Cinque ladri salvano la vita a un ribelle messicano il quale, per approvvigionare il suo esercito, commissiona loro un favoloso colpo. Al momento di essere pagati, i compari decideranno di combattere al fianco dei rivoluzionari.
Dopo Aguirre e Fitzcarraldo Werner Herzog e Klaus Kinski si lanciano in un’altra storia di straordinaria follia ai tropici. Anche Cobra Verde è realmente esistito. Si chiamava Francisco Manoel da Silva, un trafficante di schiavi che da bandito in Brasile divenne il viceré di una regione della costa occidentale dell’Africa.
Reduce dal Vietnam, con la faccia sfigurata dalle ustioni riportate in combattimento, il sergente Al Columbato trova ad attenderlo in patria una delicatissima missione: tentare di salvare dal baratro della follia il suo vecchio amico d’infanzia Birdy. Quest’ultimo, in realtà, non era mai stato equilibrato: fin da ragazzino, vessato da una madre insopportabile e strepitante, Birdy nutriva un’ossessiva passione per gli uccelli e sognava di poter imitare il loro volo. Gli orrori del Vietnam gli hanno dato il colpo di grazia e la sua mente sembra definitivamente persa in un mondo di fantasie. Sarà l’amico Al a restituirgli il sorriso.
Un decrepito albergo di Los Angeles è teatro degli episodi narrati dai quattro registi. Il filo conduttore è il portiere Tim Roth, agitato e “cartonesco”. Ha a che fare con una congrega di streghe, due bambini pestiferi, una coppia sadomaso e una scommessa riciclata da un telefilm di Hitchcock (quella del dito tagliato). Un film che può anche essere evitato.
Arthur Howitzer Jr., figlio del fondatore e proprietario del quotidiano “The Evening Sun” di Liberty (Kansas), ha convinto anni prima il padre a finanziare un supplemento domenicale e ha installato la redazione a Ennui-sur-Blasé. Espatriata in Francia, “Picnic” diventa “The French Dispatch” e copre ‘con stile’ la cronaca del paese. Perché intorno alla sua scrivania, Horowitzer Jr. ha raccolto i migliori giornalisti del suo tempo. Archeologi del quotidiano, ‘inseguono’ su campo il soggetto che gli è stato assegnato: una contestazione studentesca che volge in idillio, l’indagine di un commissario sulla pista dei rapitori di suo figlio, un artista psicotico e galeotto innamorato della sua secondina, il necrologio di Arthur Howitzer Jr, che ha posato la penna. E l’ultimo numero sarà un’antologia di articoli, i migliori, dedicata a lui. Si stampi.
Ho anche una versione 1080p h265 da 9gb, contattatemi in privato se interessati.
“Turni di notte” di anziano neosposo che, non pago della moglie, non trascura le due cognatine. Quando decide di occuparsi anche della graziosa domestica gli viene un colpo. Interpretazione memorabile di Tognazzi, misurato protagonista di un film crudele, demistificatorio e non consolatorio (per lo spettatore) che si stacca dagli schemi della commedia all’italiana media. Fotografia: Lamberto Caimi. Musiche: Fred Bongusto. Dal romanzo La spartizione (1964) di Piero Chiara, scritto da Lattuada con A. Baracco, T. Kezich, P. Chiara. Girato a Luino (VA).
Un film di John Ford. Con Clark Gable, Grace Kelly, Donald Sinden, Ava GardnerDrammatico, durata 115 min. – USA 1953. Dalla pièce Red Dust di Wilson Collison, già filmata con Lo schiaffo (1932) di V. Fleming e qui sceneggiata da John Lee Mahin. Il quartier generale di un cacciatore bianco (Gable) nel Kenya è invaso da Eloise Y. Kelly (Gardner), bruna irlandese di New York e di liberi costumi, e dall’antropologo britannico Donald Nordley (Sinden) con la moglie Linda (Kelly), bionda dalla sensualità repressa. Vanno tutti insieme a un safari incruento in cerca di gorilla. Le due donne si contendono il cacciatore. È un film anomalo nell’itinerario di Ford, uno dei più poveri di riconoscibili elementi fordiani. In un certo senso è il suo Hatari! Con Gable al posto di John Wayne, in un film dai risvolti di commedia in cui, come raramente gli succede, sottolinea la dinamica sessuale.
