Esordio nella regia del produttore Lee Daniels che – su una sceneggiatura di William Lipz di originalità bizzarra e trasgressiva in materia di erotismo e violenza – ha fatto il noir più colorato della storia di Hollywood, ambientato in una Philadelphia tratteggiata con golosità estetizzante. Bastano i due protagonisti a darne un’idea: lavorano in coppia come sicari a pagamento. La bianca Rose, malata terminale, da giovane voleva cambiare il mondo, disposta anche a uccidere, finché si mette insieme col nero Mickey, pugile disoccupato che potrebbe essere suo figlio. Da un boss psicopatico e sadico hanno l’incarico di eliminare Vickie (Ferlito), sua moglie presunta infedele. Ma Rose scopre che la donna è incinta. Scontati l’irrealismo di fondo e l’oltranza narrativa, la scrittura registica può dare persino un piacere sensuale. Le danno un contributo notevole M. David Muller (fotografia) e Stephen Saklad (scene). Attenzione ai titoli di testa. Nessun successo di pubblico, snobbato dai critici.
Bretagna. In un villaggio di pescatori alcuni bambini scoprono il cadavere di una loro coetanea. Il sospetto cade sul suo insegnante privato di disegno, René, sposato con l’infermiera Viviane attratta da uno scrittore famoso che ha una villa nella zona e ogni tanto vi torna per periodi di riposo. Se Valeria Bruni Tedeschi rifà se stessa, Chabrol è capace di riproporre un groviglio di vipere provinciale ricco di sfaccettature lavorando soprattutto sui nascondimenti e (come vuole il titolo italiano) sui colori.
Una complessa operazione internazionale, per neutralizzare una cellula terroristica, si intensifica quando alcuni dei maggiori ricercati si trovano nella stessa casa, a Nairobi, e stanno preparando attentati suicidi. Dopo una serie di estenuanti telefonate burocratiche tra il colonnello Powell, il generale Benson (ultima performance di Rickman) e i membri del Governo britannico e americano, la decisione è quella di inviare un drone. L’arma tecnologica è pilotata dal giovane ufficiale Steve Watts dall’interno di un hangar nel deserto del Nevada. Ma una bambina si siede davanti al bersaglio, a vendere pane. Il pilota si rifiuta di premere “il grilletto”. Che fare? Valutare nuovamente i danni collaterali? Rischiare di uccidere anche la bambina, considerando che i kamikaze provocheranno un numero nettamente superiore di morti? Hood affronta il dibattito sulla giustizia dei droni, come Good Kill di Niccol. Un racconto teso, con personaggi umani, cinici, dai nervi d’acciaio e un lessico tagliente; un film ambientato nei campi minati dell’etica. Un soldato obbedisce senza fiatare o viene rimosso dal suo incarico. Qui il soldato impersona la coscienza della guerra moderna; nodo narrativo in cui si impiglia la trama di questa profonda commedia nerissima, scritta da Guy Hibbert.
Famoso ballerino s’innamora a Londra di gentile signora in attesa di divorzio. 2° film RKO della più grande coppia di ballerini mai vista sullo schermo. Trabocca di balletti deliziosi e di canzoni. C’è la stupenda “Night and Day”, ma anche “Continental” (17′ di danza e musica) dove, per chi sa vedere, è chiaro che per la coppia ballare corrisponde a far l’amore. C’è anche B. Grable, allora sconosciuta, che si fa valere.
Dal romanzo Aimez-vous Brahms? (1959) di Françoise Sagan, sceneggiato dal commediografo Samuel Taylor. Stanca di un amante infedele (Montand), un’arredatrice parigina quarantenne (Bergman) ha una romantica love story con un giovane e ricco americano (Perkins), ma quando l’amante ricompare, lo lascia. Prolissa commedia sentimentale in cui un bieco patetismo hollywoodiano surroga quel che doveva essere la malinconia di fondo. Sull’orlo del ridicolo i tre protagonisti tra cui il peggiore è Montand. All’attivo soltanto il bianconero di A. Thirard e alcuni caratteristi. Premiato a Cannes.
