In un ristorante francese di Londra si consuma, con la complicità dello chef, l’adulterio tra la moglie di un volgare e ricco mafioso e un bibliotecario. Scoperta la tresca, il marito uccide l’amante. La moglie si vendica, costringendolo a mangiarne il cadavere, e poi l’abbatte. Esaltato dalla fotografia del vecchio Sacha Vierny (1919) e dalla musica genialmente semplice di Michael Nyman, fondato sul trinomio cibo-sesso-violenza, è il film più sarcastico, feroce e divertente di P. Greenaway. Anche il più politico. La ripetitività del racconto, scandito in dieci giornate (e pranzi) può indurre a sazietà, ma l’assiste l’angelo custode di un umorismo nero.
Esordio nella regia del produttore Lee Daniels che – su una sceneggiatura di William Lipz di originalità bizzarra e trasgressiva in materia di erotismo e violenza – ha fatto il noir più colorato della storia di Hollywood, ambientato in una Philadelphia tratteggiata con golosità estetizzante. Bastano i due protagonisti a darne un’idea: lavorano in coppia come sicari a pagamento. La bianca Rose, malata terminale, da giovane voleva cambiare il mondo, disposta anche a uccidere, finché si mette insieme col nero Mickey, pugile disoccupato che potrebbe essere suo figlio. Da un boss psicopatico e sadico hanno l’incarico di eliminare Vickie (Ferlito), sua moglie presunta infedele. Ma Rose scopre che la donna è incinta. Scontati l’irrealismo di fondo e l’oltranza narrativa, la scrittura registica può dare persino un piacere sensuale. Le danno un contributo notevole M. David Muller (fotografia) e Stephen Saklad (scene). Attenzione ai titoli di testa. Nessun successo di pubblico, snobbato dai critici.
Una complessa operazione internazionale, per neutralizzare una cellula terroristica, si intensifica quando alcuni dei maggiori ricercati si trovano nella stessa casa, a Nairobi, e stanno preparando attentati suicidi. Dopo una serie di estenuanti telefonate burocratiche tra il colonnello Powell, il generale Benson (ultima performance di Rickman) e i membri del Governo britannico e americano, la decisione è quella di inviare un drone. L’arma tecnologica è pilotata dal giovane ufficiale Steve Watts dall’interno di un hangar nel deserto del Nevada. Ma una bambina si siede davanti al bersaglio, a vendere pane. Il pilota si rifiuta di premere “il grilletto”. Che fare? Valutare nuovamente i danni collaterali? Rischiare di uccidere anche la bambina, considerando che i kamikaze provocheranno un numero nettamente superiore di morti? Hood affronta il dibattito sulla giustizia dei droni, come Good Kill di Niccol. Un racconto teso, con personaggi umani, cinici, dai nervi d’acciaio e un lessico tagliente; un film ambientato nei campi minati dell’etica. Un soldato obbedisce senza fiatare o viene rimosso dal suo incarico. Qui il soldato impersona la coscienza della guerra moderna; nodo narrativo in cui si impiglia la trama di questa profonda commedia nerissima, scritta da Guy Hibbert.
Nove anni dopo il fallimento della missione americana del Discovery (2001: Odissea nello spazio di Kubrick) parte per Giove una missione di sovietici e americani a bordo dell’astronave Leonov per ritrovare il Discovery e il misterioso monolite che racchiude i misteri del cosmo. Gli scienziati scoprono che la missione era fallita perché lo stesso computer era andato in tilt quando si era messo in contatto con il monolite. Intanto dalla Terra ricevono l’ordine di separarsi perché sta per scoppiare una terza guerra mondiale, ma prima i russi e gli americani assistono ad un’immane deflagrazione che distrugge Giove e fa nascere un nuovo sole.
The Leisure Seeker è il soprannome del vecchio camper con cui Ella e John Spencer andavano in vacanza coi figli negli anni Settanta. Una mattina d’estate, per sfuggire ad un destino di cure mediche che li separerebbe per sempre, la coppia sorprende i figli ormai adulti e invadenti e sale a bordo di quel veicolo anacronistico per scaraventarsi avventurosamente giù per la Old Route 1, destinazione Key West. John è svanito e smemorato ma forte, Ella è acciaccata e fragile ma lucidissima. Il loro sarà un viaggio pieno di sorprese.