Howard Spence e’ stato il protagonista nel passato di importanti film western. Ora e’ costretto a girare filmetti senza spessore. Un giorno fugge dal set e l’assicurazione del film scatena un segugio che deve trovarlo. Howard ha condotto per anni una vita sregolata e non vede sua madre da decenni. Sara’ proprio lei a fargli sapere che deve avere, in un luogo ben preciso, un figlio ormai divenuto un giovane uomo. Howard va a cercarlo ma si trova davanti ad un rifiuto: il ragazzo non vuole saperne di questo padre piovuto dal cielo. Nel frattempo compare una ragazza a cui e’ appena morta la madre. L’attore potrebbe essere padre anche suo… Con il sostanziale (ed ammesso come tale) contributo di Sam Shepard, Wim Wenders torna ai suoi temi ‘classici’: il viaggio e il tentativo di ri-costruzione di relazioni apparentemente impossibili. Lo fa con una rinnovata sensibilita’, con un omaggio non formale all’America che ama (che non e’ quella di Bush) e facendo reincontrare sullo schermo due attori che, mentre si ritrovano come personaggi, ne hanno l’occasione anche come persone che hanno condiviso parte delle loro vite: Sam Shepard e Jessica Lange. Ne nasce un film che affronta uno dei grandi filoni che attraversano questo festival: il riconoscimento del ruolo di padre. Wenders lo affronta in modo ruvido ed elegiaco insieme, consapevole com’e’ che c’e’ chi preferisce il cinema alla realta’. Ce le offre entrambe e lascia a noi la scelta.
Un film intelligente e profondo che racconta la passione amorosa di un avvocato intrallazzone (Proietti) per una minorata mentale (Ann- Savoy) sullo sfondo di una Puglia tradizionalista e cattolica. L’avvocato Mazzacolli vuole mettere le mani sulle proprietà di una contessa (Papas) e – aiutato da un nobile locale (Scaccia) – inscena il rapimento della figlia ritardata che aveva chiesto in sposa. La manovra dovrebbe forzare la mano alla contessa, soprattutto per spingerla a concedere l’usufrutto delle proprietà al futuro marito. L’avvocato Mazzacolli si serve di un paio di complici sui quali vorrebbe far ricadere la colpa e la contesa non denuncia niente alla polizia, ma risolve in segreto il problema. Il finale è a sorpresa, anche perché l’avvocato non ha fatto i conti con l’amore, sentimento imprevedibile che modifica idee e situazioni.
In un ipotetico paese dell’America latina, il potere è in mano a un partito che perseguita i religiosi. L’unico prete a tener duro è un individuo mitissimo ma molto orgoglioso, che decide di rimanere a qualsiasi costo.
2° capitolo, dopo Dogville , della trilogia americana del danese Trier, da lui anche scritta. Lasciate le Montagne Rocciose, nel 1933 Grace arriva a Manderlay (Alabama) dove vige ancora la schiavitù e cerca di usare il potere, donatole dal padre gangster, per imporre libertà e democrazia, scoprendo alla fine un mondo dove sono gli schiavi a volere un padrone. Divisa in 8 capitoli, l’azione è chiusa in un set cinematografico: scenografie soltanto accennate, disegnate sul pavimento (bianco, non più scuro) e cinepresa mobile a spalla (Anthony Dod Mantle, lo stesso Trier). Se Dogville può essere preso come un racconto filosofico, il seguito è esplicitamente politico. Dedurne la sua attualità con l’occupazione dell’Iraq è facile, ma Trier va oltre con un discorso atemporale sul potere e le sue pratiche. Anche in Italia divise i critici. Bruno Fornara, il più acuto dei suoi difensori, è ricorso all’ alétheia di Heidegger, la nozione di verità come non-nascondimento, sostenendo che il compito di Trier non è di dire delle verità, smascherando la falsità del cinema come luogo di menzogne e di trappole, ma di mostrare come sia complicato non nasconderle. Il cambio degli interpreti principali non nuoce al funzionamento della macchina.
