Una malattia per molti versi simile all’influenza suina ma capace di svilupparsi anche per contatto con estrema rapidità sta colpendo il mondo. La comunità medica mondiale si trova in breve tempo a dover affrontare la ricerca di una cura e il controllo del panico che si diffonde progressivamente ovunque. Le persone reagiscono in modo diverso e a seconda della responsabilità che è stata loro attribuita o che si sono autonomamente conferita. Se un alieno fosse messo dinanzi a Ocean’s Eleven, Full Frontal e Il Che quasi sicuramente non direbbe che sono frutto del talento dello stesso regista. Perché uno dei grandi pregi di Steven Soderbergh (anche quando, come in questo caso, lavora su commissione) è quello di continuare a sperimentare sia sul piano della sceneggiatura che su quello linguistico cinematografico.
All’inizio siamo in presenza del solito serial killer. Ma ben presto l’attenzione si sposta su Tracy, una Nicole Kidman abilissima nel delineare un personaggio ambiguo che si confronta senza falsi pudori con le dark lady del noir riuscendo a non sfigurare.
Una ragazza prende la metropolitana. Subito dopo la stessa ragazza non riesce per una frazione di secondo a prendere la stessa metropolitana. Partono così due destini della stessa persona. Se avesse preso quel treno cosa le sarebbe successo? Così sono due le storie. Una finisce bene, con un nuovo amore, l’altra finisce male. Un singolare esperimento narrativo, di buon succeso di pubblico e di buon stile narrativo. L’emergentissima Paltrow è molto brava, a proprio agio nei due destini e personalità.
Hal ha dovuto promettere al padre in punto di morte che non avrebbe mai avuto una ragazza che non fosse bella. E così si è procurato una serie di avventure con donne belle ma che non gli interessavano granché. Un giorno però resta bloccato in ascensore con un ipnotista che gli impone di guardare all’interiorità delle donne. Così si innamora di Rosemary e dei suoi 120 chili. I Farrelly colpiscono ancora avvalendosi della disponibilità della Paltrow pronta a sottoporsi a 4 ore di trucco per assumere le ‘dimensioni’ richieste. Nella loro voglia di trasgredire i due fratelli si dimostrano ancora una volta (e nonostante le apparenze) più ‘moralisti’ di altri.
Nella Londra del giovane Shakespeare e di Elisabetta prima si combattono vere battaglie fra teatri per assicurarsi le opere di scrittori come William, appunto, e Christopher Marlowe, che ha appena scritto il suo Faustus. Shakespeare vorrebbe scrivere una storia di pirati, poi “ripiega” su Giulietta e Romeo. Si sa che solo gli uomini potevano salire sul palcoscenico, ma la giovane e bellissima Viola (Paltrow) divorata dalla passione per il teatro si traveste da uomo per fare Giulietta. Fra l’equivoco iniziale e la rappresentazione del dramma William e Viola si amano furiosamente. C’è anche la regina, che benedice la pièce, ma non l’amore dei due. Costumi e ricostruzione straordinari, sceneggiatura vivace, debordante e magnificamente bugiarda (Marc Norman, Tom Stoppard). Insomma cinema vero, e anche cinema nuovo. Una storia piena di sicurezze su un personaggio del quale di sicuro si sa pochissimo – una certa corrente nega persino la sua esistenza -. Comunque ben vengano, in cinema, queste licenze, fanno parte della sua natura e del suo gioco, e qui il gioco è davvero bello. Si sono riviste scene d’amore finalmente “naturali”, con “baci e abbracci” che il cinema sembrava aver disimparato. È senz’altro il trionfo della Paltrow, ormai buona per tutti i ruoli, un po’ Grace Kelly e un po’ Audrey Hepburn, in procinto di diventare la numero uno di Hollywood. E ha vinto l’Oscar. Il film aveva avuto tredici candidature, sette sono diventate statuette, alcune molto importanti (al film, alla sceneggiatura, e alla straordinaria Judy Dench che fa Elisabetta per otto minuti.) Shakespeare in Love è il film dell’anno, e sarà certamente un precursore.
