzata. Partono insieme a fare i vagabondi, liberi. Considerato un “classico” degli anni ’30, ma sopravvalutato anche nei suoi significati sociali che in Italia la censura fascista smorzò nel titolo. Oltre a quella delle banconote al vento, è famosa la breve sequenza della catena di montaggio che ispirò Chaplin per Tempi moderni (1936). Notevoli i contributi di Georges Auric (musiche) e Lazare Meerson (scenografie). La produttrice Tobis, controllata dai nazisti, fece causa alla United Artists per plagio, ma Clair si dissociò. Oggi appare molto datato, un po’ fiacco sul versante del comico irrealista, troppo cauto su quello satirico.
Al coraggioso guerriero Macbeth le streghe pronosticano un’imminente ascesa al trono. Ma quando il re premia il suo eroismo con un titolo nobiliare invece che con la corona, Macbeth decide di realizzare da sé la profezia e uccide il monarca, prendendone il posto. Ad alimentare la sua ambizione è la moglie, ma per entrambi sarà l’inizio di una discesa nella follia della quale sono stati gli artefici. The Tragedy of Macbeth annuncia fin dal titolo la tragedia in divenire, pronta a dispiegare le sue ali nefaste come i corvi che abitano questa ennesima trasposizione cinematografica dell’opera di Shakespeare, il primo dei quali è una strega avvolta su se stessa che lentamente si srotola in movimenti innaturali: è la straordinaria Kathryn Hunter, e nell’incipit è enucleata tutta la storia a seguire.
Joel Coen, al suo primo film senza il fratello Ethan, mette in scena un testo quintessenzialmente teatrale che ha per coprotagonista la moglie Frances McDormand nei panni della sulfurea Lady Macbeth.
Un greco paranoico, che gestisce un bar nel Texas, ha forti dubbi sulla fedeltà della moglie e ingaggia un detective. La signora, in effetti, se la spassa con uno dei dipendenti del locale e il marito tradito decide di farli uccidere entrambi dall’investigatore. Un giallo ingegnoso e un po’ folle, che preannuncia Arizona Junior, opera seconda dello stesso regista.
Per la Sicilia del ’53 con un autocarro, un tendone e una cinepresa Joe Morelli (Castellitto), sedicente inviato di una casa cinematografica romana, va in giro a fare provini (falsi) a pagamento, promettere fama e denaro,spacciare illusioni, alimentare speranze. Verrà duramente castigato. Nonostante le debolezze di sceneggiatura (scritta con Fabio Rinaudo), sono apprezzabili la direzione degli attori, il disegno dei personaggi minori (Trieste, Gullotta, Sperandeo), la sapienza concisa del narrare, le luci e il colore di Dante Spinotti, la forte sequenza dell’occupazione delle terre. Premio speciale della giuria a Venezia 1995 ex aequo con La commedia di Dio di Monteiro.
Sostituita versione con una che ho rippato direttamente da dvd originale
Galleria di personaggi che si incrociano nella Hollywood dei tempi nostri: una misteriosa ragazza deturpata nel volto e nel corpo dalle cicatrici di terribili ustioni, un affascinante autista che però è aspirante attore e sceneggiatore, un ragazzino protagonista di una mediocre serie TV molto popolare, figlio di uno psicologo, e una bellissima diva sul viale del tramonto all’inseguimento del ruolo agognato, figlia a sua volta di una nota attrice. Belli, ricchi, soli e infelici, usciti dalla penna di Bruce Wagner, autore di libri che illustrano con surreale e crudele humour l’inferno di un ambiente che conosce fin troppo bene. Non è un film di Cronenberg, è un film che Cronenberg ha diretto: seppur privo di giudizi moraleggianti e di facile ironia, manca dell’intensità, della forza che coinvolge, emoziona e atterrisce, riducendosi a essere “un melodramma a fosche tinte sessuali… un dramma sulle devastazioni inflitte e subite nella ricerca sfrenata del successo, una versione “nera” dell’ambiente caro a Sofia Coppola” (G. Molteni).
