Un giovanotto, che da molti anni vagabonda nel sud accompagnato da una sinistra (ma immeritata) fama di incendiario, trova lavoro presso un dispotico proprietario terriero. Nelle sue nuove mansioni suscita la simpatia del datore di lavoro, ma anche l’ostilità dei figli di questi, il complessato Jody e la bionda, altera Clara. In realtà la ragazza maschera in tal modo l’attrazione per il nuovo venuto.
La sera dell’inaugurazione, scoppia un incendio in un grattacielo di 138 piani. C’è sotto una squallida speculazione. La tensione dello spettacolo è attutita dalle storie private dei vari protagonisti, un folto cast di buoni attori. Nel filone catastrofico degli anni ’70 è uno dei migliori. Combina le ambizioni (e i costi) spettacolari della serie A con una galleria di personaggi di film della serie B. Oscar per la fotografia (Fred Koenekamp, Joe Biroc) e la canzone. Prodotto dalla Fox e dalla Warner e tratto _ caso raro _ da due romanzi, di Richard Martin Stern, uno, e di Thomas M. Scortia e Frank M. Robinson, l’altro. Sceneggiato da Stirling Stilliphant.
Regia di Sydney Pollack. Un film con Wilford Brimley, John Archie, Ilse Earl, Clardy Malugen, Joe Petrullo, Shawn McAllister, Shelley Spurlock, Anna Marie Napoles, Arnie Ross, Sharon Anderson, Jody Wilson, Alfredo Alvarez Colderon, Melinda Dillon. Cast completo Titolo originale: Absence of Malice. Genere Drammatico – USA, 1981, durata 116 minuti. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +16 – MYmonetro 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.
Puntigliosa giornalista di un quotidiano si accanisce in buona fede, ispirata dall’FBI, su un innocente (con parenti mafiosi), sospettandolo di essere responsabile della morte di un sindacalista. Pur sviluppandolo in modi romanzeschi troppo convenzionali, il film affronta con onestà il problema complesso dell’informazione che è di attualità anche in Italia. La Field è brava come Newman, ma i due non legano. Scritto da Kurt Luedtke, ex giornalista premiato col Pulitzer. Girato a Miami.
Ritratto di un giocatore professionista di biliardo la cui smania di vincere a tutti i costi ne farà un perdente. Dal romanzo The Hustler (1958) di Walter Tevis, adattato dallo stesso regista. 4 interpretazioni eccellenti (tutte candidate agli Oscar come anche film, regia, sceneggiatura, ma vinsero soltanto il veterano Eugen Schüfftan per la fotografia e Harry Horner e Gene Callahan per la scenografia), costruzione narrativa compatta, dialoghi infallibili, il film è rimasto nella memoria degli spettatori soprattutto per la sagace descrizione del mondo americano del biliardo, come apologo sull’America amara e i suoi falsi miti: un’aria che quasi si respira. Newman riprese il personaggio di “Fast” Eddie Nelson in Il colore dei soldi di Scorsese.
È la storia di un’educazione sentimentale: Eddie non insegna a giocare al biliardo a Vincent, ma a mettere a frutto il suo talento, cioè a trasformarlo in denaro, con tutti i mezzi. Seguito, 25 anni dopo, di Lo spaccone (1961) di Robert Rossen. Prima parte splendida all’altezza di Fuori orario , ma poi il racconto si avvita un po’ su sé stesso. Con la sua adolescenziale arroganza da Bruce Lee della stecca, T. Cruise è perfetto ma, come eccitato dal confronto, P. Newman trova un’infallibile grinta. L’atmosferica fotografia di Michael Ballhouse (che ha avuto una nomination all’Oscar come Boris Leven scenografo) fa il resto. 1° Oscar per Newman. Sceneggiatura di Richard Price, basata su un altro romanzo di Walter Tevis che morì 8 giorni dopo la sua pubblicazione nel 1984.
Siamo durante la seconda guerra mondiale, alle prese con la costruzione della bomba atomica da parte di un gruppo di ricercatori, fra i quali il celeberrimo Robert Oppenheimer. Leslie Groves è il generale che conduce l’operazione denominata Progetto Manhattan. Dal regista di Mission e Urla del silenzio,un film un po’ prolisso anche se in parte risulta interessante. Controllata l’interpretazione di Paul Newman.
2001: gran parte della Terra è coperta dal ghiaccio. In una città fatiscente gli ultimi superstiti si cimentano in un gioco mortale. Il vincitore ha diritto di vita e di morte sugli altri e il suo premio è quello di poter continuare a giocare. Appartiene al filone occulto e fantastico di Altman e può offrire molte delizie a chi sappia guardarlo e accoglierlo senza troppe preoccupazioni di decifrazione. L’ambientazione quasi rinascimentale lascia il segno.
Alla fine dell’Ottocento, il bandito texano Bean diventa giudice e amministra la giustizia con metodi poco ortodossi, servendosi parecchio della forca. Il magistrato è anche barista e venera l’attrice inglese Lily Langtry che non ha mai visto. La civiltà arriva anche in quelle lande selvagge e il pittoresco personaggio sparisce, ma tornerà verso il 1920 a difendere, pistola in pugno, la propria figlia dalle prepotenze di un avido capitalista rappresentante della nuova America, ancor più spietata della vecchia.