In un misurato appartamento di Brooklyn due coppie provano a risolvere uno smisurato accidente. Zachary e Ethan, i loro figli adolescenti, si sono confrontati incivilmente nel parco. Due incisivi rotti dopo, i rispettivi genitori si incontrano per appianare i conflitti adolescenziali e riconciliarne gli animi. Ricevuti con le migliori intenzioni dai coniugi Longstreet, genitori della parte lesa, i Cowan, legale col vizio del BlackBerry lui, broker finanziario debole di stomaco lei, corrispondono proponimenti e gentilezza. Almeno fino a quando la nausea della signora Cowan non viene rigettata sui preziosi libri d’arte della signora Longstreet, scrittrice di un solo libro, attivista politica di troppe cause e consorte imbarazzata di un grossista di maniglie e sciacquoni. L’imprevisto ‘dare di stomaco’ sbriglia le rispettive nature, sospendendo maschere e buone maniere, innescando un’esilarante carneficina dialettica.
Si tratta della trasposizione cinematografica di un famoso telefilm americano che originariamente era interpretato da James Garner, che qui fa la parte dello sceriffo. Maverick è un baro che ispira simpatia e fiducia. Girovaga tra un saloon e l’altro con Annabelle, anche lei ladra. I due incontrano a St. Louis uno sceriffo di pochi scrupoli. Nella ridente cittadina si tiene un torneo di poker. Mel Gibson fa troppe smorfie e la regia di Richard Donner non riesce a esaltare la vicenda.
Nove anni dopo il fallimento della missione americana del Discovery (2001: Odissea nello spazio di Kubrick) parte per Giove una missione di sovietici e americani a bordo dell’astronave Leonov per ritrovare il Discovery e il misterioso monolite che racchiude i misteri del cosmo. Gli scienziati scoprono che la missione era fallita perché lo stesso computer era andato in tilt quando si era messo in contatto con il monolite. Intanto dalla Terra ricevono l’ordine di separarsi perché sta per scoppiare una terza guerra mondiale, ma prima i russi e gli americani assistono ad un’immane deflagrazione che distrugge Giove e fa nascere un nuovo sole.
David Gale è un professore che, nel Texas che pratica con convinzione la pena di morte, si oppone come leader di un movimento di protesta che dà fastidio al potere. Un giorno però viene incastrato da una studentessa che gli si offre per un rapporto sessuale e poi lo accusa di stupro. Da quel momento la sua vita è in caduta libera: la moglie lo abbandona portandosi via il figlio e perde il lavoro. Tutto questo viene raccontato a una zelante giornalista che lo intervista nel braccio della morte. Perché Gale è stato condannato per l’omicidio della sua collaboratrice Constance e attende che l’esecuzione abbia luogo. La giornalista vorrebbe poterlo salvare. Non bisogna raccontare di più di questo film di un Alan Parker che si affida a una struttura narrativa macchinosa per mutare lo stereotipo del film di impegno sociale che si mescola al thriller.
Nei primi anni ’30, ridotta in miseria dalle tempeste di sabbia e da rapaci proprietari terrieri, una famiglia di agricoltori dell’Oklahoma si mette in viaggio con un camion verso la fertile California.Un classico del cinema sociale, tratto da un romanzo (1939) di John Steinbeck. Un poema di solenne pietà, un gran capolavoro dei film su strada. Considerato politicamente un conservatore, Ford diresse uno dei film più progressisti mai fatti a Hollywood anche perché riuscì a far coincidere il tema della famiglia, a lui caro, con quello della gente: alla fine i Joad entrano a far parte della famiglia dell’uomo. Lo sceneggiatore Nunnally Johnson modificò, su indicazione del produttore D. Zanuck (che girò personalmente il monologo di mamma Joad), il finale senza speranza di Steinbeck, in linea con l’ottimismo del New Deal. Straordinario bianconero di Gregg Toland (che, come disse Ford, non aveva nulla di bello da fotografare). Oscar per la regia e la Darwell. Sdoganato in Italia solo nel 1951. Vergognosamente classificato dal Centro Cattolico “adulti con riserva” perché pessimista.
