Regia di H.B. Halicki. Un film con George Cole (II), H.B. Halicki, Marion Busia, James McIntire. Titolo originale: Gone in 60 Seconds. Genere Avventura – USA, 1974, durata 103 minuti. – MYmonetro 2,72 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.
Il regista-attore-produttore è un guidatore automobilistico specializzato in numeri acrobatici. La trama, le avventure di un gruppo di onesti ladri d’auto, non è dunque che un pretesto per numeri spettacolari.
Ne ha viste di cose nella sua vita Bad Blake, cantante country dal passato illustre e il presente affumicato da sigarette e annegato negli alcolici scadenti dei locali di provincia dove si esibisce per pochi spiccioli. Ha visto 4 matrimoni, un pupillo che suonava nella sua band e ora è ricco e famoso ma al quale non intende aprire i concerti, infiniti paesaggi delle praterie texane e un numero impressionante di motel. A 56 anni suonatissimi la sua vita potrebbe finire da un momento all’altro, se non lo stronca prima la salute saranno i debiti, e a lui del resto non sembra importare molto. Almeno finchè non incontra Jean e Buddy.
Da un romanzo di Hank Searls. Per battere i sovietici nella corsa alla luna, gli americani lanciano una capsula, guidata da un pilota civile allenato in tempi stretti da un colonnello suo amico. Più che di fantascienza, è un buddy-buddy film , cioè la storia di un’amicizia maschile messa alla prova dai politici. Pur manipolato dai boss della Warner, è un interessante e ingegnoso esempio di contaminazione tra fiction e documentario.
A Savannah (Georgia) un avvocato di successo (Branagh) passa un’imprudente notte d’amore con una cameriera (Davidtz), si lascia coinvolgere nella vita di lei e negli ambigui rapporti con il padre (Duvall), mette a repentaglio reputazione e figli, aggredisce, uccide finché scopre di essere stato usato. Da un soggetto originale di John Grisham, sceneggiato con uno pseudonimo (Al Hayes) dietro il quale probabilmente si nasconde il regista. Storia di una rovinosa deriva, iniziata quasi casualmente, il film s’ingorga e perde tensione nella parte finale dello svelamento, ma rimane degno di Altman per le qualità stilistiche di atmosfera (il tifone Geraldo che incombe), descrizione ambientale (il profondo Sud nella fotografia di Changwei Gu), definizione psicologica dei personaggi, rinuncia agli effetti, sotterranea ironia nel raccontare la sproporzione tra causa ed effetti. Il “gingerbread” del titolo è un biscotto allo zenzero che, secondo una filastrocca, fugge per non farsi cucinare e mangiare.
Quando nel 1945, dopo aver dominato per due generazioni un clan di mafia italoamericana, Don Vito Corleone muore, suo figlio Michael accetta con riluttanza di occuparsi degli affari di famiglia. Imparerà presto. Da un romanzo (1969) di Mario Puzo che l’ha sceneggiato con il regista, è la storia di un sistema familiare e di clan con sottofondo nostalgico per la forza di quei legami che nell’America di oggi sembrano svalutati (come fu letto dalla maggioranza del pubblico), ma possiede anche una profonda e fertile ambiguità. C’è il parallelismo mafia-politica che diventa equivalenza nel Padrino-Parte II; c’è la magistrale ricostruzione di un’epoca e di una morale del crimine, di una struttura patriarcale più italiana che americana. Coppola sa di cosa parla e ne sa le ragioni anche se non le condivide: il suo sguardo è più distaccato che affascinato. Spaccò la critica in due ed ebbe ovunque un grande successo. 7 nomine e 3 Oscar: film, sceneggiatura e M. Brando.
A Saigon il cap. Willard dei servizi speciali riceve l’ordine di risalire un fiume della Cambogia, raggiungere il colonnello Kurtz, che sta combattendo una sua feroce guerra personale, ed eliminarlo. Ispirato a Cuore di tenebra (1902) di Joseph Conrad, sceneggiato da J. Milius, splendidamente fotografato da V. Storaro, è il più visionario e sovreccitato film sul Vietnam, trasformato in mito. Delirante, eccessivo, diseguale, ricco di sequenze straordinarie, assai discusso e talvolta estetizzante nel suo ostentato brio stilistico, nella sua spropositata ambizione di grandiosa complessità. È una riflessione amara, forse disperata, sull’imperialismo USA, erede del colonialismo europeo, sulla follia omicida della civiltà occidentale, sul legno storto dell’umanità. Palma d’oro a Cannes, ex aequo con Il tamburo di latta . 2 Oscar: Vittorio Storaro (fot.) e Walter Murch (suono).
