La tranquilla esistenza di due coniugi di mezza età viene sconvolta dall’arrivo di una coppia di strampalati vicini di casa. La moglie riscoprirà sopiti interessi culturali, il marito deciderà di cambiare completamente vita, distruggendo l’amatissimo televisore e dando fuoco alla sua linda villetta.
Kit (Sheen), giovane spazzino, e Holly (Spacek), majorette quindicenne, vagabondano per l’America diretti in Canada, lasciandosi dietro una scia di sangue. La polizia li bracca. La storia è simile a tante altre, ma si avverte una sincerità insolita, una tenerezza singolare verso i 2 protagonisti sballati e deliranti. T. Malick, appartenente a una famiglia texana di industriali petroliferi, è alla sua opera prima ma che ricchezza interiore, che respiro potente.
Cronenberg ha, in ugual misura, seguaci fanatici e detrattori accaniti. Qui si misura con la realtà virtuale. Un film-videogame o un videogame che non riesce a diventare film?
Sandokan è una miniserie televisiva del 1976 diretta da Sergio Sollima, interpretata da Kabir Bedi, Carole André, Philippe Leroy e Adolfo Celi e tratta dai romanzi del ciclo indo-malese di Emilio Salgari. La sceneggiatura si ispira in buona parte ai libri Le Tigri di Mompracem e I pirati della Malesia. Universalmente riconosciuto come uno degli sceneggiati televisivi più famosi della storia della televisione italiana, Sandokan venne trasmesso dalla Rai in 6 episodi dal 6 gennaio all’8 febbraio del 1976, riscuotendo un grandissimo successo, soprattutto di pubblico.[1]Insieme agli sceneggiatiOdissea (1968), Eneide (1971) e Gesù di Nazareth (1977), Sandokan inaugurò l’inizio di forme di coproduzione con produttori italiani e stranieri; in questo modo cominciò a delinearsi, negli anni settanta, una diversa articolazione delle fiction che tendeva a superare il genere “sceneggiato da opera edita” per allargarsi verso nuove frontiere, chiamando registi e intellettuali per rinnovare e ampliare l’offerta di fiction o di altri generi del palinsesto tv.[2] James Brooke è un avventuriero nato in India da genitori inglesi; grazie ad una politica commerciale speculativa e ad una lotta senza quartiere ai ribelli locali (che lo ha consacrato come “lo sterminatore dei pirati”), negli anni, ha costruito un vero e proprio regno indipendente dalla madrepatria, che comanda con il titolo di “Raja Bianco di Sarawak“. A sfidarlo dallo scoglio di Mompracem, c’è Il pirata Sandokan, detto “la Tigre della Malesia”, principe locale spodestato anni addietro dagli anglosassoni.
Un film di Clive Donner. Con Peter Falk, Jack Lemmon, Elaine May, Nina Wayne Titolo originale Luv. Commedia, durata 95 min. – USA 1967. MYMONETRO Luv vuol dire amore? valutazione media: 2,75 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Harry sta per accomiatarsi dalla vita, che ritiene un fallimento, gettandosi nell’Hudson, a New York, ma viene salvato dal vecchio amico Milt che lo fa innamorare di sua moglie Ellen della quale vuole sbarazzarsi per sposare Linda. Il piano riesce, ma le nuove coppie non sono felici.
Il medico legale Warren Chapin (Vincent Price), confortato dai risultati delle autopsie condotte sui cadaveri di alcuni condannati a morte, ha sviluppato la teoria secondo la quale la paura, al massimo stadio, sprigiona il “tingler”, un’energia di tale intensità da schiacciare la spina dorsale e condurre alla morte. Convinto di riuscire a materializzare questa sfuggente forza negativa, Chapin sperimenta droghe pesanti su se stesso, sulla infedele moglie Isabel e sulla muta Martha Higgins, consorte dell’equivoco Oliver, giungendo alla conclusione che il “tingler”, sempre in agguato in ciascuno di noi, può essere reso inoffensivo soltanto da un grido di terrore. Quando Martha muore, apparentemente vittima di uno dei suoi allucinogeni, Chapin, dissezionandone il cadavere, riesce finalmente a catturare la diabolica presenza, che ha la forma di un mostruoso parassita, e la chiude in una piccola gabbia. Isabel tenta inutilmente di servirsi del mostro per uccidere il marito e questi, ormai persuaso della pericolosità della sua ricerca, lo restituisce al cadavere facendo sì che Martha, per un attimo, si rianimi e provochi la morte di Oliver, vero responsabile dell’omicidio. Lo sceneggiatore Robb White è costretto a sacrificare l’elemento fantastico per architettare una soluzione che liberi il protagonista dai dubbi e renda giustizia alla povera donna assassinata. Il film che ne deriva è, in parte, macchinoso negli sviluppi e povero nelle situazioni, svolgendosi tra la sala della morgue e le borghesi pareti domestiche, e slittando tra uno scienziato un po’ folle, due donne infelici, e un uomo cinico che medita l’omicidio perfetto. Nonostante tutto, The Tingler è un piccolo cult. Girato in bianco e nero, con una breve e quasi impercettibile sequenza a colori (quella della vasca riempita di sangue), poggia sulla personalità di Vincent Price, sull’esplicito (e dati i tempi, coraggioso) riferimento al LSD, e sull’idea della “morte in diretta” che anticipa – secondo alcuni – le tematiche dell’Occhio che uccide diretto da Michael Powell l’anno successivo. Ma la vera attrazione del film, al momento della sua prima distribuzione, è il procedimento “Percepto!”, un effetto speciale – per così dire – collaterale escogitato dall’inventivo William Castle per coinvolgere direttamente il pubblico in sala. Alle ultime bobine, mentre sullo schermo si proiettava l’ombra del “tingler”, le poltrone del cinema cominciavano improvvisamente a vibrare e il pubblico, sorpreso e divertito, si abbandonava al grido liberatorio trascinato dalla voce tonante di Vincent Price che comandava di urlare per sbaragliare il mostro.
