Un film di Hal Ashby. Con Jane Fonda, Jon Voight, Bruce Dern Titolo originale Coming Home. Drammatico, durata 127 min. – USA 1978. – VM 14 – MYMONETRO Tornando a casa valutazione media: 3,21 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Allo scoppio del conflitto nel Vietnam, un ufficiale americano parte per la guerra. Sua moglie, infermiera volontaria, conosce un reduce paralizzato del quale si innamora. L’uomo, fervente assertore del non-intervento, è sorvegliato dall’Fbi che mette al corrente l’ufficiale della relazione dell’infermo con sua moglie.
Durante la seconda guerra mondiale, gli ufficiali di una base aerea americana su una spiaggia italiana trovano la morte a uno ad uno in circostanze misteriose. Solo uno si salva, l’americano di origine armena Jossarian che riesce fortunosamente a riparare in Svezia.
Rudy si è appena laureato in legge, non è ancora procuratore ma lo diventa quasi subito. Vive a Memphis e si dà da fare. Si trova a patrocinare la famiglia di un malato di leucemia: l’assicurazione non vuole riconoscere il legittimo risarcimento. Rudy va avanti. Quando si trova di fronte al micidiale corporativismo delle assicurazioni, non si fa intimidire da una schiera di avvocati da “mille dollari l’ora” e affronta la sua battaglia. Alla sua prima causa, ma col furore del Davide onesto, il ragazzo vince su tutta la linea. La compagnia assicurativa, che era una vera associazione per delinquere, perde la causa ed è costretta al fallimento. Chi conosce John Grisham, l’autore del libro, sa che alla fine giustizia sarà fatta. Nelle sue storie ognuno ha esattamente quello che si merita. Gli onesti hanno la meglio sui cattivi, pure organizzatissimi. E mettiamoci Coppola, che racconta con la giusta tensione. Si esce dalla sala col magnifico senso liberatorio dei grandi film di un tempo. Coppola-Grisham, ovvero il fronte opposto ai maledetti tarantiniani. Teniamoceli stretti. Quando i buoni vincevano si diceva “succede solo al cinema”, poi non è più successo neanche al cinema. Grisham e Coppola ripristinano la speranza. Il film come sogno e benessere. Il cavaliere della valle solitaria è tornato. E la presenza della vecchina Teresa Wright (mito di Hollywood: Signora Miniver, I migliori anni della nostra vita) è un altro segnale di qualità, una garanzia rassicurante verrebbe da dire, senza corporativismi.
Il film racconta i fatti fondamentali della carriera e della vita privata di Alì. Si parte dal 1964, dal primo incontro con Liston che diede a Clay il titolo mondiale dei pesi massimi. Il match era truccato ma nel film non viene detto. Viene accreditata la tesi che fu Malcolm X a portare il campione sulla via dell’Islam. Il gran capo dei musulmani neri riceve il ragazzo e gli cambia il nome. Alì, chiamato alla armi rifiuta di partire. Sono gli anni del Vietnam. Il pugile dice la famosa frase, che gli costerà cinque anni di inattività, “i Vietcong non mi hanno fatto niente”. Non può più combattere. Rimane senza un dollaro. Il gran capo religioso lo espelle. Lo riprende quando Alì tornerà a combattere con borse miliardarie. A Kinshasa, nello Zaire, viene organizzato l’incontro del secolo, con Foreman. La città africana, preferita a New York e Las Vegas, assume un altissimo valore simbolico. È il 1974, Alì ha 32 anni e ritorna in possesso del titolo. Il film si chiude col campione esultante sul ring. Mann, nonostante la trama fortemente cinematografica, non ha colto l’occasione.
Quattro amici di Atlanta (Georgia) decidono di passare un weekend discendendo in canoa il fiume Chattooga che attraversa la valle della Cahula, prima che il paesaggio sia sconvolto dalla costruzione di una diga. La gita si trasforma in un incubo di violenza e di morte. Tratto da un romanzo di James Dickey che l’ha sceneggiato e che compare nel film nella piccola parte di uno sceriffo, il film svolge i temi del confronto tra natura e civiltà, tra mondo urbano e mondo rurale e della necessità della violenza individuale a contatto con la natura selvaggia. Quello dei quattro cittadini è un viaggio negli inferi dell’inconscio, del pre-storico, del mito in un contesto di dolore e di morte. Tra le diverse scene memorabili da citare almeno il duetto di banjo e chitarra all’inizio. Ottima fotografia di V. Zsigmond.
De Niro è il bandito Neil, Pacino il poliziotto Vincent. I due si conoscono da tempo. Neil, nevrotico, crudele, non vuol tornare in prigione, preferirebbe uccidere e morire. Vincent, estroso, intelligente, vessato da moglie ed ex mogli, è uno che non molla. A complicare ci si mettono lo psicopatico Chris (Kilmer) e un paio di dark. Ci si confronta, si spara, ci si insegue in macchina in una Los Angeles mai così protagonista di un film. Produzione di grande budget e di grandi talenti, con due fra i massimi e ormai storicizzati attori del cinema internazionale. De Niro e Pacino (tre Oscar in due), diversissimi e complementari, funzionano. E come potrebbe essere altrimenti? Sono solo due le sequenze in cui si confrontano direttamente e il regista Mann è riuscito, con dei controcampi e senza farli incontrare sul set, a tenere a bada la loro voglia di competizione. Da sottolineare l’intenzione realista del film, dove niente è ricostruito o girato in studio. Grande, completo successo.