Tema: la felicità. Che cos’è e come la si ottiene? Quanto pesa il caso (la forza del destino) e quanto le scelte? In che misura con grandi o piccoli gesti possiamo influire sulla vita di un estraneo? Tutte ambientate a Manhattan (N.Y.), s’intrecciano – in una narrazione fluida e ben legata ma non lineare – 5 storie di 4 gruppi sociali (avvocati, insegnanti e allievi, donne delle pulizie, periti delle assicurazioni). 2° film di Sprecher (vincitrice del Festival di Torino 1997 con Clockwatchers ) scritto con la sorella Karen. Sono evidenti il piacere di raccontare storie e personaggi, la cura dei particolari, il gusto di una regia efficace e polita, l’impegno di attori noti e meno noti. C’è anche un lucido discorso laico sulla speranza per chi, pur avendo la sua croce, ne tiene conto, ma reagisce e non si rassegna.
Musical proletario imperniato su Nick Murder, operaio siderurgico di New York, quartiere Queens, che tradisce Kitty, madre delle sue tre figlie, con Tula, fulva commessa di facili costumi, finché capisce che, benché sessualmente appagante, una relazione extraconiugale non può sostituire la famiglia e l’amore che, nonostante tutto, prova per la moglie. Scritto e diretto da J. Turturro alla 3ª regia, è il film più cattolico e, nella 1ª parte, più becero tra quelli in concorso a Venezia 2005, nutrito dai dialoghi più spiritosi e scurrili mai usciti da Hollywood. Sa essere sentimentale e insolente, delicato e sciamannato, sottile e sghignazzante. Nel suo temerario miscuglio di comicità, tragedia, amore, sesso, pathos, poesia, canzoni e balletti può respingere o irritare gli spettatori bennati, ma è così ricco di invenzioni registiche da rifornire dieci commedie hollywoodiane dell’ultimo decennio. Attori strepitosi, anche K. Winslet in controparte, che cantano con le voci di Janis Joplin, Tom Jones, Connie Francis, Bruce Springsteen, Ute Lemper, Anna Identici, tranne il duetto Sarandon/Gandolfini che intona “The Girl That I Marry” di I. Berlin. Prodotto da Joel ed Ethan Coen. Non distribuito, o quasi, negli USA.
Nella notte di San Silvestro Gioia Fabbricotti (Magnani), che fa la comparsa a Cinecittà dove è chiamata Tortorella, incontra casualmente il vecchio amico Umberto Pennazzuto (Totò) detto Infortunio, ridotto a far da palo al ladro Lello (Gazzara). Per un equivoco Tortorella crede che Lello voglia corteggiarla e finisce in prigione al suo posto. Tratta da due racconti ( Le risate di Gioia , Ladri in chiesa ) di Alberto Moravia, sceneggiata da Suso Cecchi D’Amico, Age & Scarpelli, è una notturna commedia buffa dai risvolti tristi che contano e pesano più della facciata, appoggiata a due malinconici personaggi di vinti dalla vita cui si aggiunge Lello, diseredato come loro, ma più lucido e ribelle. M. Monicelli dosa con sapienza, comicità e amarezza, crepuscolarismo e satira di costume, affidandosi al godibilissimo duetto di una Magnani bionda e bravissima e di un Totò in grande forma. Gazzara, americano di origine siciliana, s’inserisce agevolmente tra i due.
Su cinque autocarri una spedizione umanitaria internazionale porta aiuti alimentari alle popolazioni affamate del Sahel. Finisce male. Ovvero: degli europei portano da mangiare agli africani e gli africani li mangiano. Film estremo, radicale – scritto con Raphael Azcona – nell’irrisione del terzomondismo, della carità come business, del mal d’Africa come rimorso, tormento, paura delle anime belle europee. Notevole per la sincerità della rabbia ferreriana, madre di un sarcasmo ironico e sornione, e per la traslucida trasparenza dello stile, interessante persino nei suoi difetti, divertente. Ma si ride verde. Fu inevitabilmente un insuccesso commerciale.