Benteen, un ranger del Texas deciso a combattere la droga venduta da Cash Bailey, si interseca con un gruppo di reduci del Vietnam che risultano ufficialmente morti, che hanno assunto un’altra identità per dare anche loro la caccia a Bailey.
Un film di Wolfgang Petersen. Con Harrison Ford, Gary Oldman, Glenn Close, Wendy Crewson, Dean Stockwell.Avventura, durata 124′ min. – USA 1997. MYMONETRO Air Force One valutazione media: 3,00 su 16 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Di ritorno da una visita ufficiale a Mosca, l’aereo del presidente USA è preso in ostaggio da terroristi che chiedono la liberazione del loro capo, il gen. Vadek, dittatore del Kazakistan e detentore di valigette nucleari russe. Minacciano di eliminare un passeggero ogni trenta minuti. Più svelto di Indiana Jones, più invincibile di Ercole, più micidiale di Rambo, H. Ford risolve tutto con la sua presenza carismatica: picchia, spara, volteggia, blocca, sgomina. L’afasia espressiva, tipica dei blockbuster a stelle e strisce degli anni ’90, si coniuga con l’arroganza manichea, revanscista e missionaria degli USA, poliziotti del mondo. A livello di regia la miscela americano-germanica si rivela sempre più deleteria per l’eccesso di patriottismo. La sceneggiatura di Andrew W. Marlowe ha almeno un merito: aver fornito a G. Oldman una figura gustosa di “cattivo”.
Ally fa la cameriera di giorno e si esibisce come cantante il venerdì sera, durante l’appuntamento en travesti del pub locale. È lì che incontra per la prima volta Jackson Maine, star del rock, di passaggio per un rifornimento di gin. E siccome nella vita di Jack un super alcolico tira l’altro, dalla più giovane età, i due proseguono insieme la serata e Ally si ritrova a prendere a pugni un uomo grande il doppio di lei, reo di essersi comportato da fan molesto. Il resto della storia la conosciamo: la favola di lei comincia quando lui la invita sul palco, rivelando il suo talento al mondo, poi sarà con le sue mani che scalerà le classifiche, mentre la carriera e la tenuta fisica e psicologica di lui rotolano nella direzione opposta, seguendo una china oramai inarrestabile.
Una ragazza chiusa in una camera ad ascoltare dischi e una madre vedova che continua a parlare. La ragazza non le replica ma il suo canto viene apprezzato da un agente che le apre la strada del palcoscenico. Film che, come si dice a teatro, non passa la ribalta.
Ricercatore trova il siero della giovinezza. Una delle scimmie-cavia fa una mistura e la versa nel recipiente dell’acqua potabile. Ne beve lo scienziato che regredisce, imitato dalla moglie e da altri. Deliziosa commedia scritta da Ben Hecht, Charles Lederer e I.A.L. Diamond in cui si insinua abilmente il fascino che l’infantilismo e la regressione allo stato di natura esercitano sull’intelligenza. Grant e la Rogers mirabili. La sotterranea carica erotica aggalla nella scena in cui Coburn insegue la Monroe con un sifone di seltz.