Un film di Wes Anderson. Con Gene Hackman, Anjelica Huston, Ben Stiller, Gwyneth Paltrow, Luke Wilson. Titolo originale The Royal Tenenbaums. Commedia, durata 109 min. – USA 2001. MYMONETRO I Tenenbaum valutazione media: 3,86 su 31 recensioni di critica, pubblico e dizionari Royal e Etheline Tenenbaum, newyorkesi dell’upper class, hanno avuto tre figli. Tre bambini prodigio: Chas, piccolo genio della finanza inventore di topi dalmata; Richie, giovane campione di tennis; e Margot, figlia adottiva drammaturga iperdepressa. Dopo anni di separazione i tre fratelli adulti si ritrovano a fare un tuffo nel passato della grande e colorata casa d’infanzia di Archer Avenue (che tanto ricorda quella degli Amberson wellesiani) tra vecchi giochi in scatola e vinili impolverati. Tutto in questo bizzarro universo isolato dal mondo reale sembra rimasto com’era. Le camerette ospitano ancora giradischi, disegni infantili e tende da campeggio. I tre vestono ancora come una volta: tuta rossa e folto cespuglio di capelli Chas, pelliccia e occhi truccatissimi Margot, tenuta da tennista e occhiali scuri il timido Richie. Ma le loro vite sono cambiate: Chas, in seguito alla perdita della moglie, è diventato un maniaco della sicurezza sua e dei due figli; Margot, con un matrimonio infelice in corso, è altrettanto triste con il suo amante clandestino Eli Cash, vicino dei Tenenbaum con l’unico desiderio di “essere un Tenenbaum”. Richie, da sempre segretamente innamorato della sorella adottiva, si è imbarcato dopo aver perso un match decisivo proprio il giorno successivo al matrimonio di Margot. L’occasione della loro riunione è il ritorno a casa del padre Royal, forse gravemente malato, proprio nel momento in cui la sua ex moglie sta per risposarsi. Strutturato in capitoli dall’andamento descrittivo (più che narrativo) legati tra loro dall’intervento di un’eloquente voce narrante, la terza dolceamara e matura opera di Wes Anderson esalta le atmosfere eleganti, nostalgiche e surreali dei film precedenti, creando un mosaico di personaggi demodè, eccentrici e realistici allo stesso tempo. La sua grandezza è quella di riuscire, attraverso l’ironia delle sue figure stralunate, a parlarci in maniera lieve, originale e personalissima di sentimenti universali. Supportato da un appropriato universo musicale retrò (brani dei Velvet Underground, dei Beatles, di Nico e Paul Simon) e da una curatissima scenografia dai colori pop, il film, che potrebbe essere stato scritto dal Salinger di Franny & Zooey o dall’Ashby di Harold e Maude, vibra d’intensità grazie alla sentita interpretazione degli attori, qui in ruoli per loro inconsueti: dalla depressa Paltrow in versione dark, all’introverso sensibile Luke Wilson, passando per lo svanito Owen Wilson (autore insieme all’amico regista della sceneggiatura), fino ad arrivare all’immaturo e infantile padre di famiglia dandy Royal, interpretato da un intenso e stravagante Gene Hackman. A completare il quadro una galleria di personaggi “minori” che, come di consueto nel cinema “attento allo sfondo” di Wes Anderson, non sono mai marginali: dal fedele domestico Pagoda al finto medico interpretato da Seymour Cassel, volto invecchiato di quell’universo anni Settanta tanto amato dal regista.