Rinchiuso con i suoi Apaches Chiricahua nella riserva di Turkey Creek, a causa di numerosi soprusi, nel 1885 Geronimo (Studi) si ribella e riprende le armi. La guerra indiana ricomincia ai confini col Messico.
2° western di Hill, cineasta urbano, dopo I cavalieri dalle lunghe ombre. Circoscritto al biennio 1885-86, è la storia di una sconfitta che celebra il vinto e vitupera il vincitore. Non a caso si chiude con le dimissioni dall’esercito del narratore (Damon). Ma l’aspetto più interessante del film sul piano narrativo _ la sua dimensione critica e didattica _ finisce col coincidere con il suo limite. Scritto da John Milius e Larry Gross.
Un’organizzazione segreta, specializzata in assassinii politici, si occupa di un caso che la CIA vorrebbe tenere nascosto. Il suo killer n. 1, che sta scoprendo troppo, viene reso invalido dal suo compagno e decide di vendicarsi. Si fa aiutare da un maestro in arti marziali. È uno dei film di Peckinpah dove è percettibile la linea di divisione tra l’autore e il regista esecutore: l’autore emerge nella 1ª parte che ha grinta, ritmo, estro; nella 2ª l’esecutore si adagia nelle convenzioni e negli stereotipi del genere. Ma la sequenza finale tra una flotta di navi in disuso non si dimentica.
Dal romanzo (stravolto) di Nathaniel Hawthorne. Inghilterra diciottesimo secolo. Una donna tradisce il marito con un pastore. Secondo la legge, la fedifraga viene punita e le viene imposto di portare sul petto la lettera A. Dopo avventure inenarrabili, arriva un impossibile lieto fine. Davvero tutto sbagliato, quasi ridicolo.
In un ospedale mobile da campo, durante la guerra di Corea, tre ufficiali chirurghi ne combinano di tutti i colori, andando a donne e infischiandosene della disciplina. Messi sotto inchiesta se la cavano vincendo a rugby. Scatenata e impertinente farsa antimilitarista che fece epoca e fu seguito dall’omonima, famosa serie TV. Fa ridere molto e morde. Oscar per la sceneggiatura di Ring Lardner Jr. che aveva adattato un romanzo di Richard Hooker. Ottimi attori cui Altman diede, durante le riprese, spazio per improvvisare. Palma d’oro a Cannes. M.A.S.H. = Mobile Army Surgery Hospital.
Vecchio sceriffo monocolo è assoldato da giovane proprietaria per catturare l’assassinio del padre. Dal romanzo Un vero uomo per Mattie Ross di Charles Portis, un western consueto in funzione del gigionismo di Wayne che, infatti, ebbe un Oscar. Verboso, godibile quando schiaccia il pedale al grottesco. “Lo sceriffo che ammazza senza preavviso stabilisce una continuità storica tra la bandiera nera di Quantrell e i berretti verdi nel Vietnam” (T. Kezich). Idealmente seguito da Torna il Grinta. Il personaggio del guercio Rooster Cogburn fu ripreso da Warren Oates in un film TV del 1978. Rifatto nel 2010 dai fratelli Coen.
Nick, avventuriero disposto a qualsiasi impresa, riceve da una ricchissima americana l’incarico di far uscire di prigione il marito ingiustamente detenuto in Messico. C’è di mezzo un nonno malefico. Un’ora e mezzo di azione senza pause: suspense, spettacolo (belle le riprese aeree del grande Carroll), risvolti umoristici, bravi attori.