Cowboy texano arriva a New York deciso a fare soldi con le donne ma passa brutte esperienze e un duro inverno con Ratso Rizzo, italoamericano zoppo e tubercolotico. Cinedramma patetico su una strana amicizia che sboccia come un fiore nel fango di Manhattan.Ebbe 3 Oscar: film, regia, sceneggiatura (Waldo Salt, da un romanzo di James Leo Herlihy). Per Hoffman, piccolo grande uomo, soltanto una nomination; la ebbe anche Voight. Fu per entrambi il 3° film e il definitivo lancio come star. Grande successo anche per la canzone “Everybody’s Talkin'” di Fred Neil, cantata da Henry Nilsson.
Due criminali evasi da un carcere dell’Alaska salgono su un convoglio ferroviario in manovra. Il macchinista, colpito da sincope, muore. Il treno continua la sua corsa verso il disastro. 2° film hollywoodiano del russo Končalovskji, fratello di Nikita Michalkov, scritto da Djordie Miličević, Paul Zindel ed Edward Bunker, che rimaneggiano una sceneggiatura di Kurosawa. Se si passa sopra alle clamorose inverosimiglianze, alle troppe coincidenze e al personaggio amorfo del giovane Roberts, il risultato è ammirevole e il finale indimenticabile. Ottima fotografia di Alan Hume. In antitesi con gli abituali personaggi positivi, Voight è una convincente bestia umana con le cicatrici.
Giovane avvocato di colore (Smith) entra in possesso, per caso e senza saperlo, di una videocassetta che incrimina come mandante di un omicidio politico un alto dirigente (Voight) della NSA (National Security Agency), più potente, segreta e costosa della CIA. Per neutralizzarlo, gli uomini della NSA “deviata” gli rovinano la vita finché, con l’aiuto di un misterioso ex agente (Hackman) dei servizi segreti, la vittima parte alla riscossa. Sulla scia di Crimini invisibili (1997), la sceneggiatura di David Marconi è ispirata a un’inchiesta (dicembre 1995) del Baltimore Sun. Thriller di fantapolitica? Non lo è: dove non coincide con la realtà del controllo telematico, è verosimile. È forse il miglior film di T. Scott che l’ha diretto ad alta velocità senza risparmiarsi nelle sequenze spettacolari. Il suo vero autore, però, è lo sceneggiatore che nel finale recupera la vicenda della mafia italoamericana enunciata nell’avvio. Hackman entra in scena nell’ultima mezz’ora.
Stanley è un teenager che viene accusato del furto di un paio di scarpe donate da una star del baseball ad un orfanotrofio. Viene quindi rinchiuso per 18 mesi in un carcere dove deve scavare buchi La filosofia del campo è semplice: “Prendete un cattivo ragazzo. Mettetelo a scavare buchi per tutto il giorno sotto il sole e diventerà un bravo ragazzo”. Tratto da un romanzo letto da milioni di ragazzi nel mondo anglosassone il film non tradisce le aspettative dei lettori, avvalendosi anche di altre due vicende che vengono interpolate con quella principale.
Figlia di un archeologo di nobile famiglia inglese, esperta in arti marziali, amante del pericolo, Lara Croft è coinvolta dall’amatissimo padre scomparso nella ricerca di un antico manufatto spezzato in due che, una volta ricostruito, conferirebbe a chi lo possiede il potere di manipolare il tempo a piacere. Derivato da una serie di videogiochi d’azione della Eidos, dal 1996 venduti in tutto il mondo, sceneggiato da Patrick Massot e John Zinman, costato 85 milioni di dollari con esorbitante esibizione di effetti digitali, arroccato sul proprio infantilismo esotico-avventuroso, è per spettatori adulti capaci di tornare all’infanzia. Soprannominato in USA Indiana Clones per gli evidenti prestiti da Indiana Jones . West viene dal montaggio e dai videoclip, e si vede.
La storia, ambientata negli anni Cinquanta, scorre su un doppio binario: da una parte Jack Chismore, reduce della seconda guerra mondiale, dall’equilibrio scosso e con una famiglia carica di problemi. Dall’altra, gli esperimenti atomici della zona. Jack comprende che in quel deserto vicino a Las Vegas qualcosa di minaccioso sta accadendo e quando un mattino si leva nel cielo il fumo dell’esplosione atomica, capisce che le tensioni personali sono poca cosa e che solo la famiglia è simbolo della volontà di sopravvivenza.
Un film di Ronald Neame. Con Jon Voight, Maximilian Schell, Maria Schell, Peter Jeffrey, Derek Jacobi. Titolo originale The Odessa File. Giallo, durata 128′ min. – Gran Bretagna 1974. MYMONETRO Dossier Odessa valutazione media: 2,50 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Il diario di un ebreo suicida induce giornalista a indagare su banda di ex SS che sembra coinvolta in traffico d’armi. Da un romanzo (1963) di Frederick Forsyth, un film di spionaggio politico greve come un ippopotamo. Suspense fiacca. View full article »
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