Frank Moses è un ex agente della CIA in pensione, che vive in una villetta uguale alle altre cercando di fare una vita uguale alle altre. Purtroppo per lui e per Sarah, la ragazza ingenua e sognatrice che ha conosciuto al telefono, i segreti di stato in possesso di Frank lo hanno trasformato da strumento di morte a bersaglio dell’Intelligence: qualcuno da eliminare e in fretta. Inizia così quella che può apparire come la fuga di Frank Moses ma altro non è che il giro di reclutamento dei vecchi compagni: il vecchio Joe, il folle Marvin, il russo Ivan, lady Victoria, dopo di che la canna della pistola compie un giro di 180 gradi e la fuga si fa vendetta, la diaspora riunione, la pensione una nuova missione. Tratto dal breve fumetto DC Comics scritto da Warren Ellis e illustrato da Cully Hammer, Red è stato completamente reinventato nella sceneggiatura dei fratelli Hoeber, responsabili dell’inserimento dei compagni di ventura del protagonista e del tono divertito e alleggerito del film. Non è, infatti, come uno dei più significativi adattamenti da un fumetto che si fa apprezzare e ricordare questo film, ma piuttosto come una riuscita composizione di quadri, personaggi e situazioni provenienti da spezzoni di pellicole diverse e originalmente e gradevolmente assemblati. I film come materiali di partenza e il racconto come risultato, dunque, anziché viceversa. Ecco allora che nel bel prologo con Bruce Willis, ex supereroe in vestaglia, che prende a pugni il sacco dopo colazione, non c’è solo l’eco del suo Butch in Pulp Fiction (il pugile, la colazione, il mitra) ma c’è anche mister Incredibile e Léon (la piantina), mentre arrivati alla scena del ricevimento di gala, vien da chiedersi quando ci siamo già stati, se in un episodio cinematografico della saga di Danny Ocean o in uno televisivo di Alias. Eppure non sono citazioni soffocanti, forse non sono neppure citazioni, e c’è spazio per molto altro, compreso il sublime personaggio di John Malkovich, un panzone paranoico con un maialino di peluche sotto braccio dal quale estrarrà l’arma con cui umiliare una signorotta col bazooka, in una sequenza emblematica dell’operazione nel suo insieme, quanto a connubio tra ironia e spettacolarità. Ma Willis e Malkovich non sono i soli a portare un valore aggiunto al proprio ruolo: a loro modo lo fanno anche “la regina” Helen Mirren, con il richiamo sornione alla passione tutta inglese per il giardinaggio, e Brian Cox, con la trilogia di Bourne nel curriculum. In assoluto, oltre a qualche buona battuta e a qualche ambientazione più originale del solito, è essenzialmente a quest’alchimia tra attore e personaggio che si deve il piacere della visione. Da segnalare, in coda, un motivo di interesse anche nella figura di Sarah che, nel campionario dei caratteri femminili cinematografici, si può ascrivere come appartenente alla categoria della “palla al piede”. Con i romanzetti rosa in testa e le manette alle mani (quando non la pistola alla tempia), pretende ed ottiene di essere portata in prima linea e salvata ogni volta, contribuendo a fare del consenziente Bruce Willis un gentleman come pochi altri.
Sean Penn, al suo terzo lungometraggio, dimostra la stoffa dell’abile confezionatore di film di buon livello capaci (ed è già molto) di tenere desta l’attenzione dello spettatore. Il film si ispira al romanzo omonimo dello scrittore svizzero Friedrich Durrenmatt, anche se ben poco resta dello spirito tipicamente centroeuropeo di un autore che affermava la prevalenza del ‘gioco’ sul ‘messaggio’. L’ispettore di polizia Jerry Black è giunto al giorno della pensione. Arriva però la notizia del ritrovamento del cadavere straziato di una bambina e Black si offre per l’avvio delle indagini. Queste hanno breve durata perché il presunto colpevole viene catturato e sembra ‘firmare’ la propria confessione sottraendo una pistola a un poliziotto e sparandosi in bocca. Il caso è chiuso ma Black non è convinto: ha promesso solennemente alla madre di prendere l’assassino. Riesce così a scoprire un’area in cui il killer di bambine (tutte con le stesse caratteristiche) ha agito negli ultimi anni. Vi si installa rilevando un piccolo negozio di articoli vari e ottenendo la fiducia della barista locale che ha una figlia che per età e caratteristiche fisiche assomiglia alle uccise. Jerry è fermamente deciso a tutelare la piccola ma anche a prendere il killer. Penn gira con grande tatto anche se manca quel salto di qualità che è proprio dei grandi registi.
Tratto dai primi 3 libri della saga (15 volumi) letteraria I guardiani di Ga’Hoole di Kathryn Lasky. Il giovane gufo Soren sogna di potersi unire un giorno ai guardiani di Ga’Hoole, di cui suo padre gli narra le imprese, i mitici guerrieri alati che hanno combattuto per salvare tutti i gufi dai perfidi Puri. La gelosia di suo fratello maggiore Kludd che, al contrario, pensa solo a cacciare e volare per conquistarsi il favore del padre, li fa finire entrambi nei loro artigli. Prodotto dalla Warner, è un fantasy di animazione – con i notevoli effetti digitali di Aidan Sarsfield e Ben Gunsberger – educativo e retorico, diretto ai ragazzini ma con l’utilizzo di un linguaggio per adulti. Snyder si è concesso una pausa con un film per famiglie, ma non sa allontanarsi da 300 e mette troppa carne al fuoco.
