Un uomo è sospettato di complicità nel rapimento della moglie di un mafioso e da questi condannato a morte. L’uomo allora tenta di accordarsi col killer, ma lo ferisce involontariamente a morte durante una colluttazione.
Declino di una famiglia del latifondo toscano (Grosseto) che gestisce un’azienda agricola e in cui contano (e lavorano) soprattutto le donne. Grande film borghese che arricchisce il povero panorama del cinema italiano degli anni ’80 per il sapiente impasto di toni drammatici, umoristici e grotteschi, la splendida galleria di ritratti femminili, la continua oscillazione tra leggerezza e gravità, il modo con cui – senza forzature ideologiche – sviluppa il discorso sull’assenza, la debolezza, l’egoismo dei maschi. Scritto dal regista con Suso Cecchi D’Amico, Tullio Pinelli, Benvenuti e De Bernardi.
Il capo della squadra mobile romana viene ucciso proprio mentre sta per incastrare una grossa cosca mafiosa. Il questore affida l’incarico di continuare le indagini a un collaboratore della vittima, ma gli astuti delinquenti riescono a insinuare nelle menti degli investigatori il sospetto che la mafia abbia corrotto tutti i poliziotti.
Il lombardo Nullo e la siciliana Carmela, operai in una fabbrica, s’innamorano. La donna, intossicata da esalazioni venefiche, muore. Nullo la vendica. Comencini taglia, alleggerisce alla lombarda il vino meridionale ad alto tasso alcolico di Ugo Pirro (soggetto e sceneggiatura) in una love story proletaria diseguale, ma ricca di momenti espressivi. Imperfetto, ma anche imprevedibile sullo sfondo di una suggestiva e malinconica Milano della cintura operaia. Fu capito dai critici francesi a Cannes, e la Sandrelli, di nuovo siciliana e doppiata controvoglia, è bravissima.
Breve e avventurosa vita del partigiano Silvio Corbari, Medaglia d’oro della Resistenza, che insieme a giovanissimi compagni tra l’8-9-43 e i primi mesi del 1944 diede molto filo da torcere alle SS, agli Alpenjäger e ai loro complici fascisti con incursioni in Romagna e in Toscana e anche, maestro di travestimenti, con imprese beffarde. Tradito da un delatore, fu arrestato già gravemente ferito e impiccato due volte a Castrocaro e a Imola. Lasciati i fratelli Taviani, Orsini – sceneggiatore con Renato Nicolai – balza nel cinema nazional-popolare con un film d’azione di matrice eretica che nella Resistenza privilegia l’individualismo contro il controllo dei commissari politici del PCI, la spontaneità contro l’organizzazione, offrendo a Gemma un personaggio insolito, diverso da quel Ringo che l’aveva reso un divo degli “spaghetti-western”. Al passivo una voce narrante intrusiva e la troppa musica di Benedetto Ghiglia.
Mentre le forze dell’ordine falliscono, l’avventuriero Ringo riesce a sbaragliare una banda di fuorilegge che ha assaltato una banca, semplicemente infiltrandosi tra i fuorilegge e fingendosi uno di loro. Una donna lo aiuta.
Scott fa lo spazzino a Clifton, Arizona. Ma aspetta l’occasione per diventare qualcuno. L’occasione arriva con Talby, che gli insegna a diventare pistolero. Scott entra nella banda di Talby, ma, quando questi uccide lo sceriffo amico di Scott, si mette dalla parte della legge.
Due fratelli si dividono dopo aver vissuto insieme per tanti anni. Gary diventa pistolero e riceve l’ordine di uccidere il fratello Phil per conto di MacCory. Trovatosi di fronte il fratello, non ha il coraggio di farlo fuori. Interviene perciò MacCory. Phil viene ucciso, ma Gary si salva per puro caso. La sua vendetta è spietata e completa. Montgomery Wood è lo pseudonimo di Giuliano Gemma.
Brent Landers, ricercato per un delitto non commesso, batte il Nuovo Messico alla ricerca dell’uomo che può dimostrare la sua innocenza. Lo trova ma è costretto a ucciderlo. E con lui molti altri per salvare una ragazza di cui è innamorato. Uno dei classici del western all’italiana. Anche se la fattura è ancora rozza, e gli autori si muovono con notevole goffaggine. Ma ad un anno dal “boom” di Per un pugno di dollari il genere era in piena voga. Bastava Gemma a decretare il successo di una pellicola.
Romanziere americano giunto a Roma per presentare il suo best seller, è coinvolto in una serie di delitti che un maniaco esegue ispirandosi al suo romanzo. Se esistesse l’Oscar della macelleria, questo 8° film di D. Argento se lo aggiudicherebbe facilmente. Si lavora con rasoio e scure. “Il parallelismo metalinguistico fa perciò nascere l’ipotesi metaforica secondo la quale, come lo scrittore di Tenebre, anche Argento si consideri in realtà subliminalmente l’unico, autentico assassino dei suoi film” (R. Pugliese).