Sette i peccati capitali, sette gli omicidi che uno psicopatico programma, corredati da torture efferate. Comincia con la gola e l’avarizia, continua con l’accidia. L’ultimo è la lussuria, ma l’intervento di due investigatori, uno anziano e nero, l’altro giovane e bianco, lo obbliga a modificare il piano. Tra i tanti meriti della sceneggiatura di Andrew Kevin Walker c’è anche quello di aver modificato gli stereotipi della coppia bianco-nero approfondendo i personaggi a livello psicologico e legandoli ai temi principali del film: la presenza del Male nel mondo e l’indifferenza di fronte alla caduta dei valori. Un film dal taglio espressionista (fotografia di Darius Khondji; musica di Howard Shore), ambientato in una città senza nome, ricco di citazioni letterarie che ne sono la minacciosa struttura e senza una scena di violenza, di cui sono visibili soltanto le conseguenze. Un bel cast in cui si distingue K. Spacey nel tragico epilogo.
Un film di Douglas McGrath. Con Gwyneth Paltrow, James Cosmo, Greta Scacchi, Alan Cumming, Denys Hawthorne.Drammatico, Ratings: Kids, durata 111′ min. – Gran Bretagna 1996. MYMONETRO Emma valutazione media: 3,06 su 12 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
È la storia di una ventiduenne ricca, intelligente, generosa, ben educata e molto (troppo) soddisfatta di sé. Pretende di organizzare il futuro degli altri, ma non sa farlo col proprio. Ha tante virtù e un vizio, uno dei sette capitali: la superbia. Crede di essere Dio. Da un romanzo (1816) di Jane Austen, una moda degli anni ’90, l’americano esordiente McGrath, cosceneggiatore di Pallottole su Broadway, ha desunto un film elegante alla Ivory, ammirevole per la sapienza del ritmo, fondato sui dialoghi che in “colei che fu l’artista più perfetta tra le donne” (Virginia Woolf) sono il motore dell’azione e trasformano il pettegolezzo in arte. McGrath li ha riscritti e impaginati con una sagacia che non è soltanto mestiere. In una compagnia di attori inglesi, scozzesi (come P. Law, madre anche nella vita di S. Thompson, sorella di Emma), australiani e una italo-britannica (Scacchi), la Paltrow è l’unica americana. Eccellente. Oscar per le musiche dell’inglese Rachel Portman, il 1° assegnato a una donna. View full article »
Un film di Alfonso Cuarón. Con Anne Bancroft, Ethan Hawke, Robert De Niro, Gwyneth Paltrow, Chris Cooper Titolo originale Great Expectations. Drammatico, durata 110 min. – USA 1998. MYMONETRO Paradiso perduto valutazione media: 3,23 su 11 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Il giovane Finn, cresciuto dalla sorella e dal suo compagno, un giorno viene notato dalla vecchia signora Dinsmoor. La donna iniziò ad invitarlo ogni sabato nella sua dimora, il Paradiso Perduto, in cui viveva assieme alla nipote Estella. Finn sin dal primo momento s’innamorò di quella bambina. Tutto secondo i piani dell’anziana zia. Il tempo passava e l’amore cresceva. Un giorno però Estella va via, per pochi giorni che poi divennero un per sempre. Da allora Finn abbandonò definitivamente la pittura, sino alla comparsa di un misterioso benefattore disposto a pagargli gli studi e a mantenerlo a New York. Proprio nella grande mela ritrova la sua amata, che ritorna ad essere la sua musa e la sua amante. Finn s’illude d’averla ritrovata per sempre, ignaro del fatto che Estella è stata educata dalla zia a non innamorarsi.
Quando un grande amore spezza il cuore, il cuore comincia a generare rabbia e odio. È questo il filo conduttore del film, tratto da un racconto di Charles Dickens. Ma l’amore e la speranza sono pronte a combattere quell’odio e a venire alla luce. Diretto da Alfonso Cuaròn (Y tu mama tambien, Harry Potter e il prigioniero di Azkaban), il film mette in scena la danza dei sentimenti. Perfetta Gwyneth Paltrow nel ruolo dell’algida Estella, divina Anne Bancroft nell’interpretazione dell’eccentrica e crudelissima Mrs. Dinsmoor.
Strepitosa la colonna sonora con pezzi di Iggy Pop, Pulp, Mono, Tori Amos e molti altri, che fanno da colonna sonora a questa “piramide del dolore”. View full article »
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