1) “Fatebenefratelli” (Comencini con Spaak, Law): adolescente svelta tenta di sedurre giovane prete; 2) “La vedova” (Castellani con Spaak, Salvatori): giovane vedova siciliana è costretta dalla famiglia del marito a rinunciare agli uomini; 3) “La moglie bambina” (Rossi con Spaak, Salerno, Celi): sposato con una bella ragazza, insegnante deve difendersi dall’invidia del prossimo. Caso raro di un film a episodi in funzione di una star non ancora ventenne: la belga C. Spaak (1945) che aveva esordito da protagonista nel 1960 con I dolci inganni . Tre racconti garbati, un po’ sciapi ma mai volgari.
1977, Minnesota. Il dodicenne Ben è preda di un incubo ricorrente in cui viene inseguito da un branco di lupi. Una notte, cercando tra gli oggetti della madre, trova il vecchio catalogo di una mostra newyorkese sulle origini dei musei: i cosiddetti gabinetti delle meraviglie. C’è anche un biglietto, dentro, con l’indicazione di una libreria. E poi c’è un fulmine, che entra dal cavo del telefono e cambia la vita di Ben. 1927, New Jersey. Rose è una ragazzina che vive sola con il padre, isolata per via della sua sordità. La anima una grande passione per un’attrice, una diva del muto, di cui colleziona ogni notizia. Ben e Rose, a distanza di tempo, compieranno lo stesso avventuroso viaggio attraverso New York, guidati dal comune bisogno di conoscere il loro posto nel mondo.
In visita col marito alle cascate del Niagara una moglie infedele progetta di ucciderlo con la complicità dell’amante, ma il marito le cambia le carte in tavola. Duplice omicidio. Scritto da C. Brackett, W. Reisch e R. Breen, è un melodramma criminale a suspense con diverse sequenze emozionanti grazie all’efficace uso del colore (fotografia di Joe McDonald) e alle angolazioni della cinepresa che sfruttano al meglio gli esterni delle cascate. Il film trasformò la Monroe in una star della Fox, e uno dei pochi in cui interpreta un personaggio totalmente negativo: divennero famosi l’abito scarlatto che indossa in una scena passionale; il sorriso che rivolge alla cinepresa quando, sbagliando, presume che il marito sia morto; la sua camminata pelvica, sull’orlo dell’autocaricatura. È un brutto film, ma affascinante per il suo cattivo gusto.
Lui e lei fanno i giornalisti. Lei si occupa di cronaca mondana e di satira di costume, lui è corsivista sportivo. Nonostante le divergenze di carattere e d’interessi, finiscono per sposarsi. Ma il loro ménage matrimoniale è sulle prime disastroso. Disperando di poter trasformare la moglie in casalinga perfetta, l’uomo, dopo molte arrabbiature e titubanze, le consentirà di proseguire la carriera. Una commedia deliziosa. Segna lo storico incontro fra Spencer Tracy e Katharine Hepburn (avrebbero girato, in venticinque anni, nove film insieme): nessuna coppia fece sullo schermo più faville.
