Avventura veneziana assai Kitsch di una zitella americana (Hepburn in gran forma) con l’amante latino già sposato (chi se non Brazzi?). Regia accurata e convenzionale di Lean per un film turistico-sentimentale che spiacque ai critici, ma ebbe un grande successo nei paesi di lingua inglese, aprendo al regista la via alle successive coproduzioni internazionali. Bella fotografia di J. Hildyard. Tratto dalla commedia The Time of the Cuckoo (1952) di A. Laurents. Musiche di Alessandro Cicognini, il compositore preferito di V. De Sica. Titolo in GB: Summer Madness.
Eva Lovelace è un’aspirante attrice che riesce a ottenere la parte della prima attrice recalcitrante proprio la sera del debutto. Interpretazione sensazionale, la strada del successo è aperta. 3° film della Hepburn che le procurò il 1° Oscar della carriera. La commedia, tratta da una pièce di Zoe Akins, mai presentata a teatro, è graziosa, ma lei è superba. Rifatto con Fascino del palcoscenico (1958).
Reduce da un ospedale psichiatrico, un uomo tenta di ricostruire la propria esistenza accanto alla figlia e alla moglie. Quest’ultima però non intende aiutarlo in alcun modo, mentre la figlia dedica tutta se stessa al reinserimento del padre nella vita normale.
Da un romanzo di Compton Mackenzie: dopo la morte della madre, Sylvia Scarlett fugge, travestita da ragazzo, dalla Francia in Inghilterra, col padre, un imbroglione ricercato dalla polizia. Si aggregano a uno scalcinato Carro di Tespi e, con un intraprendente giovanotto, commettono varie truffe ai danni dei gonzi. Fiasco al botteghino e poco apprezzata dalla critica del suo tempo, è una commedia insolita, pungente e fantasiosa imperniata sul gioco, la finzione, il travestimento, ricca di malizie e volute ambiguità tanto che fu boicottata dalla Legion of Decency, interpretata benissimo da una squadretta di attori tra cui spicca la Hepburn, magnifica.
Lui e lei fanno i giornalisti. Lei si occupa di cronaca mondana e di satira di costume, lui è corsivista sportivo. Nonostante le divergenze di carattere e d’interessi, finiscono per sposarsi. Ma il loro ménage matrimoniale è sulle prime disastroso. Disperando di poter trasformare la moglie in casalinga perfetta, l’uomo, dopo molte arrabbiature e titubanze, le consentirà di proseguire la carriera. Una commedia deliziosa. Segna lo storico incontro fra Spencer Tracy e Katharine Hepburn (avrebbero girato, in venticinque anni, nove film insieme): nessuna coppia fece sullo schermo più faville.
Maria Stuarda (1542-87) non vuole rinunciare al trono e affronta Elisabetta (1533-1603) regina d’Inghilterra, sua rivale gelosa. Accusata di cospirazione, viene imprigionata, processata e condannata. Primo dei tre consecutivi drammi in costume interpretati dalla Hepburn e sua unica esperienza con Ford, è un film elegante e misurato, sorretto dallo scenario di Dudley Nichols, emozionante, volutamente statico. “È un’opera impregnata di religiosità nel senso più ampio: sottomettendosi al proprio destino Maria vince, anche nel momento in cui perde tutto”.
Un’ottima realizzazione, con eccellenti interpreti, dal lavoro teatrale di Tennessee Williams: una ragazza è rimasta sconvolta a tal punto dalla misteriosa morte del cugino da non ricordare più in quali tragiche circostanze sia avvenuta. Sua zia vorrebbe che lei dimenticasse per sempre e cerca di convincere un neurochirurgo a operarla di lobotomia.
Trasposizione quasi letterale del claustrofobico, autobiografico, cannibalistico testo teatrale di Eugene O’Neill, messo in scena nel 1956. La lunga giornata è quella trascorsa nel 1912 da una famiglia in una villa di campagna del Connecticut: brutto tempo, i quattro Tyrone, chiusi in casa, mettono a nudo conflitti, speranze frustrate e fallimenti in un dramma dai risvolti disperatamente tragici. 3 giganti della recitazione (Hepburn, Richardson, Robards), ma persino il giovane Stockwell se la cava nel personaggio scritto meno bene. Teatro in scatola? Ma di classe. Fotografia del grande Boris Kaufman. Da vedere nell’originale con sottotitoli.
Due vecchi sposi si ritirano nella tranquillità della loro casa sul lago. Lui sta per compiere ottant’anni e, per festeggiarlo, arriva anche la figlia divorziata, accompagnata dal “fidanzato” e dal figlio di lui, un ragazzino apparentemente intrattabile che viene poi lasciato in compagnia dei “nonni”. I rapporti tra l’adolescente e gli anziani ospiti sono inizialmente difficili, ma l’ostilità si trasforma in una bellissima amicizia. Film delicatissimo, forse, a tratti, troppo zuccheroso che ha fruttato a Henry Fonda l’Oscar poco prima della morte.
