All’inizio del dramma Tom, che è sia il protagonista che il narratore della storia, si rivolge direttamente al pubblico (cosa che farà spesso nel corso della recita) spiegando che si tratta di un suo ricordo della madre Amanda e la sorella Laura. Siamo alla fine degli anni ’30 del XX secolo. Amanda ha cresciuto i suoi due figli da sola, dopo che suo marito li ha abbandonati. La donna, volitiva ed energica, viene dagli Stati del Sud, dove era ammirata per la sua bellezza, e prova ancora rimorso per aver lasciato tutto e aver seguito suo marito. Il suo rapporto con Tom e Laura oscilla tra il tenero e l’eccessivo; in particolare la donna si preoccupa del futuro di Laura, resa zoppa da una malattia e pertanto introversa e chiusa: ella si è chiusa in un suo mondo di illusioni, e passa tutto il suo tempo ad ascoltare vecchi dischi, leggere romanzi e soprattutto accudire una collezione di animaletti di vetro. Tom lavora in una fabbrica di scarpe per mantenere Laura e Amanda, ma la vita noiosa e banale che conduce (nonché la morbosa presenza della madre) lo rende irascibile. Il ragazzo tenta senza successo di diventare un poeta, e cerca conforto recandosi al cinema a tutte le ore della notte per vivere delle avventure almeno con la fantasia. Questo scatena l’ansia di Amanda, che teme suo figlio sia un alcolizzato come il padre….
Gli eventi storici appaiono un pretesto rispetto all’intreccio amoroso. Della bellissima Cleopatra, da tempo legata a Marc’Antonio, si innamora il centurione Curridio, giunto ad Alessandria per evitare una guerra tra Antonio e Augusto. Il centurione fallisce nell’intento. Frattanto l’aspra battaglia che si è scatenata tra i due condottieri vede la totale sconfitta di Antonio. Nell’eccidio, Curridio riuscirà a evitare la morte di Marianna, una fanciulla che da tempo lo ama in silenzio.
La ricostruzione degli eventi politici e diplomatici avvenuti a seguito del rientro in Francia di Napoleone Bonaparte dopo la disfatta di Waterloo, e del conseguente esilio a Sant’Elena, dove rimarrà fino alla morte, “avvenuta in circostanze misteriose”[1]. Vengono descritti i rapporti con i suoi sorveglianti, le dinamiche interne, intercorse con il suo seguito di ufficiali, la difficile vita nell’isola e le speranze di fuga, unite a quelle di una sollevazione popolare in Francia che lo riporti in patria, frustrate dall’esito sfavorevole del Congresso di Aquisgrana e la decisione di affidare “a persone di fiducia la stesura delle sue memorie”
Il formato originario è quello della miniserie televisiva composta da sei puntate, che vennero trasmesse in prima visione dal canale nazionale RAI dal 29 dicembre 1970 al 2 febbraio 1971[1].La fiction incontrò un grande successo di pubblico (una puntata totalizzò circa 21 milioni di spettatori) grazie soprattutto alle qualità dei due attori protagonisti: Renato Rascel, perfetto (anche fisicamente) nel ruolo di padre Brown e Arnoldo Foà, nei panni di Flambeau, l’inafferrabile ladro convertito e riportato sulla retta via da padre Brown fino a diventarne il fidato e validissimo compagno di avventure.
Trascinato dall’amico Androclo, re di Tebe, Ercole lascia il Mediterraneo alla ricerca di Atlantide, dove regna la perfida e dispotica Antinea, per trovare conferma di sinistre profezie che minacciano il mondo civile. Con Ercole al centro della terra è il miglior peplum degli anni ’60. Scritto da Sandro Continenza e Duccio Tessari, è lesto nel ritmo, spiritoso e ironico tra le righe, ricco di allusioni antimilitariste e antirazziste (l’iconografia di Atlantide col suo impianto teocratico-scientifico richiama quella del nazismo). Campione solare delle forze della luce, Ercole non può vincere che con il sole, come l’esplosione finale conferma.