Presentato a Cannes 2002. Tratto dal romanzo di Patrick Mc Grath. Si racconta di un uomo molto malato – il termine esatto è schizofrenia paranoica – che, ospitato in un’orrenda pensione insieme ad altri relitti, ricorda la sua vita. Il nodo di tutto il disastro sembra risalire al padre, che abbandonata la madre si era messo con una puttana, ignorando completamente il figlio. La chiave psichica iniziale, cioè infantile, provoca deliri perenni al poveretto. Davvero una sorta di horror interno, perfettamente nelle corde del regista. Magnificamente servito dal protagonista Fiennes e da Miranda Richardson, che dà corpo e volto a entrambe le donne della tragedia.
La famiglia Lisbon, composta dai genitori e da cinque ragazze fra i 13 e i 17 anni, vive in una cittadina dell’Oregon. Le cinque sorelle sono tutte molte belle e affascinanti ed esercitano sui ragazzi del vicinato un fascino irresistibile. Tutto cambia quando la più giovane, Cecilia, si suicida buttandosi dalla finestra.
Si intreccia alla rievocazione di un tragico episodio storico, l’eccidio alle Fosse Ardeatine, una vicenda di fantasia imperniata sul furto di un prezioso quadro del Masaccio.
Lorenzo, gay spavaldo, Blu, disinibita provocatrice, e il bel tenebroso Antonio sono i 3 diversamente diversi di una III liceo di Udine. Bollati dai compagni come “il frocio”, “la troia” e “il ritardato”, fanno comunella e gli rendono pan per focaccia. Ma Lorenzo s’innamora di Antonio, che invece ama Blu, che però è fidanzata con un universitario. Cotroneo ha messo in immagini il suo romanzo omonimo del 2010, modificandolo nella sceneggiatura con l’aiuto di Monica Rametta. Ne è sortito un teen movie musicale e grottesco che ha il pregio di documentare e denunciare l’omofobia, il sessismo e il bullismo che allignano nelle scuole italiane, ma il difetto di abbandonarsi a un estetismo eclettico che accumula, senza amalgamarli, generi, riferimenti e stili eterogenei. La gagliarda e onnipresente colonna sonora include i Blondie, i New Order, Lady Gaga, Mika. Originali coreografie di Luca Tommassini, fotografia impeccabile di Luca Bigazzi.
Secondo film della trilogia di Fontainhas (il terzo è Juventude em marcha) e primo passo verso un cinema sempre meno estetizzante, che qui si immerge – camera e cuore – nelle pieghe dolorose della desolazione delle vite di Vanda e dei suoi vicini.
Terminator è un ciclo di film di fantascienza composto da sei pellicole, prodotte tra il 1984 e il 2019. Nella saga i Terminator sono cyborg assassini o semplici robot, ideati da intelligenze artificiali e supercomputer divenuti autocoscienti ed inviati nel passato per distruggere la resistenza umana.
Nel 1984 venne distribuito il primo film Terminator (ambientato nello stesso anno), secondo film commerciale diretto da James Cameron. Nonostante il basso budget divenne ben presto un film di notevole successo e contribuì anche alle definitive consacrazioni al grande pubblico di James Cameron e Arnold Schwarzenegger, quest’ultimo attore già noto per aver interpretato due anni prima Conan il barbaro nell’omonimo film.
Nelle intenzioni di Cameron, che era l’inventore del cyborg, la storia si sarebbe dovuta concludere con il T-800 che si distruggeva nella vasca di acciaio fuso. I produttori invece erano intenzionati a far tornare il T-800 ancora una volta in azione, a costo di affidare la direzione del film a un altro regista. Così Schwarzenegger, prima di candidarsi come governatore della California, tornò ad indossarne i panni nel 2003, con Terminator 3 – Le macchine ribelli (ambientato nel 2004), mentre la regia passò da Cameron a Jonathan Mostow. Al contrario di ciò che molti si sarebbero potuti aspettare, Cameron apprezzò pubblicamente il risultato ottenuto da Mostow.