I mostri (The Munsters) è una situation comedy brillante con elementi horror prodotta negli Stati Uniti e andata in onda per la prima volta dal 24 settembre 1964 sul network statunitense CBS
I protagonisti della serie televisiva sono una famiglia di mostri che vive in un sinistro maniero come una qualsiasi famiglia americana. I membri di questa bizzarra famiglia sono il padre Herman, una sorta di mostro di Frankenstein che fa sentire la sua forza così come impone l’ordine nella casa; la madre Lily, una specie di vampira ricalcata sul modello della famosa Bride of Frankenstein; il nonno, un vampiro vestito nella “classica” tenuta resa famosa da Bela Lugosi; il figlio Eddie Wolfgang, lupo mannaro, e la nipote Marilyn, l’unica ragazza “normale” della famiglia in tutti i sensi.
Sommergibile nucleare USA parte in soccorso di una stazione meteorologica britannica al Polo Nord. Ma la missione è un’altra. Sono in lizza anche i sovietici. Tratto da un romanzo di Alistair MacLean, è un bellico-avventuroso di tempo di pace dove contano le parole più dei fatti e abbondano gli stereotipi della guerra fredda. Cast tutto maschile, molti mezzi, paesaggi suggestivi.
Dal romanzo The Executioners (1958) di John D. MacDonald. Dopo 14 anni di carcere uno stupratore terrorizza a fuoco lento la famiglia del suo avvocato difensore. 1° film di genere e 1° remake di Scorsese, da Il promontorio della paura (1962). Il suo fascino perverso nasce dal fatto che, nonostante tutto, si è portati a provare simpatia per il criminale più che per la vittima, moralmente spregevole quanto lui, almeno fin quando verso il finale la violenza, prima latente, esplode con isterica e magniloquente frenesia. Sapiente costruzione drammatica nell’alternarsi di tempi forti e deboli, ottima squadra di attori, notevoli contributi di F. Francis (fotografia), E. Bernstein (che ha arrangiato la partitura originale di B. Herrmann), Saul e Elaine Bass (titoli di testa). Brevi apparizioni di Robert Mitchum, Gregory Peck, Martin Balsam, interpreti del film precedente
Per cinque mesi in una stazione spaziale, tre astronauti non possono rientrare per un guasto meccanico. A Houston trepidano. Oscar per gli effetti speciali. L’assunto è nobile, ma lo svolgimento è convenzionale con una suspense troppo giocata sullo strazio dei sentimenti.
A New York un miliardario di origine francese s’innamora di una ballerina del Greenwich Village ma, per essere certo di essere amato per sé stesso e non per i soldi, si fa passare per un attore in bolletta. Più commedia con canzoni che musical, soffre di un fiacco copione di Norman Krasna che propone una storia risaputa senza rinverdirla. Cukor è a suo agio nella rappresentazione del mondo dello spettacolo, ma sono pochi i momenti felici. Persino la Monroe è più opaca del solito e si riscatta soltanto cantando “My Heart Belongs to Daddy” di Cole Porter. Debolucci anche i numeri musicali con le coreografie di Jack Cole.
1633. Due giovani gesuiti, Padre Rodrigues e Padre Garupe, rifiutano di credere alla notizia che il loro maestro spirituale, Padre Ferreira, partito per il Giappone con la missione di convertirne gli abitanti al cristianesimo, abbia commesso apostasia, ovvero abbia rinnegato la propria fede abbandonandola in modo definitivo. I due decidono dunque di partire per l’Estremo Oriente, pur sapendo che in Giappone i cristiani sono ferocemente perseguitati e chiunque possieda anche solo un simbolo della fede di importazione viene sottoposto alle più crudeli torture. Una volta arrivati troveranno come improbabile guida il contadino Kichijiro, un ubriacone che ha ripetutamente tradito i cristiani, pur avendo abbracciato il loro credo.
Da un romanzo di Hank Searls. Per battere i sovietici nella corsa alla luna, gli americani lanciano una capsula, guidata da un pilota civile allenato in tempi stretti da un colonnello suo amico. Più che di fantascienza, è un buddy-buddy film , cioè la storia di un’amicizia maschile messa alla prova dai politici. Pur manipolato dai boss della Warner, è un interessante e ingegnoso esempio di contaminazione tra fiction e documentario.
Rinchiusa in un convento dopo aver ucciso l’amante della madre vedova, Rita – ventenne cinica e lucida – inganna per due anni suore e confessore e circuisce un giovane sacerdote che deve indagare sul suo caso. Da un romanzo epistolare (1941) di Guido Piovene, attraverso la griglia dell’inchiesta giudiziaria, un film sapiente che rappresenta il disfacimento morale di una famiglia alto-borghese, i guasti di un cattolicesimo mal inteso, la dolcezza del paesaggio vicentino, i complessi rapporti tra i personaggi tra cui spiccano la madre (Hella Petri) e la governante (Elsa Vazzoler). Abbreviato alla durata attuale da quella di 102 minuti.
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