Un film di Valerio Zurlini. Con Vittorio Gassman, Helmut Griem, Francisco Rabal, Jean-Louis Trintignant, Giuliano Gemma.Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 150 min. – Italia, Francia, Germania 1976. MYMONETRO Il deserto dei Tartari valutazione media: 3,83 su 20 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Il tenente Giovan Battista Drogo, di fresca nomina, viene assegnato alla fortezza Bastiani, un avamposto ai confini dell’impero che si trova dinanzi al deserto anticamente abitato dai Tartari. Giunto a destinazione Drogo avverte come ogni militare, dal soldato ai più alti gradi, sia in attesa dell’arrivo del nemico proprio dal da quella direzione e quanto la vita dell’intera guarnigione dipenda da quell’attesa. Drogo cerca di farsi trasferire ma l’atmosfera che regna nella fortezza finisce con l’affascinarlo e a impedirgli di andarsene. Il romanzo omonimo di Dino Buzzati (edito nel 1940) aveva attratto da subito più di uno sceneggiatore e regista ma tutti avevano finito con l’arrendersi dinanzi alla difficoltà di ambientazione storica. Perché lo scrittore situa la vicenda in una dimensione atemporale e la stessa Fortezza Bastiani può essere considerata un luogo non identificabile (Buzzati si spinse a dire che avrebbe potuto anche essere la redazione del Corriere della sera per cui scriveva). Ecco allora che l’idea viene accantonata fino al 1963 quando il libro esce in Francia in edizione tascabile. Sarà Jacques Perrin (già attore per Zurlini in Cronaca familiare) a rilanciare l’idea. La collocazione storica viene fissata alla fine dell’Ottocento con una forte connotazione di eleganza e rigidità austro-ungarica che la famiglia Buzzati-Traverso aveva ben conosciuto. Il luogo (fondamentale) è la fortezza di Barn nel sud dell’Iran (ora distrutta dal terremoto del 2003). Il film è fedele al libro (tranne che nel finale per problemi produttivi) perché fondamentalmente sia Buzzati che Zurlini condividevano una visione della vita dominata da un senso profondo di attesa, da una sensazione di inutilità, da una profonda malinconia.”Vivere la vita non ha altro fine che lasciarla passare e la morte è l’unica giustificazione” così si esprimeva il regista individuando questo tema come il fil rouge di tutta la sua filmografia. Grazie a un cast di altissimo livello Zurlini rilegge non solo il mondo di Buzzati ma ci propone anche una personale visione del pascaliano ‘silenzio dinanzi agli infiniti spazi’ con questo che sarà il suo ultimo film.
Corleone, un giovane ambizioso e senza scrupoli, si mette al servizio dei mafiosi locali. Un “pezzo da novanta” gli ordina di uccidere il suo migliore amico, un sindacalista, e il giovane lo fa, ma solo per acquistare maggior potere e prendere il posto dei vecchi capomafia. Ci riesce e in capo a una ventina d’anni diventa il boss più temuto dell’isola. Ma la giustizia (meglio tardi che mai) gli è addosso. Il protagonista riesce a giocarla per un po’, ma intanto è divenuto personaggio scomodo anche per i suoi seguaci: lo ammazzano davanti alla moglie e ai figli.
Un film di Pasquale Squitieri. Con Claudia Cardinale, Francisco Rabal, Giuliano Gemma, Stefano Satta Flores, Enzo Fiermonte.Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 110 min. – Italia 1977.MYMONETRO Il prefetto di ferro valutazione media: 3,53 su 10 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Cesare Mori viene mandato a Palermo – verso la fine degli anni ’20 – a ricoprire la carica di Prefetto, e dotato di poteri repressivi eccezionali, per lottare contro la mafia. Quando la mafia ucciderà un’intera famiglia per ‘avvertimento’, Mori non si lascerà intimidire ed ucciderà personalmente il boss Antonio Capecelatro. Raccolte numerose infermazioni,non supportate da prove e testimonianze che potrebbero permettergli di agire legalmente, Mori decide di sferrare un colpo basso ai mafiosi e di restituire un pò di fiducia nello Stato ai siciliani, ed allora inizia una forte azione repressiva sui briganti di Gangi, assediandoli e chiudendo le condotte dell’acqua. La vittoria definitiva sul brigantaggio, lo sprona a sferrare un ulteriore attacco ai boss, ma una serie di documenti compromettenti lo porta al federale fascista, onorevole avvocato Galli. A Mori non resterà che andare via, lasciando il suo posto proprio a Galli.
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