Finalmente un film che tratta del problema, anche se non è la sola chiave di lettura, degli “autistici” fuori dai canoni consueti. Sweetie è una ragazza che deve ancora crescere intellettivamente, è bruttina e grassa. Ha una sorella convinta di aver trovato l’uomo della sua vita e due genitori anziani che vogliono separarsi. La ragazza è anche di indole cattiva e la tragedia è dietro l’angolo. Volutamente sgradevole il film ha diviso la critica internazionale di Cannes ed è stato ingiustamente ignorato dalla critica italiana. Opera d’esordio, dopo alcuni cortometraggi molto originali, della Campion, che poi è stata giustamente scoperta da tutti al Festival di Venezia del 1990 con Un angelo alla mia tavola.
Al Somafree Institute di Toronto, clinica psichiatrica d’avanguardia, il dottor Raglan sperimenta sui pazienti la “psicoplasmica”, una terapia innovativa tesa alla rimozione delle turbe aggressive mediante la loro piena esternazione. La cura non rifugge da metodi di coercizione psicologica e fisica, e Frank Carveth, ex marito di Nola che è in osservazione da Raglan, teme abbia per conseguenza una involontaria violenza riflessa sulla figlioletta Candy. Riuscito vano il tentativo di sottrarre la moglie al medico, nei confronti del quale ella è in una evidente posizione di dipendenza psicologica, Frank assiste impotente alle inspiegabili uccisioni della suocera Juliana e di Ruth, maestra della bambina. Responsabili dei delitti sono piccoli, spaventosi umanoidi nati per partenogenesi da Nola durante l’ormai incontrollabile materializzazione delle sue rabbie più riposte. Scoperta l’orribile verità, Frank strangola la moglie. L’incubo sembra finalmente terminato, ma sul braccio della piccola Candy si intravvedono due strane, sospette escrescenze… Le scenografie opprimenti, gli arredi essenziali, le venature dei legni, le luci impostate su dense tonalità rossastre creano un singolare parallelismo tra architettura, oggetti e corpo umano, tra istinto primordiale e logica scientifica. Il dialogo e le situazioni in cui si muovono i personaggi alludono continuamente ad un interscambio di personalità, ad un reciproco riversarsi addosso responsabilità, gelosie ed ansie esistenziali. La clinica del dottor Raglan è una sorta di palcoscenico nel quale i pazienti sono protagonisti e spettatori, tra psicoanalisi e psicodramma. Una specie di rappresentazione dentro lo schermo che sviluppa puntuali riferimenti a classici del cinema e della letteratura fantastica: l”Id” che prende corpo, e il nome della scuola di Candy – la Krell School – rimandano al Pianeta proibito; il cappottino rosso dei nanerottoli assassini, alle agghiaccianti visioni di morte di A Venezia … un dicembre rosso shocking; i nomi Frank e Juliana citano i personaggi della “Svastica sul sole” di Philip K. Dick; il tema della minaccia proveniente dal bambino mostro e il finale aperto si riallacciano alla tradizione fantascientifica inglese, da Il villaggio dei dannati in poi.Cronenberg ha definito il film scherzosamente come la sua personale versione di Kramer contro Kramer. Reintitolato, in una edizione video italiana, The Brood – La setta.
Chuck Barris è uno dei piu’ noti creatori di programmi e conduttori che la televisione americana ricordi. Negli anni Sessanta era al vertice degli ascolti. In una sua recente biografia ha dichiarato di esser stato anche una spia della Cia e di avere ucciso 33 persone. E’ da questa doppia personalita’ che George Clooney prende il soggetto per il suo primo film da regista. Barris si carica di omicidi di qui ovviamente non c’è prova e questo spinge Clooney a mantenere un doppio registro: quanto e’ “reale” e quanto sta invece nella mente mitomane dell’uomo di spettacolo? Mescolando i generi e le memorie (l’immagine che gli americani avevano del resto del mondo negli anni Sessanta) cinematografiche e non Clooney diverte ma al contempo fa riflettere sul formarsi di una personalita’ dissociata in un periodo storico in cui il nemico e’ lontano e misterioso come fu il tempo della guerra fredda. Da non perdere la scena dello strangolamento in auto con gli sci ai piedi. E’ nato un nuovo regista consapevole dei propri mezzi. Ha forse bisogno di frenare un po’ l’eccesso di idee ma e’ gia’ sulla buona strada.
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