Stanley Sugarman lavora come talent scout per i Philadelphia 76ers, squadra dell’NBA. Promosso a vice allenatore dall’anziano presidente, si ritrova in giro per il mondo a osservare talenti dopo la morte del suo mentore e la retrocessione voluta dal figlio, che ha assunto la guida della squadra. Durante un viaggio in Spagna, Stanley – la cui carriera da giocatore è stata stroncata da un incidente – scopre Bo Cruz, un operaio nel quale vede un futuro campione. Portatolo con sé a Philadelphia, farà di tutto per convincere la sua squadra a credere in lui, scontrandosi con un mondo che non gli perdona il suo passato e non crede nella bravura di un atleta sbucato fuori dal nulla.
THX 1138 è operaio in una fabbrica in cui si costruiscono i poliziotti automatizzati di una società del futuro in cui il desiderio è proibito e tutti sono assuefatti a una quotidianità ripetitiva. Finché un giorno la sua compagna… lo convince a smettere di assumere le pillole sedative che conservano tutti in una sorta di catatonia collettiva. Ora THX può iniziare la fuga verso la libertà. Ma non sarà solo. Il giovane George Lucas realizzò quale prova di diploma all’UCLA (prestigiosa scuola di cinema statunitense) un cortometraggio di fantascienza che vinse il National Student Film Festival nel 1968. È da quell’esordio fortunato che, nel 1971, trovò una sua forma L’uomo che fuggì dal futuro. Ci si ritrova un pessimismo sui destini futuri dell’uomo che non manca nell’universalmente noto ciclo di Star Wars. Qui però è la claustrofobia a regnare sovrana. Gli interni del mondo in cui THX 1138 si muove sono abbaglianti di un nitore che è proprio dell’iconografia classica dell’ospedale psichiatrico. L’influenza della sci-fiction di un autore come Ray Bradbury si sente così come poi non mancherà quella di Asimov nella saga di Luke Skywalker. Lucas si dimostra fin dalle sue prime opere perfettamente in grado di controllare sia il set che il montaggio. Coadiuvato, per quanto riguarda le riprese, da uno staff tecnico di tutto rispetto per l’epoca e per il budget messo a disposizione da Francis Ford Coppolacon la sua American Zoetrope e con a disposizione un grande attore, mai valutato per quanto effettivamente merita, come Robert Duvall.
Quando Natalie scopre di essere incinta, decide di scappare di casa lasciando un biglietto al marito in cui dichiara che per quella sera non tornerà. Una fuga senza meta, la cui unica coordinata è New York, il punto di partenza, e la direzione è il verso opposto alla sua stessa vita. Natalie si imbatte in un autostoppista che diventerà compagno di un viaggio che si prolunga di giorno in giorno. Scopre di aver a che fare con un ritardato, ma pur cercando di liberarsene non troverà il coraggio di abbandonarlo. Dimenticando per un attimo l’ingenuo titolo italiano e partendo dal titolo originale, The Rain People, s’intuisce l’intenzione sottesa a quest’opera acerba di un ancor giovane Coppola. L’intestazione rivela la volontà di descrivere il turbamento di una coppia apparentemente felice e serena attraverso l’allegoria della pioggia, fenomeno atmosferico imprevisto che irrompe nella limpidezza di una vita solare. Lo spettatore non sa nulla di questo idillio, ma lo percepisce dallo stupore dei genitori di lei per il gesto insensato della fuga – avvenuta proprio in un giorno di pioggia – e dall’incredulità del marito, rappresentato esclusivamente come una voce all’altro capo del telefono. Al fianco della protagonista si assiste così ad un road movie incentrato sulla crisi di coppia, l’incomunicabilità e la paura delle proprie responsabilità. Ma il tutto rimane ingabbiato nello schermo: Coppola non riesce a trasmettere allo spettatore queste sensazioni, fotografando gli eventi senza infondergli anima. L’incontro con il fortuito compagno di viaggio ritardato (un James Caan scarsamente calato nel ruolo) è poco credibile, dato che Natalie si renderà conto della condizione di questo ex campione di rugby solo quando saranno altri a farglielo notare. Di rilievo la caratterizzazione della società americana, i rapidi flashback inseriti a supporto del flusso narrativo, ma sono molti i punti incerti di questo film dal finale sospeso. Un soggetto a tratti ingenuo – Natalie scappa di casa senza bagaglio ma ha un cambio d’abito per ogni giornata – in cui la cura formale dei capolavori firmati dal grande profeta del cinema – Apocalypse Now piuttosto che Dracula di Bram Stoker – è ancora lontana.
Un film di Randa Haines. Con Shirley MacLaine, Richard Harris, Piper Laurie, Robert Duvall Titolo originale Wrestling Ernest Hemingway. Commedia, durata 122 min. – USA 1993. MYMONETRO Ricordando Hemingway valutazione media: 3,00 su 8 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Randa Haines, dopo Figli di un dio minore e Un medico, un uomo, non ha ancora perso il vizio. Le storie lacrimevoli e sdolcinate sono ancora il suo forte. Duvall e Harris si limitano al sicuro professionismo. Brava come sempre Shirley MacLaine. Siamo nel periodo estivo e assistiamo all’amicizia di due uomini in piena vecchiaia. La solitudine e i problemi amorosi a fare da sfondo. View full article »
Un film di Kenny Ortega. Con Bill Pullman, Ann-Margret, Robert Duvall, Christian Bale, Kevin Tighe Titolo originale Newsies. Musical, durata 125′ min. – USA 1992. MYMONETRO Gli strilloni valutazione media: 2,50 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Prodotto dalla Warner con la Walt Disney e la Touchwood Pacific Partners, scritto da Bob Tzudiger e Noni White, diretto dal coreografo Ortega (suo 1° e ultimo film), è un musical imperniato sullo sciopero che nel 1899, capeggiati dal carismatico Jack Kelly (Bale), gli strilloni di New York fecero contro Joseph Pulitzer (Duvall), editore del New York World, e Randolph Hearst del Journal. Infelice tentativo di musical giovanile che ha per modello Oliver!, mescolato ai dialoghi impertinenti e ai ritmi caprioleggianti dei Dead End Kids, ma privo di profumo dickensiano, nonostante il tema dello sfruttamento del lavoro infantile. Prolisso anche perché imbottito delle prolungate esibizioni di Ann-Margret. Le canzoni di Alan Menken e Jack Feldman sono dimenticabili. Dopo Il giuoco del pigiama, è l’unico musical di base sindacale nella storia di Hollywood. Fotografia di Andrew Laszlo. View full article »
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