Uno dei migliori film interpretati da Rodolfo Valentino. Diretto da Brown in maniera esemplare e con una sceneggiatura di tutto rispetto. La zarina si invaghisce di un luogotenente dei cosacchi e lo vuole generale. L’uomo è molto imbarazzato e trova difficoltà nel trattenere le avances della sovrana.
Un film di Rex Ingram. Con Rodolfo Valentino, Alice Terry, Pomeroy Cannon, Wallace Beery Titolo originale The Four Horsemen of the Apocalypse. Drammatico, durata 132′ min. – USA 1921. MYMONETRO I quattro cavalieri dell’apocalisse [1] valutazione media: 3,67 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Dopo la morte del latifondista argentino Madariaga (Cannon), i suoi due generi portano le famiglie in Europa: i Desnoyers a Parigi, i von Hartrott a Berlino. Allo scoppio della prima guerra mondiale, Julio Desnoyers (Valentino), pur pacifista e dedito alla dolce vita, si arruola e muore da coraggioso, colpito dal cugino (Holmes) al comando di un reparto tedesco. Tratto dal romanzo Los quatro jinetes del Apocalipsis (1916) di Vicente Blasco Ibáñez, prodotto con larghi mezzi dalla Metro Pictures Corp., non ancora Metro-Goldwyn-Mayer, sceneggiato da June Mathis (1892-1927) che si può considerare la vera autrice del film: fu lei ad averne l’idea, scegliere R. Ingram per la regia, imporre Valentino (che aveva 21 film alle spalle) come protagonista, seguire con puntiglio le riprese, curare il montaggio, scrivere le didascalie. È un melodramma di amore e di guerra la cui azione si sposta dall’Argentina (con Julio in divisa da gaucho che balla il tango) a Parigi, dai campi di battaglia della Marna a Lourdes (con Julio che incontra l’amata Marguerite in divisa da crocerossina col marito cieco). Citazione obbligatoria: la visione dei quattro cavalieri dell’Apocalisse (Guerra, Carestia, Conquista, Morte) virata in blu e rosso. Fu un grande successo internazionale, contribuì a promuovere la Metro tra le majors e a fare di Valentino un divo cui “vengono concessi momenti di Kitsch sublime che andranno a fondare, tra gli altri, l’immagine dell’amante immortale” (P. Cristalli). Giustamente elogiata la fotografia di John F. Seitz. Rifatto, controvoglia, da V. Minnelli nel 1962 per la M-G-M.
Bella, ricca e sofisticata porta lo scompiglio nella vita di un torero che per lei trascura moglie e corrida. Poi lei si stanca. Lui, disperato, cerca di riconquistarla. 2ª versione del romanzo (1908) di Vicente Blasco Ibáñez (dopo quella con Rodolfo Valentino del 1922). È il film che segnò il successo di R. Hayworth in un’indimenticabile interpretazione. Brillante regia, fotografia di Ernest Palmer e Ray Rennahan ispirata alla pittura spagnola che vinse un Oscar. Rifatto nel 1989 come Ossessione d’amore con Sharon Stone.
Da uno dei meno attendibili libri sulla vita di Rodolfo Guglielmi (1895-1926), in arte Rudolph (Rudy) Valentino (Valentino: an intimate exposé of the Sheik di Brad Steiger e Chaw Mank), è uscito il più assennato dei film biografici di Russell, scritto con Mardik Martin, costruito alla maniera di Citizen Kane (ma con testimonianze tutte femminili, com’è giusto), schierato con generosa faziosità dalla parte dell’emigrante italiano costretto a farsi strada a gomitate nella giungla violenta e volgare di Hollywood, adorato e umiliato, sempre usato, grottesco e patetico nell’assillo di essere all’altezza del suo mito di Grande Amante, ingenuo e furbo, triste trionfatore che viene rincorso nella vana rincorsa di un sogno infantile. Verso la fine emerge il Russell più visionario e stravagante (la seduta spiritica con la Rambova; l’incontro di pugilato). Due inesattezze che calunniano due morti: l’entrata strepitosa nel circo delle esequie di una delle “vedove” in lutto, identificata in Alla Nazimova (Caron), fu probabilmente di Pola Negri; il comico Fatty Arbuckle (Hootkins) non era quel sadico odioso che risulta nel film. Discutibile fin che si vuole, la scelta di Nureyev è geniale. Con lo stesso titolo esiste un film del 1951 diretto da Lewis Allen con Anthony Dexter protagonista. Una nullità.
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