Los Angeles, estate 1992, caldo torrido. Bill rimane bloccato con l’auto in un ingorgo, scende, la chiude e “va a casa” con una passeggiata di quaranta chilometri che si trasforma in un’odissea violenta. A quella di Bill fa da riscontro la vicenda parallela di un poliziotto al suo ultimo giorno di servizio. È lui che intuisce l’itinerario di sangue e violenza che Bill traccia attraverso la città. Tirato come un cavo ad alta tensione, attraversato da lampi di umorismo sull’assurdità della vita metropolitana, sapientemente giocato sui binari delle due azioni parallele, il film ha una prima parte quasi perfetta e un finale rassicurante con qualche caduta nella parte centrale.
Specialista in intercettazioni, che ha sempre vissuto immerso nel lavoro, scopre di avere una coscienza, di essere responsabile di quello che fa, di essere prima complice e poi vittima. Palma d’oro a Cannes e designato agli Oscar (film, regia), è un thriller che anticipa i tempi (Watergate) e le mode, rimanda al cinema di Antonioni (fotografia funzionale di Bill Butler), ma anche agli incubi allucinati di un Kafka tecnologicamente aggiornato. Uno dei migliori film USA degli anni ’70 con un G. Hackman perfetto come antieroe dell’era elettronica. Apparizione non accreditata di Robert Duvall.
Sulla strada un uomo e un bambino procedono dietro a un carrello e dentro “una notte più buia del buio e un giorno più grigio di quello passato”. Una pioggia radioattiva ha spento i colori del mondo, una guerra o forse un’apocalisse nucleare ha terminato la natura e le sue creature: gli alberi cadono, gli uccelli hanno perso l’intenzione del volo, il mare ha esaurito il blu, gli uomini non sognano più e si nutrono di uomini e crudeltà. Dal passato verso un futuro che non si vede si muovono un padre e un figlio, resistendo alle intemperie e agli assalti dei disperati con due colpi in canna e il fuoco dell’amore. In viaggio verso sud, il genitore racconta al bambino la sua vita a colori, piena di musica e della dolcezza bionda di sua madre, inghiottita dalla notte e dalla paura di sopravvivere. Lungo la strada il ragazzo esplorerà la propria umanità, imparando la conoscenza del bene e del male.
Karl è un portatore di handicap psichico che uccide la madre e il suo amante. Quando esce dalla clinica psichiatrica fa amicizia con un ragazzino orfano che subisce la violenza del convivente della madre. Karl uccide ancora. Billy Bob Thornton, oltre a essere un valido attore e un interessante regista, ha vinto l’Oscar per la sceneggiatura con questo film, che mette di fronte alla follia senza paraventi e non rinuncia a insinuare qualche domanda importante. Un flop al botteghino da recuperare in video
California, provincia: un meccanico, di notte, vede una luce. Da quel momento la sua intelligenza diventa sovrumana: tra le altre cose impara la lingua portoghese in un quarto d’ora. Tutti sono allibiti. È un extraterrestre, un semidio?
Subita tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
San Francisco Bullitt, tenente della Squadra Omicidi, viene incaricato da un politicante di tener d’occhio un mafioso, Ross, intenzionato contro “cosa nostra”. Bullitt dovrebbe garantire l’incolumità di Ross che però viene ugualmente fatto fuori da due sicari. Allora il tenente, per non incorrere nelle ire dell’uomo politico, nasconde il cadavere. Riesce anche a scoprire che l’ucciso non è il vero Ross. Bullitt lo rintraccia e verrà a sapere cose interessanti. Il soggetto è tratto dal romanzo Mute Witness di Robert L. Pike.
Tre cowboy, una grossa mandria di cavalli e cinque ragazzine cinesi destinate a un lurido bordello di frontiera. Una riscoperta e l’inizio di un revival del western, all’insegna di Red River e delle verdeggianti pianure del Nord. Ratings da record per questo grande ritorno di Walter Hill al genere che ama di più.
Fratello degenere di Ridley, Tony, pur con il suo manierismo inossidabile, ha sempre la risposta del pubblico, che ha ciò che vuole. In questo caso un Tom Cruise tutto sorrisi. Di trovata in trovata si arriva all’amore e alla vittoria in una corsa automobilistica. Ma Tom Cruise non è Steve McQueen e Tony Scott non è un regista d’attori. Successo di pubblico.