Il modernissimo radiotelescopio del complesso astronomico di Bouldershaw Fell, in Inghilterra, capta una misteriosa sequenza di segnali provenienti dalla Nebulosa di Andromeda: studiandoli, il professor Fleming (Vannucchi), dell’equipe del dottor Reinhart (Carraro), capisce che compongono un messaggio cifrato contenente le istruzioni per costruire un computer di tecnologia sconosciuta. Incaricati dal governo, gli scienziati realizzano il progetto e scoprono, a prezzo della tragica morte della ricercatrice Christine Flemstad, che l’elaboratore è pensato per creare una nuova forma di vita. L’enigmatica creatura – somigliantissima a Christine e ribattezzata “Andromeda” – che prende forma nell’avveniristico sintetizzatore della macchina, possiede un’intelligenza superiore e facoltà mnemoniche eccezionali, ma appare priva di qualsiasi emozione. Mentre sul laboratorio convergono le interessate attenzioni dei servizi segreti, dei militari e delle spie che fanno capo alla multinazionale INTEL, il professor Fleming comincia a temere che il supercomputer e “Andromeda” costituiscano una minaccia per l’umanità… Ispirato al soggetto di John Elliot e Fred Hoyle – già adattato nella miniserie inglese A for Andromeda del 1961 – lo sceneggiato di Cottafavi è uno dei pochi esempi di fantascienza adulta italiana, tanto più lodevole e singolare in quanto realizzato per il piccolo schermo, per un pubblico di famiglie abituato a seguire gli spensierati varietà del sabato sera o i melodrammatici teleromanzi a puntate della domenica. Controcorrente rispetto alla produzione del tempo e scommettendo sulla svolta filosofica e scientifica inaugurata tre anni prima dalla conquista della Luna, il film parte dall’idea di una possibile vita nell’universo e profetizza nuovi e imminenti traguardi al progresso tecnologico, intuendo il potenziale rivoluzionario dell’informatica e gli inquietanti risvolti di una ipotesi di clonazione.Una storia interessante, appena appesantita da un intreccio spionistico piuttosto ingombrante che costituisce l’unica concessione al pubblico più tradizionale.Il film – che, per la verità, non riscosse particolare successo – si avvale di un cast di ottimi professionisti e delle “realistiche” scenografie di Mariano Mercuri supportate dai computer forniti dalla Honeywell.Il ruolo di Christine/Andromeda sviluppato da Nicoletta Rizzi era stato dapprima proposto alla cantante Patty Pravo.
Impegnato e spesso riuscito tentativo di ricostruire la vita di Dante Alighieri evitando nel contempo le secche del «culturale» televisivo e anche quelle del teleromanzo facilone. Le puntate migliori sono quelle imperniate sulla vita politica di Dante (la battaglia di Campaldino, gli scontri con la fazione dei guelfi di Corso Donati, lo scontro personale con papa Bonifacio VIII impersonato da un torvo e nevrotico Claudio Gora).
Un film di Vittorio Cottafavi. Con Antonella Lualdi, Mark Damon, Mario Feliciani, Gastone Moschin, Wolfgang Preiss. Avventura, durata 125′ min. – Italia, Spagna 1964. MYMONETRO I cento cavalieri valutazione media: 3,50 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari. In Spagna intorno all’anno 1000 un gruppo di cavalieri musulmani, guidati da uno sceicco, occupano pacificamente un villaggio della Castiglia, ma presto rivelano le loro vere intenzioni: assoggettarne gli abitanti che, però, abbandonate le case, si organizzano e, sotto la guida di un frate esperto in imprese militari, scacciano gli invasori. Straordinario e sfortunato tentativo di trasformare dall’interno un film di genere storico-avventuroso per farne, all’insegna di B. Brecht, una vivace e colorita parabola sulla guerra, il potere, il colonialismo, la lotta partigiana ricca di allusioni al presente. Godibilissimo per ritmo, sagace disegno dei personaggi (con un eccellente A. Foà), belle invenzioni figurative, fu un insuccesso commerciale. Ultimo film di Cottafavi per il cinema.
Mariute e Rosute sono figlie di una povera donna friulana sfiancata dal troppo lavoro e di un uomo emigrato anni prima negli Stati Uniti. Dopo la morte del padre, avvenuta in terra americana, le tre donne restano sole e senza alcun sostentamento. Alla scomparsa anche della madre, avvenuta per il troppo lavoro e per gli acciacchi dati da una prematura vecchiaia, Mariute tredicenne e Rosute di poco più di sei anni, vengono dapprima affidate a suore senza cuore, dopodiché, anche a seguito di un affido a una donna ricca del luogo non andato a buon fine, affidate allo zio chiamato Barbe Zef. Quando Rosute si sloga una caviglia, Barbe Zef la farà ricoverare in un ospedale locale senza più andarla a prelevare. Mariute d’ora in poi sarà costretta a subire le attenzioni dello zio Zef, verrà sfruttata e maltrattata da quest’uomo insensibile e a sua volta indurito da una vita grama.
Vita dei boscaioli di Tirli (Grossetto), ripresi alle prese con il fitto bosco della Maremma, in uno dei tanti inverni di duro lavoro. Tra loro c’è Guglielmo, tormentato dalla recente morte della moglie, che le ha lasciato in custodia due bambine, allevate da sua sorella.