La vita e il dramma di Galileo Galilei. Il fisico italiano studia le stelle con un telescopio da lui perfezionato e dichiara che il Sole è posto al centro dell’universo. Processato per eresia dopo la pubblicazione delle sue teorie, Galileo preferisce ritrattare piuttosto che subire la tortura.
Le strade di una metropoli moderna (Milano) sono sparse dei cadaveri di una rivolta giovanile; la gente, indifferente e frettolosa, cammina tra loro evitando di toccarli; la legge dello Stato lo proibisce, pena la morte. La giovane Antigone decide di dar sepoltura al fratello, contro il parere dei familiari e del fidanzato Emone, figlio del primo ministro. La aiuta Tiresia, giovane straniero che parla in una lingua sconosciuta e disegna sui muri un paese. Ispirato all’Antigone (441 a.C. ca) di Sofocle. Mitico più che politico, onirico più che realistico, qua e là ridondante nel macinio dei suoi simboli, impregnato di un raro sentimento di pietà e di dolore misti a rabbia civile, ha forse il torto di aver contrapposto alla fiera ostinazione di Antigone non l’empietà dello Stato moderno in generale, “bensì una specie di orwelliano 1984 capitalista.” (Alberto Moravia). Fotografia (Techniscope): Giulio Albonico; musiche: Ennio Morricone. Gianni Amelio aiutoregista.
Dal romanzo di Patricia Highsmith. Mr. Ripley è un raffinato quanto crudele trafficante in opere d’arte. Concluso alla sua maniera un affare per lui vantaggioso, si ritira nella sua villa in Veneto con la compagna di una musicista. Qui lo raggiunge il suo ex braccio destro che chiede aiuto per eliminare a Berlino dei potenti rivali slavi. Ripley non vuole entrare in gioco in prima persona ma vuole mettere alla prova l’onestà di fondo di un corniciaio che non lo stima. È sicuro che costui, gravemente ammalato, cederà dinanzi alla prospettiva di forti guadagni e si trasformerà in killer. Liliana Cavani gira un film come qualsiasi altro professionista del genere. Il suo tocco personale non compare mai mentre è evidente il piacere con cui Malkovich delinea un personaggio già portato sullo schermo in precedenza e cerca di distanziarsi il più possibile dall’immagine che ne ha dato di recente il cinema americano. Il film ruota totalmente intorno a lui. Ed è bene che sia così, anche perché l’attore ci aggiunge quel tanto di “hannibalesco” che non guasta.
La vita di San Francesco d’Assisi raccontata in un Medioevo di fango, sangue e sporcizia, dall’inquieta cattolica Liliana Cavani. Mickey Rourke è un santo più atletico che ispirato.
In Marocco vivono nipote e nonna che si è chiusa in camera da quando il genero le ha ucciso la figlia. L’uomo è in carcere e ha continui rapporti infuocati e incestuosi con la figliastra. Romanzone sgangherato, goffo e turgido con personaggi falsamente feroci. Mastroianni cupo e repellente, Giorgi smaniosa e falsa. Gli altri non esistono. È quasi sicuramente il peggior film di L. Cavani che l’ha scritto con Enrico Medioli.
Liberamente ispirato alla realtà storica, è il romanzo di Lou Von Salomé, Friedrich Nietzsche e Paul Rée, che verso la fine dell’Ottocento cercano di attuare una trinità sentimentale. Chi conduce il gioco sovversivo del desiderio – la cui logica si scontra con quella del potere – è la donna e suo (della regista) il punto di vista. Scritto con Italo Moscati e Franco (Kim) Arcalli e sostenuto da un apparato figurativo di sfarzo viscontiano, è un film denso, ambizioso, fin troppo esplicativo, un po’ raffazzonato nelle plurime ispirazioni letterarie, compiaciuto nel suo indugio sul tema dell'”andare fino in fondo”.
Liberamente ispirato al libro Milarepa, grande yogi del Tibet , scritto dal suo discepolo Rechus (XII sec.) e tradotto in inglese nel 1926, è la storia del viaggio mentale di uno studente di oggi che si identifica in un giovane contadino del Nepal, vissuto nell’XI secolo. Avviatosi alla saggezza con la guida di un guru, passa dalla magia nera (potere distruttore) alla magia bianca (conoscenza pura). Dopo aver cercato le radici antiche della religiosità nel cristianesimo ( Francesco , 1966) e nella mitologia greca ( I cannibali , 1969), la Cavani si rivolge alla spiritualità orientale. Sceneggiato con Italo Moscati, girato sulle montagne dell’Abruzzo, prodotto dalla RAI, piacque molto a Pasolini che scrisse di “una perfetta Geometria in cui si sia sintetizzata e cristallizzata un’esperienza visiva vissuta nella realtà”.
Nella Berlino del 1938 una perversa studentessa giapponese applica la sua sottile strategia seduttiva e distruttiva su una giovane coppia tedesca: un diplomatico e la sua bella moglie. Lo scandalo ha tragiche conseguenze. Bello – nel senso dell’eleganza figurativa – ma senza cuore. Ispirata al romanzo La croce buddista (1928) di Junichiro Tanizaki, la vicenda è stata trasposta nella Germania nazista non senza inciampi né inverosimiglianze. Elegante, ma senza mistero né vertigini.
Dimessa da una casa di cura dopo vent’anni, Anna è accolta in casa del fratello, ma malattia e segregazione l’hanno resa incapace di accettare convenzioni e ipocrisie della gente normale. Si rifugia nella villa di campagna della sua adolescenza dove rivive – sul modello della favola di Mélisande che ama il cugino Pelléas e viene uccisa dal marito con l’amante – il suo sogno giovanile di felicità. Il meno risolto e il più squilibrato dei primi film della Cavani, ma un’altra tappa del suo discorso sui rapporti tra autorità e libertà, tra follia e normalità. Bella prova della Bosé come dolente ospite in senso letterale (manicomio) e metaforico (nel mondo della normalità). Prodotto dalla RAI.
Un film di Liliana Cavani. Con Claudia Cardinale, Marcello Mastroianni, Burt Lancaster, Marta Bifano, Ken Marshall.Drammatico, durata 133′ min. – Italia 1981. – VM 14 – MYMONETRO La pelle valutazione media: 3,00 su 12 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Napoli 1943-44. Mafioso locale tratta lo scambio di prigionieri tedeschi con il generale Clark. Sullo sfondo di una Napoli distrutta e corrotta si aggiunge una violenta eruzione del Vesuvio. Dal romanzo (1946) di Curzio Malaparte. Un presepe sconsacrato, sanguinoso e iperrealista del costo di 3 miliardi. Con strizzate d’occhio al peggior cinema americano del genere e scivolate nel teatro napoletano, è un concentrato di orrori e violenze. Macelleria ad alto livello, per quanto riguarda gli effetti speciali. Attori stonati. 2 musicisti (Lalo Schifrin, Roberto De Simone) sprecati. In alcuni momenti truci la pietas si sente. Bravo Giuffré. View full article »
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