Mackintosh viene chiamato a far luce su un traffico di diamanti. Lo troviamo a Malta poi in Irlanda. Si fa tre anni di prigione solo per seguire la traccia giusta.
William F. Cody ovvero Buffalo Bill, sul finire del XIX secolo dirige una spettacolo circense che rievoca le sue imprese. Tra i tendoni si aggira, non gradito, Ned Buntline, colui che ha trasformato un cacciatore di bisonti in un mito inventandone in buona parte le imprese. Per attrarre un maggior numero di spettatori Cody ingaggia il vero Toro Seduto il quale parla con lui solo attraverso un portavoce. Il rapporto tra i due non è dei migliori ma il capo indiano vuole fondamentalmente conservare la propria dignità. Robert Altman, dopo aver dedicato il suo capolavoro Nashville all’America in cui vive torna a celebrare a suo modo il Bicentenario andando a scavare alle radici del mito fondante cioè quello del ‘selvaggio West’. Lo fa con una star (Paul Newman) nel ruolo di una star di una leggenda che vive più di finzione che di realtà ripartendo da quel circo con cui aveva chiuso Anche gli uccelli uccidono. Gli spettacoli del West Wild Show di Buffalo Bill sono stati reali (sono giunti anche in Italia per ben due volte) così come originali sono le marcette che vengono eseguite nel film ma quello che più conta in questo film non è la traduzione cinematografica di un altro celebre film: L’uomo che uccise Liberty Valance di John Ford con la sua celebre frase su leggenda e realtà. Altman vuole sì entrare polemicamente a dire la sua sul rapporto tra cowboys e pellerossa e, in senso ancora più lato, tra l’istituzione e ciò che è diverso (vedi il Presidente in visita allo Show) ma soprattutto sta elaborando un saggio teorico sul rapporto tra realtà e rappresentazione. Non è un caso che sia Buntline (interpretato da una star come Burt Lancaster) a offrirci una precisa cifra di lettura del film: è lui che ha ‘creato’ Buffalo Bill, è lui che ne viene tenuto a distanza ora che il mito si è consolidato ed è sempre lui ad abbandonarlo ai soliloqui allucinati che possono solo tradursi in un’ennesima finzione con se stesso e con gli altri. La scena in cui Toro Seduto (che nel gioco continuo tra essere e apparire risulta troppo poco imponente in relazione alle imprese che gli vengono attribuite, entra di notte nell’appartamento di Cody è rivelatrice. Sorpreso nel sonno la prima cosa di cui il nostro ‘eroe’ si preoccupa è di essere stato sorpreso senza il suo toupet tutto boccoli ricadenti sulle spalle. La finzione è stata rivelata e a nulla varrà il tentativo di Buffalo di screditare il capo indiano nel momento in cui entrerà per la prima volta in pista. Per i due il modo di rapportarsi con la rappresentazione è estremamente diverso e in questo sta anche il lor modo di affrontare la realtà.
Un giovane ingenuo e inesperto viene messo a capo di una multinazionale dopo il suicidio del titolare: lo scopo è che provochi il fallimento dell’azienda, cosicché gli autori dell’intrigo possano rilevarla per nulla e farla tornare a prosperare.
Scienziato USA, specialista in congegni antimissilistici, finge di passare al servizio dei comunisti e con la fidanzata si reca a Berlino Est e a Lipsia, s’impadronisce di una formula segreta. Il rientro è rocambolesco. 50° film di Hitchcock, scritto da Brian Moore e riscritto da Keith Waterhouse e Willis Hall (non accreditati). Non è uno dei suoi film più riusciti anche perché, trasformata la formula segreta in un tipico MacGuffin, cioè un pretesto, Hitch s’interessa soprattutto al conflitto psicologico tra i due protagonisti, sui dubbi che lei, ignara (una Andrews fuori parte, imposta dall’Universal), ha sulla fedeltà personale e patriottica di lui. Memorabili momenti di suspense. L’uccisione di Gromek è da antologia. Spionaggio alla terza potenza e risvolti di umor nero.
Due padri: Michael Sullivan, sicario irlandese al servizio di una banda che ha il suo referente a Chicago in Al Capone, e John Rooney, il suo boss che gli porta paterno affetto. E due figli: il tredicenne Michael Sullivan Jr. e Connor Rooney, figlio depravato e ladro di John. Alla fine di un lungo, sanguinoso itinerario di perdizione e vendetta ne sopravviverà soltanto uno. Dal romanzo a fumetti di Max Allan Collins e Richard Piers Rayner, liberamente sceneggiato da David Self, l’inglese Mendes ha tratto un ambizioso e stilizzato film di violenza che è una rivisitazione del cinema gangsteristico degli anni ’70-’80, da Coppola a Leone. Regia di maniera? Forse, ma di alta classe nella ridondanza dei suoi segni, come rivelano il massacro notturno sotto la pioggia senza colonna sonora, la stringata serie delle quiete rapine in banca, il senso dei grandi spazi attraversati dalle vecchie Ford, la suggestiva ricostruzione ambientale, l’interpretazione sotto le righe di Hanks, monocorde eppur ricca di sfumature, il livido ritratto del fotografo/sicario (Law). Oscar per la fotografia (del veterano Conrad L. Hall, 1926-2003).