Come S. Frears e il suo sceneggiatore Peter Morgan hanno salvato la regina Elisabetta II (e un po’ anche Tony Blair) quando, nell’agosto 1997, la famiglia reale attraversò un grave momento nella settimana seguente alla morte della principessa Diana. Erano così imbalsamati nella tradizione da non voler rompere con il protocollo nemmeno in quella situazione di lutto popolare. Sostenuto da una maniacale attenzione ai dettagli e da un puntiglioso lavoro di documentazione, convincente negli inevitabili passaggi inventati sui retroscena, il film riesce a essere divertente, persino commovente, ma anche puntuto e perfido con intelligenza, con azzeccati inserti di filmati di repertorio. Frears lavora con la maestria di un grande direttore d’orchestra. Attrice versatile che recita di fino – specialista in regine (Cleopatra a 18 anni in teatro; Queen Charlotte in La pazzia di re Giorgio con premio a Cannes; Elisabetta I nel 2004 in una miniserie TV HBO con un premio Emmy) – H. Mirren vinse con merito l’Oscar e la Coppa Volpi a Venezia 2006 dove fu premiata anche la sceneggiatura. Nel 2003 M. Sheen interpretò Tony Blair nel film TV The Deal della coppia Morgan/Frears.
Sceneggiatura di John J. McLaughlin, ispirata al libro di Stephen Rebello Come Hitchcock ha realizzato Psycho . Coprodotto dal regista, il film costò circa 800 000 dollari e soltanto sul mercato USA ne incassò oltre 14 milioni. È risaputo che al regista piacevano le bionde e tali sono, da Grace Kelly a Tippi Hedren, le sue interpreti, ma il film dell’esordiente Gervasi si concentra sui rapporti tra Hitch e la moglie che bionda non era e che per 30 anni, fino all’ultimo, fu la sua più intelligente collaboratrice, non senza screzi e liti. “È un’indagine sull’universo creativo del re della suspense con la sfera sessuale che influenza l’ispirazione e la pratica del cinema che placa le pulsioni dell’inconscio” (M. Gervasini). Distribuito da Fox.
Laureato, con moglie e quattro figli, si rifugia nella incorrotta Costa delle Zanzare dell’America Centrale, acquista un villaggio e costruisce una fabbrica di ghiaccio. Sceneggiato da Paul Schrader da un romanzo di Paul Théroux, è un antifilm di avventure in cui Ford interpreta un personaggio agli antipodi di Indiana Jones, quello di un uomo di buona volontà che l’ideologia spinta al fanatismo trasforma in despota e carnefice. All’australiano Weir il conflitto tra homo faber occidentale e natura vergine si addice. Pur irrigidito nella sua tesi, emoziona e avvince.
Nel 1788 il comportamento di re Giorgio III (1738-1820), sul trono dal 1760, si fa sempre più eccentrico e squilibrato finché è diagnosticato come pazzo e affidato in cura a un medico (I. Holm) che gli insegna a convivere con la sua malattia (porfiria). Nel 1811, definitivamente peggiorato, fu sostituito dal primo dei suoi 15 figli, Giorgio IV. 1° film di N. Hytner (1956), noto regista teatrale a Londra e a Broadway, è un’opera accademica, molto british nell’accurata eleganza della ricostruzione d’epoca, che descrive con occhio irriverente il cerimoniale di corte e le diseguaglianze sociali. Si avvale della straordinaria interpretazione di N. Hawthorne (con la voce di Giancarlo Giannini) che aveva già recitato la parte centinaia di volte sul palcoscenico. Premio della migliore attrice a Cannes per H. Mirren e Oscar per Ken Adam, production designer , e l’arredatrice Carolyn Scott. Il titolo della pièce di Alan Bennett da cui è tratto è The Madness of King George III . Incredibile ma vero: il “III” fu tolto dal titolo per non far credere che fosse il 3° film di una serie.
Il piccolo Artù è sottratto ancora in fasce alla madre dal Mago Merlino per essere preparato alla grande impresa di estrarre Excalibur, la spada magica, dalla roccia. Artù ci riesce e viene proclamato re. Cinema di grande spettacolo che attinge al ciclo delle leggende medievali bretoni, in particolare al romanzo cavalleresco La morte Darthur ( Storia di Artù e dei suoi cavalieri , 1469-85) di Thomas Malory, adattato da Rospo Pallemberg con l’irlandese Boorman. Girato in Irlanda. Musiche del sudafricano Trevor Jones, impasto di canti corali medievali, interventi al sintetizzatore elettronico con citazioni di Wagner e Orff.