Mentre sta portando a termine la ricostruzione dello scheletro di un dinosauro, un goffo paleontologo s’imbatte in Susan, ricca ed eccentrica signorina che, invaghitasi di lui, gli combina un sacco di guai. Di questo capolavoro della screwball comedy degli anni ’30 Hawks, produttore-regista per la RKO, diceva che ha un grave difetto: tutti i personaggi sono picchiatelli sebbene, nonostante le apparenze, il più “normale” sia proprio Susan.
Il re d’Inghilterra, Enrico II, in occasione del Natale 1183 riunisce al castello i familiari per decidere chi tra i suoi tre figli gli succederà al trono. Egli propenderebbe per il minore, ma sua moglie è contraria. Fallito un intrigo ai suoi danni, il sovrano vorrebbe divorziare e risposarsi con l’amante per generare l’erede, ma non ha il coraggio di uccidere gli altri figli. La decisione sulla successione viene rimandata all’anno seguente.
Una fanciulla ricchissima si innamora di un ragazzo orgoglioso e testardo che non vuole farsi mantenere dalla famiglia di lei. Nessuno lo comprende, tranne la sorella della fidanzata che lo accetta così com’è e lo sposa.
Africa all’inizio della prima guerra mondiale. In una piccola missione metodista condotta dal pastore Samuel Sayer e da sua sorella Rose la notizia dello scoppio delle ostilità viene portata da Charlie, un canadese semialcolizzato che trasporta merci su un’imbarcazione denominata African Queen. Di lì a poco i tedeschi, che presidiano la zona, incendieranno il villaggio e feriranno a morte il pastore. Charlie propone a Rose di allontanarsi con lui ma la donna ha un progetto ben più ambizioso. Venuta a conoscenza della presenza della “Luisa” (una nave della Marina tedesca) in un lago raggiungibile percorrendo il fiume su cui la Regina d’Africa sta navigando, vuole farla affondare utilizzando l’esplosivo che Charlie trasporta. La missione non sarà facile ma cementerà l’inizialmente difficile rapporto tra i due trasformandolo in amore. “Una storia in cui due persone vanno su e giù su un fiume africano… A chi può interessare? Farete fallimento”. (Il produttore inglese Alexander Korda a Sam Spiegel nel momento in cui quest’ultimo decide di produrre La Regina d’Africa). Non sono pochi i film entrati nella leggenda del cinema per il loro valore e per le vicende produttive che li accompagnarono ma questa opera di John Huston è sicuramente uno dei più esemplari. Perché sin dall’inizio si trattava di un progetto a rischio a causa del soggetto (finì invece per costare 1,3 milioni di dollari incassandone subito 4,3 e offrendo ad Humphrey Bogart l’Oscar quale migliore attore). Il rischio ulteriore era poi costituito dalle riprese in esterno realizzate nel continente africano (tra Uganda e Zaire) con un protagonista (Bogart) troppo abituato agli studios per apprezzare la stravaganza. Che invece interessava molto a Huston, all’epoca maniaco della caccia grossa all’elefante. Peter Viertel (chiamato a sostituire nella stesura della sceneggiatura Patrick Agee che la stava completando direttamente in loco) documenta questa passione nel romanzo che diventerà nel 1990 un film con lo stesso titolo Cacciatore bianco, cuore nero, diretto e interpretato da Clint Eastwood. Se a questo si aggiunge il piacere leggermente sadico che il regista provava nel mettere in difficoltà gli attori il quadro è completo. Basti citare la scena in cui Charlie/Bogart è assalito dalle sanguisughe per capire come “il Mostro” (come lo chiamavano sul set) si divertisse. In studio fece portare un secchio pieno di veri anellidi salvo poi usarne di finti. Solo per mettere in tensione fino all’ultimo l’attore. Sul piano linguistico affascina ancora oggi la sfida colta da Huston nel realizzare un film che va oltre i generi consolidati. Infatti commedia, romanticismo, avventura e dramma si alternano e si fondono in un’opera sostanzialmente teatrale. Perché, sequenze iniziali e finali a parte, La Regina d’Africa è una pièce teatrale a due il cui palcoscenico è costituito dalle assi della scatarrante imbarcazione. La morte incombe e segna il percorso nonostante l’imposizione produttiva di modificare il finale del romanzo di C.S. Forester che si concludeva con il fallimento dell’impresa e la scomparsa di Rose nei flutti. Huston, nonostante l’happy end, scava nei corpi dei suoi protagonisti spingendoli allo stremo per compiere un’impresa non ‘eroica’ (non ne hanno le caratteristiche) ma ‘necessaria’. In questo va tenuto conto del fatto che il romanzo era stato pubblicato nel 1935, che c’erano stati due tentativi abortiti di tradurlo per lo schermo con le coppie Laughton/Lanchester e Davis/Niven ma che ora sulla pelle di molte famiglia americane bruciavano ancora i segni di una guerra vinta contro i tedeschi che era però costata le vite di molti soldati Ryan.
