Laureando nero in psicologia che lavora a “Voce amica”, centro psicosociale, riceve la telefonata di una donna disperata che in una stanza d’albergo vuole suicidarsi. Alle prese con una materia a rischio per il suo sentimentalismo, l’esordiente Pollack riesce a conciliare melodramma con scavo psicologico. Impeccabile direzione di attori. Scritta da Stirling Silliphant.
Nel 1865, alla morte del padre rovinato, la figlia di un piantatore del Kentucky scopre che sua madre era una schiava nera. Sola al mondo, è comperata da un enigmatico gentiluomo che l’ama appassionatamente tanto da farne la padrona dei suoi possedimenti. Nell’adattare il bel romanzo di Robert Penn Warren l’interesse di Walsh è rivolto più a sottolineare le lacerazioni interne dei personaggi che alla tematica positiva dell’antirazzismo. Ne esce il suo film più faulkneriano, sostenuto dalla stupenda fotografia di L. Ballard e dagli interpreti che si prestano bene all’inversione dei ruoli dei rispettivi personaggi. Rimesso in circolazione come La frusta e la carne .
Nei mari della Groenlandia il capitano di un cacciatorpediniere USA dà la caccia a un sommergibile non identificato (presumibilmente sovietico), disposto a scatenare un conflitto atomico. Vigoroso, teso, efficiente dramma marinaresco sulla guerra fredda di taglio antimilitarista dove si mescolano i temi di Il dottor Stranamore e di L’ammutinamento del Caine. Recitazione di classe.
Uno scout salva una donna fuggita da un campo apache, dove è vissuta come schiava, e la riconduce al marito, a Fort Creel. Insieme alla coppia e a uno squadrone di soldati di cui è guida, si dirige poi verso un altro forte, stretto d’assedio dagli indiani. Gli Apaches attaccano la carovana, lo scout si allontana in cerca d’aiuto, ma quando torna i bianchi sono ormai decimati: si sono salvati solo la donna e il figlio da lei avuto dal capo apache, mentre il marito è stato torturato. Jess gli offre la pistola perché metta fine alle proprie sofferenze.
Due carcerati, il bianco Johnny Jackson e il nero Noah Colleen, scappano insieme dal furgone blindato della polizia. Sono legati tra loro da una catena, ma litigano e fanno a botte in continuazione.
In una cittadina del Mississippi lo sceriffo bigotto e razzista è costretto a lavorare con un ispettore nero dell’FBI per risolvere un caso di omicidio. Il sodalizio fra i due fa scintille. Benché sopravvalutato (anche 5 premi Oscar: film, sceneggiatura, R. Steiger, suono e montaggio), è un poliziesco efficace per l’ambientazione, l’atmosfera, il trattamento dei temi razziali, l’ottima interpretazione. Seguito da Omicidio al neon per l’ispettore Tibbs (1970) e L’organizzazione sfida l’ispettore Tibbs (1971).
Il cinema non aveva mai trattato lo spinoso problema dei matrimoni misti. Le difficoltà erano evidenti. Kramer ci provò, con molta cautela, affidandosi a due “testimoni” al di sopra di tutto: Katharine Hepburn e Spencer Tracy. Sono due genitori molto particolari. Matt e Christina Drayton rivedono la figlia di ritorno dalle Hawaii che, senza tanti preamboli, annuncia che sta per sposare un uomo di colore. Il padre della ragazza è proprietario di un giornale, la madre possiede una galleria d’arte, l’ambiente è una stupenda casa che guarda la baia di San Francisco. Il promesso sposo è un medico molto importante, con mille titoli accademici ed è… Sidney Poitier. Per un operaio di colore in una vicenda ambientata in Alabama doveva passare ancora qualche anno. I genitori naturalmente sono sconvolti, ma sono civili, umani e di vedute molto aperte. Meno facili sono i genitori di Poitier, diffidenti e quasi razzisti. Il problema fa emergere anche sensazioni lontane. Alla fine naturalmente tutto finisce bene; tutti si comportano alla perfezione. La storia dolcemente manierata, ma inedita nei film, rappresenta qualcosa di molto importante, anche se il filtro è quello della tradizione hollywoodiana del lieto fine.
Una squadra di assi dello spionaggio industriale è costretta dal governo a recuperare un prezioso decodificatore. La trama è molto aggrovigliata, tanto che dà luogo a due film in uno. Nella prima parte prevalgono i toni leggeri della commedia, poi si ricomincia da capo con il thriller e la suspense. P.A. Robinson, regista competente, mimetizza ambizioni d’autore sotto la vernice di un efficiente mestiere hollywoodiano puntato al divertimento. Ci riesce benissimo. Il titolo italiano è deviante: sneakers è un termine che indica le scarpe da tennis e chi le indossa; to sneak sta per introdursi furtivamente, e con le scarpe da tennis si è veloci e silenziosi.
Homer Smith, vagabondo nero, aiuta in Arizona cinque monache tedesche che vogliono costruire una cappella. Commedia sentimentale e un po’ predicatoria sullo spirito di fratellanza e di solidarietà. Premio Oscar a Poitier e altre 4 nomination. Esagerati! Tratto da un romanzo di W.E. Barrett adattato da J. Poe, già sceneggiatore di Prima linea (1956) di Aldrich.
Un nero appena laureato accetta di insegnare in una scuola inglese che ha procurato non poche noie ai colleghi a causa dei vivacissimi studenti che la frequentano. Anch’egli all’inizio trova molte difficoltà a farsi comprendere e rispettare dai ragazzi che però, dopo qualche tempo, gli danno fiducia. Egli, nonostante la possibilità di un impiego migliore, non abbandonerà il suo posto.
Responsabile involontaria della cecità della figlia Selina, la madre si oppone al sentimento di questa verso l’amico e maestro Gordon Ralfe, un giovane di colore, incontrato al Central Park. Il giovane ama la ragazza, ma prima di rivelarle il suo sentimento, vuole che essa accetti la sua menomazione.
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