Iscritto al partito comunista, Trumbo, il più pagato sceneggiatore di Hollywood, nel 1947 risponde con affilata ironia alla commissione sulle attività antiamericane, l’organo parlamentare promotore della “caccia alle streghe” maccartista (dal nome del senatore McCarthy che la presiedette). Inserito nella black list dei “rossi”, è condannato a 11 mesi per oltraggio al Congresso e, dopo la prigione, nessuno gli offre più lavoro. Riesce a mantenere la sua famiglia vendendo sceneggiature sotto falso nome e vince clandestinamente 2 Oscar ( Vacanze romane e La più grande corrida ). È riabilitato negli anni ’60, ma gli Oscar gli sono riconosciuti solo nel 1975. Al suo 9° LM, Roach svolta passando dalla commedia, spesso farsesca, al bio-pic storico-politico. La trasmutazione riesce grazie all’avvincente e circostanziata sceneggiatura di John McNamara, cavata dal libro (2015) di Bruce Cook. Attraverso la vicenda umana di Trumbo, il film documenta in modo incisivo la persecuzione ideologica scatenata dalla destra americana durante la guerra fredda negli ambienti del cinema USA, ma anche le diverse posizioni di alcuni dei suoi protagonisti: dal fanatismo anticomunista di John Wayne, al tradimento codardo di Edward G. Robinson, alla coraggiosa solidarietà di Otto Preminger e Kirk Douglas. Cranston, nominato all’Oscar, non interpreta Trumbo, ne è la reincarnazione. Imperdibile per cinefili e cultori della storia contemporanea.
Un film di Kevin Macdonald. Con Russell Crowe, Ben Affleck, Rachel McAdams, Helen Mirren, Robin Wright. Titolo originale State of Play. Azione, Ratings: Kids+13, durata 125 min. – USA 2009. – Universal Pictures uscita giovedì 30aprile 2009. MYMONETRO State of Play valutazione media: 3,15 su 61 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Cal McAffrey è un veterano della carta stampata, il suo è un giornalismo che va di persona alla fonte, che investiga, si pone domande, nel nome della verità e di una buona storia. Stephen Collins è stato suo compagno di studi e di stanza e ora è un giovane ed ambizioso deputato a capo di un comitato che controlla le spese per la difesa nazionale, in odore di abnormi illeciti. Quando la bella assistente nonché amante di Collins muore in un dubbio incidente, le strade dei due amici tornano ad incrociarsi tra loro e con quelle della giovane Della Frye, reginetta della blogosfera, e di Anne Collins, moglie di Stephen, alla quale Cal è tutt’altro che estraneo.
Riduzione e reinvenzione dell’omonima miniserie inglese di sei ore, State of Play sposta l’azione nel cuore simbolico del potere, Washington D.C., e racconta un’appassionante partita a guardie e ladri tra politica e giornalismo, dove ognuno dei contendenti conosce ed usa gli strumenti dell’altro e fa leva sulle sue debolezze. Arbitra Kevin McDonald, che viene dal documentario (e che documentario, Un giorno a settembre) e sa trovare la verità nell’invenzione. Il mondo del giornalismo è ritratto con l’occhio dell’insider: tra la macchina da presa e il mestiere messo in scena non c’è altro filtro che una parete di vetro, trasparente; il mondo della politica, al contrario, è il regno della mediazione: schermi televisivi, obiettivi fotografici, microfoni cui affidare frasi scelte e ponderate. L’umanità della storia s’infila nel mezzo, là dove il politico bussa alla porta del reporter e viceversa.
Tutto, qui, ha almeno una doppia prospettiva e più spesso un ventaglio di prospettive: un ventaglio di penne, una per ogni versione possibile dell’articolo da scrivere. Il film stesso raddoppia, rilanciandosi nel finale, e innestando magistralmente, sul tempo “reale” del giornale che deve andare in stampa, il tempo finzionale del genere: le intuizioni dell’ultimo minuto, l’arrivo provvidenziale della polizia.
Il risultato è un presente caricato di urgenza, una situazione in costante divenire, uno “state of play” bisognoso di costante aggiornamento, per il quale, forse, il vecchio giornalismo sporco d’inchiostro non è più adatto.
Russell Crowe e Ben Affleck hanno preso in corso d’opera il posto che doveva essere di Brad Pitt e Edward Norton e ci stanno così bene che si fatica a pensarli altrove: il primo col suo mimetismo e l’aria un poco fuori moda e fuori uso – ma la sua Saab sulla strada viaggia ancora benissimo -, e il secondo con quell’aria belloccia e compassionevole in un’era in cui i bellocci non fanno più compassione a nessuno. Al loro fianco, Helen Mirren e Jason Bateman assicurano il movimento della pagina, il tocco di stile. View full article »
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