Un giovane intellettuale romano va in crisi. Inutilmente la madre cerca di risollevarlo spingendogli donne facili fra le braccia. Lui si scuote solo quando si innamora sul serio di una piccante ragazzina. Ma questa ha un passato burrascoso con uomini anziani. Quando il protagonista lo viene a sapere, si disamora.
Uno straccivendolo romano e la moglie si battono ogni anno a scopone con una vecchia e dispotica miliardaria americana in coppia con il suo segretario. In un primo tempo la posta in palio è fittizia, ma poi si fa sul serio: si giocano tutti i risparmi della borgata. Scritta da Rodolfo Sonego, è una vetta della commedia italiana, basata sulla dialettica denaro-potere. E la morale è amara: a giocare con i ricchi (con chi tiene il banco) si perde sempre. Non c’è divisione tra buoni (poveri) e cattivi (ricchi): la linea di separazione è segnata dalla classe sociale e dall’obbligata scelta di campo. Film appassionante, interpretabile a vari livelli e recitato da attori infallibili.
Sposato con un’americana (Davis), un ingegnere tedesco antinazista (Lukas) è costretto a una vita nomade e stentata finché arriva a Washington con moglie e figli, ospitato nella ricca casa della famiglia di lei. Qui, ricattato da un nobile rumeno (Couloris) che minaccia di denunciarlo all’ambasciata germanica, lo uccide e riparte per l’Europa per continuare la sua missione antifascista. Tratto da una pièce (1941) di Lillian Hellman che ottenne il New York Drama Critics’s Award, e sceneggiato da Dashiell Hammett, allora compagno della Hellman, è un film Warner che risulta oggi verboso e statico anche perché diretto da H. Shumlin che, dopo questo e un 2° film, opportunamente ritornò alle regie teatrali. Bisogna, però, giudicarlo all’interno del contesto storico-politico del tempo: nel 1941 l’opinione pubblica americana e le potenti lobby che la influenzavano erano ancora divise nei confronti del nazifascismo europeo. Doppiaggio a parte, il film conta per gli attori. P. Lukas vinse l’Oscar e L. Watson una candidatura insieme a quelle per il miglior film e la sceneggiatura. B. Davis dichiarò poi: “Non era la mia parte favorita, ma sapevo che valeva la pena fare quel film”.
Bette Davis in uno dei suoi tradizionali ruoli di terribile arpia. Qui è anche guercia. Fa la matriarca di una famiglia che ogni anno usa riunire i suoi congiunti per una festa che più che altro è occasione per metterli sotto i piedi. Stavolta però uno dei figli (l’unico che è riuscito a formarsi una famiglia per conto suo) spinto dalla giovane moglie, si ribella.
Ragazza di ricca famiglia viene mandata in convalescenza a fare una crociera nel Sud America. Conosce un uomo sposato e i due si innamorano perdutamente.
Film così, oggi, non sanno farli più, e non soltanto perché attori con quel carisma non ne esistono più in circolazione. L’assurdo e il sublime vanno a braccetto, la 1ª parte è nettamente superiore alla 2ª, ma perché chiedere la luna quando si hanno le stelle? Scritto da Casey Robinson e tratto da un romanzo di Olive Higgins Prouty. B. Davis era capace di tutto, anche di un personaggio romantico. Oscar per la musica a Max Steiner.
Violoncellista europeo arriva dopo la guerra a New York, sposa un’amatissima pianista che gli nasconde di essere stata l’amante di celebre e possessivo compositore. Finale cruento. Da un dramma teatrale a 2 personaggi di Louis Verneuil un melodramma triangolare con molta musica classica (Haydn, Beethoven, Chopin e un pezzo originale di E.W. Korngold), appartamenti immensi e lo stesso trio d’interpreti di Perdutamente tua (1942) dello stesso Rapper, dove, forse per l’unica volta, B. Davis si fa rubare il film da un partner (C. Rains), ma alla fine, smentendo le menzogne, si prende la rivincita. Preceduto da Jealousy (1929) con Jeanne Eagels e Fredric March. Un classico del gusto camp.
Un film di Henry Koster. Con Richard Todd, Bette Davis Titolo originale The Virgin Queen. Avventura, durata 92′ min. – USA 1955. MYMONETRO Il favorito della grande regina valutazione media: 2,75 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Ritratto in piedi di Sir Walter Raleigh (1552-1618) che viaggiò molto in mare per conto della sua regina Elisabetta, occupò la Virginia, introdusse in Europa l’uso del tabacco e la coltivazione della patata. 1° cinemascope e 2ª Elisabetta regina per la Davis, ma il vero protagonista è Sir Walter Raleigh (Todd). Convenzionale, competente, storicamente semplificato, ma ben recitato da tutti. A testa rasata, la Davis è grande.
È la storia romanzata dell’amore travagliato tra Elisabetta e il conte di Essex, tra intrighi di corte, tradimenti, decapitazioni. Tratto da Elizabeth the Queen di Maxwell Anderson, è un insieme di tableaux senza vita, resi più brillanti, talvolta, da scenografie pittoresche o espressioniste. B. Davis trabocca di manierismi. E. Flynn manca di tono e di colore. Nel 1939 M. Curtiz diresse 4 film e mezzo.
Una bella del Sud vive 37 anni in una villa solitaria, tormentata dai ricordi dell’assassinio del fidanzato. Parenti infidi che mirano alla sua eredità la terrorizzano con macabre trovate. Sulla scia del successo di Che fine ha fatto Baby Jane? (1962), un 2° thriller in cui O. de Havilland sostituisce la Crawford ammalata. 4 nomination agli Oscar, una delle quali per la fotografia di Joe Biroc. Il soggetto è di Henry Farrell, autore del romanzo che è all’origine di Baby Jane; anche lo sceneggiatore è il medesimo, Lucas Heller che ha più di un debito con P. Boileau e T. Narcejac e Les Diaboliques. L’anomala misoginia di R. Aldrich tocca qui il vertice del barocchismo.