Negli anni Trenta due abili imbroglioni riescono, con una partita a poker truccata e con una girandola di trovate esilaranti, a truffare una grossa somma di danaro a un terribile gangster di Chicago. La truffa colossale è anche e soprattutto l’occasione per vendicare una morte di un comune amico. Idealismo, abilità e guasconate costituiscono l’esplosiva miscela di questo soggetto condotto magistralmente da Hill che vi schiera la stessa squadra del fortunato Butch Cassidy e soprattutto si affida al ragtime di Scott Joplin riarrangiato da Marvin Hamlish. La colonna sonora crea un’atmosfera unica e irrepetibile. Il film fece incetta di premi Oscar e sbancò al botteghino.
Hud è un ribelle che non accetta imposizioni da nessuno, nemmeno quando si tratta di evitare un disastro, come nel caso di un’epidemia di bestiame. Hud, contrariamente al padre e al nipote, rifiuta di uccidere gli animali della fattoria e minaccia chiunque intenda farlo. Il padre ha un incidente e muore, mentre il nipote abbandona il ranch, lasciando Hud completamente solo. Il film ebbe un tale successo che il successivo film di Newman, che doveva intitolarsi Archer, fu trasformato in Harper, con la H, come Hud, perché portava fortuna secondo i cineasti hollywoodiani. L’attore che fa il nipote è Brandon de Wilde, il piccolo amico di Alan Ladd nel Cavaliere della valle solitaria. De Wilde morì giovanissimo, ucciso da un teppista in una lite su un’autostrada.
Un film di Otto Preminger. Con Lee J. Cobb, Peter Lawford, Paul Newman, John Derek, Eva Marie Saint.Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 213 min. – Israele 1960. MYMONETRO Exodus valutazione media: 3,92 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Nel 1947 seicento profughi ebrei forzarono con una nave il blocco inglese che impediva loro di sbarcare sulla terra che sarebbe poi diventata lo Stato di Israele. Il film racconta la storia di questi seicento che, con la loro ostinata resistenza, costrinsero l’Onu a riconoscere la nuova nazione.
Un film di Robert Wise. Con Everett Sloane, Paul Newman, Steve McQueen, Pier Angeli, Eileen Heckart.Titolo originale Somebody up There Likes me. Biografico, Ratings: Kids+16, b/n durata 113 min. – USA 1956. MYMONETRO Lassù qualcuno mi ama valutazione media: 3,98 su 14 recensioni di critica, pubblico e dizionari. La storia romanzata del famoso boxeur italo-americano Rocky Graziano, che visse una giovinezza aspra tra un riformatorio e l’altro prima di divenire campione di fama mondiale. Il matrimonio con Norma e la nascita di una bambina non bastano a renderlo felice, quando in un mondo corrotto e mafioso come quello del pugilato arrivano a sbandierare il suo triste passato. Ma il pubblico fedele non lo abbandona.
Frank Galvin è un avvocato di mezza età ormai ridotto ad assumere piccole cause, ma un giorno gli capita un caso che potrebbe risollevarlo: tutelare Deborah Kaye, una ragazza ormai in coma irreversibile, e dimostrare che la poveretta è ridotta così per negligenza dei dottori dell’ospedale S.Caterina. Frank è solo contro tutti perché l’ospedale si può permettere fior di avvocati e tenta perfino di chiudere il caso con una grossa somma di denaro in forma di risarcimento.
Con una piccola banda, Cassidy (Newman) e il suo amico inseparabile Sundance Kid (Redford) svaligiano i treni dell’Union Pacific innamorati entrambi di una bella maestrina. In America Latina tentano l’ultimo colpo. Allietato da una suggestiva colonna musicale, è un antiwestern diretto con mano leggera che sublima in modi sofisticati la leggenda di due banditi realmente esistiti, marginali, anarchici e anacronistici. 4 Oscar: sceneggiatura (W. Goldman), fotografia (C. Hall), musiche e canzone (Burt Bacharach). Il sequel Il ritorno di Butch Cassidy e Kid racconta eventi precedenti a quelli qui narrati.
Un autoritario barone terriero del Mississippi malato di cancro festeggia il 65° compleanno insoddisfatto dei due figli, uno dei quali è un avido bruto e l’altro un ex atleta nevrotico che rifiuta di dormire con la bella moglie. È l’adattamento, purgato e ripulito, di un dramma (1955) di Tennessee Williams, grande successo di critica e pubblico a Broadway. Sotto la guida di Brooks si recita benissimo. Ebbe 6 nomination ai premi Oscar e non ne vinse nessuno. Almeno Newman lo meritava, più di Niven in Tavole separate .
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