La vita di Giovanni XXIII, il “papa buono”, ricostruita attraverso la lettura del suo diario spirituale, dall’infanzia a Sotto il Monte sino all’elezione alla più alta carica religiosa.
Di Elizabeth Schragmüller, spia tedesca realmente vissuta e operante durante la prima guerra mondiale con il nome di “Fräulein Doktor”, si sa molto poco. Il primo che raccontò le gesta di questa temibile spia fu George Pabst nel 1936.
Professore di psicofisiologia in cerca di esperienze extrasensoriali assume sostanze allucinogene che gli provocano mutazioni biologiche e genetiche. Ispirato a un romanzo di Paddy Chayefsky, che disconobbe il film, cioè il modo in cui il regista aveva alterato la sua sceneggiatura, e volle firmarla solo come Sydney Aron, è irritante, squilibrato ma con momenti di esaltata genialità soprattutto a livello figurativo, grazie alla fotografia di J. Cronenweth e alle sue immagini psichedeliche. Ottimo esordio di W. Hurt.
Non è proprio il primissimo Dracula dello schermo (c’è il muto Nosferatu di Murnau), ma è certo quello che ha reso popolare il conte vampiro dei Carpazi. E lanciato in grande stile l’interprete, il bravissimo (e oppiomane) Bela Lugosi. La storia è quella solita. Dracula mozzica un bel po’ di turisti finché non arriva l’ammazza vampiri Van Helsing a saldargli il conto.
Esistono diversi doppiaggi di questo film. Quello del 1986, considerato il sacro graal perchè introvabile, quello del 1993 e quello più recente del 2003. Per ulteriori, interessanti informazioni leggete qui
Nella cartella quindi troverete le tre versioni originali (un vhsrip 1986, un vhsrip del 1992 e un bdrip 2003) più una quarta con video preso da bluray 2003 e triplo audio (1986+1993+2003)
Max Fischer è un quindicenne che ha trovato la sua unica ragione di vita: frequentare la Rushmore Academy. Nerd occhialuto ma non secchione, con molteplici attività extra-curricolari all’attivo (tra cui l’allestimento di maestosi spettacoli teatrali), Max fa amicizia con il laconico e svogliato “uomo d’affari” Herman Blume e insieme a lui si scopre innamorato della dolce maestrina vedova miss Cross. Questo amore impossibile e l’espulsione dalla Rushmore lo costringeranno a confrontarsi con un’inevitabile crescita emotiva e con la ricerca di un suo posto nel mondo al di fuori della scuola. Il texano Wes Anderson, qui alla sua seconda opera (scritta, come la precedente e la successiva, insieme all’attore/amico fidato Owen Wilson) mette già in campo quelli che saranno i tratti caratteristici del suo cinema nei successivi I Tenenbaum (2001) e Le avventure acquatiche di Steve Zissou (2005): adolescenti inquieti e capricciosi, adulti immaturi e flemmatici si lasciano vivere in un mondo bizzarro e surreale illuminato dai colori pop della provincia americana. Accompagnate dalle note retrò di canzoni degli anni Sessanta e Settanta (Cat Stevens, i Kinks, John Lennon sono l’ immaginario sonoro prediletto dal regista e dal suo fido collaboratore/compositore Mark Mothersbaugh), queste figure delicate, ironiche e malinconiche a un tempo, vanno a comporre un universo sentitamente autobiografico e nostalgico. Tutto giocato sulla sottrazione e sul minimalismo a partire dalla recitazione (il viso imperturbabile di Bill Murray che getta in piscina una pallina da golf ne è l’esempio lampante), il film, lontano dalle solite commedie di ambiente studentesco, è un mosaico originale e intimista di personaggi infantili e contraddittori, ripresi con il tocco asciutto, personale e unico di un autore bizzarro quanto le sue creazioni.
Le richieste di reupload di film,serie tv, fumetti devono essere fatte SOLO ED ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.