Melodramma che riesce a restituire ottimamente il clima d’angoscia che contraddistingue il romanzo (di Somerset Maugham) da cui è tratto, è il primo film dove Bette Davis appare nel ruolo della maliarda senza scrupoli, una maschera che condizionò la sua carriera negli anni a venire. Per questo ruolo le venne ingiustamente negato l’Oscar, assegnatole prontamente come risarcimento l’anno successivo. Philip Carey (Leslie Howard), un pittore fallito storpio diventato in seguito studente di medicina, si innamora follemente di Mildred (Bette Davis) che sembra ricambiarlo, nonostante continui a flirtare anche con altri uomini. Mildred decide però di sposare un altro, ma quando resta incinta viene abbandonata e fino alla sua morte continuerà a ricorrere a Philip nei momenti di maggiore difficoltà, lasciandolo poi ogni volta nella più completa disperazione. Il film di John Cromwell è uno dei più riusciti drammi sentimentali hollywoodiani e costituisce la prima e più convincente versione del romanzo di Somerset Maugham, a cui ne seguirono altre molto meno soddisfacenti.
Nel profondo sud, una donna di quarant’anni nevrotica e passionale tradisce il marito. L’amante, un riccone di Chicago, le offre il matrimonio, ma la donna è incinta e ha paura di rivelarglielo per non perderlo. Ma si ferisce gravemente e muore all’ospedale per le ferite, nonostante le cure del marito medico.
Dal dramma (1933) di Owen Davis: New Orleans, 1850. Giovane proprietaria di piantagioni esaspera con i suoi capricci l’uomo amato che la lascia e sposa un’altra. Quando anni dopo lui s’ammala di febbre gialla lo raggiunge in quarantena, disposta a morire. Due momenti forti in questo melodramma che fu la risposta (anticipata) della Warner a Via col vento: la scena del ballo e le sequenze dell’epidemia. La Davis vinse il suo 2° Oscar dopo Paura d’amare e la Bainter quello dell’attrice non protagonista. Nomination per regia, fotografia di E. Haller e musiche di M. Steiner, ammirevoli.
Jane Hudson (Davis), ex bambina prodigio frustrata dagli insuccessi, vive da trent’anni in una vecchia casa con la sorella Blanche (Crawford), già diva degli anni ’30, paralitica dopo un incidente d’auto. Tra le due sorelle c’è un perverso rapporto sadomasochistico. Gioco al massacro tra una vittima che diviene carnefice e un carnefice che si trasforma in vittima, in bilico tra il melodramma e l’horror, è un capolavoro del grand-guignol cinematografico, detestato da molti che lo considerano una vetta del Kitsch violento. È difficile, però, non ammirare il linguaggio rigoroso e stilizzato di R. Aldrich, la sapiente sceneggiatura di Lukas Heller (da un romanzo di Henry Farrell del 1960), la straordinaria recitazione del trio principale, la dimensione gotica dell’atmosfera narrativa. 3 nomination agli Oscar: B. Davis, V. Buono, la fotografia di E. Haller. Fu tale il successo del film che ne fu tratto un “musical”.
Una famosa attrice di Broadway prende sotto la sua protezione una giovane, ambiziosa e astuta arrampicatrice, che a poco a poco la scalza dal trono. Film sul teatro, dunque sulla potenza della parola, che diventa una commedia cinematografica esemplare per il sapiente equilibrio tra sceneggiatura e regia, la direzione degli attori (tra cui M. Monroe, lanciata nello stesso anno da Giungla d’asfalto), la brillantezza tagliente dei dialoghi. Ebbe 14 nomination agli Oscar e ne vinse 6: film, regia, sceneggiatura, George Sanders (attore non protagonista), suono, costumi. Il racconto The Wisdom of Eve di Mary Orr che, non citato nei titoli, è all’origine della sceneggiatura di Mankiewicz, divenne nel 1949 un radiodramma da cui la stessa Orr e suo marito Reginald Denham cavarono nel ’64 un testo teatrale. Dalla sceneggiatura fu tratta prima una versione radiofonica e 30 anni dopo il musical Applause con Lauren Bacall.
La figlia d’un tassista newyorkese è fidanzata con un giovanotto piccolo borghese. I due decidono di sposarsi con una cerimonia molto semplice, ma la madre di lei, timorosa che i vicini possano giudicarla avara o povera, impone un matrimonio sfarzoso che crea immense difficoltà a tutti i membri della famiglia. Finalmente il tassista troverà le parole giuste per far comprendere alla moglie l’assurdità delle sue pretese. Non solo i due giovani potranno sposarsi, ma anche la coppia più anziana instaurerà un rapporto diverso.
Una donna volitiva e ambiziosa è al centro della storia. Disprezza il marito, ricco bancario ma onesto, che rifiuta certi loschi traffici. La donna giunge quasi fino al delitto per la brama di guadagno.
Ruba il fidanzato alla gemella che vent’anni dopo si vendica. Ancora in doppio ruolo, B. Davis cerca di galvanizzare un dramma (già fatto nel 1946 con Dolores Del Rio) turgido, effettistico e inverosimile, ma a modo suo affascinante.
Un’intera famiglia trascorre le vacanze in una bellissima ma misteriosa villa. Alcuni fatti inspiegabili la convincono ad andarsene ma non ci riuscirà.
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