Un film di Todd Haynes. Con Christian Bale, Cate Blanchett, Marcus Carl Franklin, Richard Gere, Heath Ledger. Titolo originale I’m Not There. Musicale, durata 135 min. – USA 2007. – Bim uscita venerdì 7settembre 2007. MYMONETRO Io non sono qui valutazione media: 3,50 su 144 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Profeta, cantastorie, contestatore. Anticonformista, folle, genio assoluto del novecento. Io non sono qui è un viaggio nel tempo di Bob Dylan, attraverso il ritratto di sei personaggi – colti ognuno in un aspetto diverso della vita artistica e privata del menestrello americano – che intrecciano le loro storie di protesta, disagio, erranza e solitudine in una performance evocativa diretta da Todd Haynes. Anche stavolta, in un’ambientazione che riecheggia gli anni sessanta – avvicinandosi con forza alle tematiche dei suoi film più noti come Lontano dal paradiso e Velvet Goldmine – il regista americano sperimenta una narrazione frammentata e psichedelica, utilizzando sei diversi stili di regia all’interno di ogni microcosmo narrativo. C’è Arthur, poeta simbolista che porta lo stesso nome di Rimbaud, interrogato e poi condannato da una commissione d’inchiesta per i suoi presunti legami con gruppi sovversivi e di estrema sinistra. C’è Woody (Guthrie) un bambino di undici anni scappato da un riformatorio e pronto a raggiungere il capezzale del morente omonimo, il cantante folk che ha influenzato per lungo tempo la musica di Dylan. Poi c’è Jack cantore della protesta al tempo della guerra in Vietnam, Robbie attore e motociclista, Jude l’androgino e cinico cantante folk, e per finire l’illuminato pastore John e il vecchio Billy (The Kid), ispirato al celeberrimo criminale. Quello di Todd Haynes è più di un mockumentary o di un omaggio al Dylan che più amiamo (non a caso è l’unico ritratto che lo stesso Dylan sembra aver davvero apprezzato), ma una miscela perfetta di musica, arte visiva, cinema. Fotografia rigorosa, sei registri narrativi che si intrecciano sul calare degli anni ’70, quando le illusioni e le utopie di un mondo migliore si infrangevano definitivamente sul campo di battaglia di una guerra infinita e inutile. C’è la musica, allora, a risollevare le sorti di un’umanità stanca, a dar voce ai poveri e ai diseredati, ma c’è anche il cinema – di Todd Haynes – che ogni volta restituisce la magia delle atmosfere magiche perse nei ricordi.
Ginny ha sposato in seconde nozze Humpty che lavora nel Luna Park di Coney Island e gli ha portato in dote un figlio decenne con una spiccata tendenza per la piromania. Ginny è però insoddisfatta di quel matrimonio e trova nel bagnino Mickey un uomo colto che possa comprendere anche le sue velleità di attrice. Un giorno però arriva a sconvolgere i fragili equilibri Carolina, figlia di Humpty e fuggita dall’entourage del marito mafioso. Quando Mickey ne fa la conoscenza Ginny avverte l’imminenza di un pericolo.
Nello sporco alberghetto di una cittadina di provincia un giovane gangster che ha fatto uno sgarro attende che due sicari vengano ad ammazzarlo. Ci si racconta il come e il perché. Un racconto (The Killers) di Ernest Hemingway dà lo spunto a una splendida sequenza di apertura. Il resto vale meno, ma è di ottimo mestiere con personaggi ben disegnati e una suggestiva colonna musicale di M. Rozsa. Alla sceneggiatura di Anthony Veiller collaborò, non accreditato, John Huston. Rifatto nel 1964 da Don Siegel. 1° film di Lancaster.
Mildred Pierce è mamma, moglie e casalinga nell’America della Grande Depressione. Tradita e abbandonata dal marito, tra una torta e l’altra cerca lavoro a Los Angeles per garantire futuro e privilegi alle sue bambine, Ray e Veda. Assunta come cameriera in una tavola calda, Mildred rivela presto il suo talento di cuoca e pasticcera, che mette in pratica aprendo un ristorante. Rialzata la testa ma segnata da un lutto profondo, Mildred prende letteralmente in mano il suo futuro e quello di Veda, musicalmente dotata e in evidente conflitto con lei. Tra una mamma indefessa e una figlia insidiosa si insinua Monty Beragorn, giocatore di polo ricco e viziato che pratica il dolce far niente. Ambientato negli anni Trenta e nell’America in crisi del repubblicano Herbert Hoover, Mildred Pierce è un (melo)dramma in cinque atti prodotto dalla HBO e magnificamente diretto da Todd Haynes. Mildred Pierce, come Lontano dal paradiso nove anni prima, mostra un’ossessiva fedeltà formale nei confronti di un genere che viene nondimeno attualizzato e modificato.