Vecchia attrice ritrova il primo amore dopo quarant’anni. Dapprima finge indifferenza, ma cede all’amore. Film prodotto per la televisione inglese da George Cukor che diresse la coppia Hepburn-Tracy nella loro ultima apparizione insieme: Indovina chi viene a cena? Regista e attori lavorano magistralmente: ascoltarli e vederli è una festa.
Un’aristocratica ragazza di Filadelfia, affascinante ma dotata d’un carattere impossibile, mette alla porta il marito e progetta un nuovo matrimonio con un arricchito. Durante i preparativi per le seconde nozze, sotto gli occhi sornioni di una coppia di giornalisti, il respinto riuscirà a riguadagnare il cuore della giovane dopo una memorabile sbronza che le farà abbassare le arie. Forse la migliore commedia americana del periodo d’oro (con Susanna di Howard Hawks), egregiamente interpretata dalla Hepburn, da Grant e da Stewart che, nei panni del giornalista, ebbe l’Oscar (un altro lo ottenne l’autore dello spumeggiante dialogo, Donald Ogden Stewart). Nel 1956 ne venne girata una nuova versione, Alta società, con Frank Sinatra, Grace Kelly e Bing Crosby.
Il cinema non aveva mai trattato lo spinoso problema dei matrimoni misti. Le difficoltà erano evidenti. Kramer ci provò, con molta cautela, affidandosi a due “testimoni” al di sopra di tutto: Katharine Hepburn e Spencer Tracy. Sono due genitori molto particolari. Matt e Christina Drayton rivedono la figlia di ritorno dalle Hawaii che, senza tanti preamboli, annuncia che sta per sposare un uomo di colore. Il padre della ragazza è proprietario di un giornale, la madre possiede una galleria d’arte, l’ambiente è una stupenda casa che guarda la baia di San Francisco. Il promesso sposo è un medico molto importante, con mille titoli accademici ed è… Sidney Poitier. Per un operaio di colore in una vicenda ambientata in Alabama doveva passare ancora qualche anno. I genitori naturalmente sono sconvolti, ma sono civili, umani e di vedute molto aperte. Meno facili sono i genitori di Poitier, diffidenti e quasi razzisti. Il problema fa emergere anche sensazioni lontane. Alla fine naturalmente tutto finisce bene; tutti si comportano alla perfezione. La storia dolcemente manierata, ma inedita nei film, rappresenta qualcosa di molto importante, anche se il filtro è quello della tradizione hollywoodiana del lieto fine.
Alla Federal Broadcasting Corporation c’è un ufficio “quesiti”, diretto da Bunny Watson dalla memoria imbattibile. Incaricato dal presidente della rete tv arriva Sumner, col compito di insegnare come si usa un computer. Si sparge il panico: licenziamenti in vista? Scritto da Phoebe e Henry Ephron, da una commedia (1955) di William Marchant, è il 1° film di Hollywood che ha al centro un computer; il 1° film in Technicolor e Cinemascope (Leon Shamroy) della coppia Tracy-Hepburn e l’8° dei 9 che hanno interpretato insieme; il 1° prodotto dalla Fox invece che dalla M-G-M. Con G. Young di supporto, Tracy e la Hepburn fanno scintille. Distribuito in Inghilterra come The Other Woman.
Ragazza milionaria va a vivere in un pensionato di ragazze artiste. Viziata e superficiale, riesce facilmente a ottenere il ruolo di protagonista in uno spettacolo teatrale in allestimento. Il suicidio di una compagna le aprirà gli occhi alla vita e al teatro. Tratta da una pièce (1936) di Edna Ferber e George S. Kaufman, sceneggiata da Morrie Ryskind e Anthony Veiller, è una commedia drammatica in cui gli elementi positivi sono una sceneggiatura che tiene in sapiente equilibrio il grave e il leggero, una regia intelligente attenta ai particolari e alla scansione ritmica della vicenda e soprattutto una straordinaria compagnia di attrici tra cui spiccano K. Hepburn e A. Leeds.
Il re d’Inghilterra, Enrico II, in occasione del Natale 1183 riunisce al castello i familiari per decidere chi tra i suoi tre figli gli succederà al trono. Egli propenderebbe per il minore, ma sua moglie è contraria. Fallito un intrigo ai suoi danni, il sovrano vorrebbe divorziare e risposarsi con l’amante per generare l’erede, ma non ha il coraggio di uccidere gli altri figli. La decisione sulla successione viene rimandata all’anno seguente.
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