Haynes di fatto trasforma l’infiammabilità inesplosa e trattenuta dei mélo americani in un film (a puntate) che divampa sotto i nostri occhi. Un violento e viscerale congegno narrativo che non si limita a riesumare spoglie di un genere che fu per giocare col cuore e la memoria colta dei cinefili ma che affronta, sotto la compostezza della messa in scena, il sogno americano declinato al femminile. Al centro del dramma e alla periferia di Los Angeles abita una donna che sceglie di affermare la propria fermezza e il conseguente bagaglio di sofferenza. Adattamento fedele e puntuale dell’omonimo romanzo di James M. Cain, Mildred Pierce riprende un discorso cinematografico che non sembra soltanto citato e rivisitato nelle musiche, nelle scene, nei costumi e nella grafica dei titoli di testa ma pure splendidamente proseguito e aggiornato. Scegliendo il mélo come territorio della sua autopsia dell’America di quegli (e questi) anni, la mini-serie diventa una messa in discussione del presente compiuta attraverso uno sguardo predatato. Il vero dramma è che quella società è quasi uguale a questa, soltanto un po’ meno consapevole della propria stritolante violenza. Meno ‘nero’ e più ‘osservante’ della trasposizione del ’45 di Michael Curtiz (Il romanzo di Mildred) interpretata da Joan Crawford, la versione di Todd Haynes è un’esperienza emotiva purificatrice che mette in schermo il bene e il male, la luce e il buio, schierando davanti allo ‘specchio della vita’ una madre intraprendente che lotta e ‘impone’ la sua gentilezza e una figlia inappagata la cui cruda concupiscenza per la celebrità ignora tutti tranne se stessa. Black melodrama familiare, Mildred Pierce trova in Kate Winslet un’interprete mirabile nel restituire una donna che, emancipata dalla subalternità del ruolo, fa carriera nell’America ‘riformata’ e recuperata di Franklin Delano Roosevelt. Caparbia e ostinata, la sua Mildred è ‘al volante’ della vita e di quell’auto in cui trova riparo dalla pioggia e dalle afflizioni e da cui ‘riparte’ per ricominciare. Condotta via da un amante o ‘trasportata’ da un taxi è invece la Veda civettuola e crudele di Evan Rachel Wood decisa ad affrancarsi dalla provincia e dalla sua condizione a colpi di voce e di note. Insieme le due attrici daranno vita a un dramma di assordante tristezza, che non ha più i connotati fiabeschi del sogno ma quelli asfissianti di una sopportazione che diventa abitudine. Ma l’insurrezione è dietro la porta.
Negli anni della Grande Depressione la malinconica Cecilia (Farrow) trova evasione dalla sua vita di privazioni (un lavoro in lavanderia e un marito disoccupato e ubriacone) passando pomeriggi interi in un cinema, dove proiettano senza sosta il feuilletton La rosa purpurea del Cairo. Accade che il bel protagonista del “film nel film” (Daniels), colpito dall’assidua presenza della sognante Cecilia e stanco della monotonia del suo ruolo, abbandoni lo schermo per vivere maldestramente con lei una tenera e ironica storia d’amore. Film intelligente, delizioso, malinconico e divertito che solo Woody Allen poteva rendere con tanta grazia e ironia.
Chicago, anni Trenta. Un giornalista sta per sposarsi e per ritirarsi dal mestiere, ma un avvenimento di grande richiamo richiederebbe di nuovo il suo intervento professionale: è scappato un condannato a morte, un anarchico a suo modo candido e idealista, del cui caso il protagonista si è a suo tempo interessato. Il terribile direttore del giornale inventa trucchi di ogni genere per convincere il giornalista a riprendere il suo posto: quando finalmente quest’ultimo si farà persuadere, renderà pubbliche tutte le losche manovre elettorali che stanno alla base della vicenda. Impagabile l’accoppiata Lemmon-Matthau nella terza edizione di un famoso soggetto tratto da una commedia di Charles MacArthur e Ben Echt, già usato per The Front Page di Milestone, mai giunto in Italia, e per La signora del venerdì di Hawks (in quest’ultimo caso, il ruolo principale era sostenuto da una donna, la bravissima Rosalind Russell).
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