Slow Horses è una serie televisivastatunitense e britannica distribuita su Apple TV+ dal 1º aprile 2022[1] con Gary Oldman, Jack Lowden e Kristin Scott Thomas.Si tratta dell’adattamento del primo romanzo omonimo (2010) dello scrittore britannico Mick Herron (in italiano tradotto col titolo Un covo di bastardi), con protagonista l’agente Jackson Lamb.Ufficialmente rinnovata per una seconda stagione[2], la serie continuerà la narrazione dei romanzi di Herron.
Durante un’esercitazione in un aeroporto, l’agente del MI5 River Cartwright commette un grave errore di valutazione e per questo viene mandato in un’unità di agenti in disgrazia, denominata il “Pantano” (Slough House). Capitanata dal veterano Jackson Lamb, un tempo agente del MI5 di grande valore e ora confinato ai margini dell’Intelligence, il Pantano è composto da alcuni agenti degradati (denominati dal MI5 Slow horses, in italiano “i ronzini”), con compiti di basso profilo, spesso umilianti e mai di primo piano. Lamb, scorbutico e irascibile, mantiene distanze relazionali e professionali col suo gruppo di agenti, prendendo soprattutto di mira River Cartwright, verso il quale sembra nutrire un particolare astio. Un giorno al giovane agente viene affidata da Lamb la sorveglianza del giornalista di destra Robert Hobden. Cartwright tuttavia non prende alla leggera il suo umile compito e inizia ad indagare caparbiamente fino a rivelare un intricato complotto relativo al sequestro di un giovane musulmano, un’oscura vicenda in cui la direttrice del MI5, Diana Taverner, recita un ruolo cruciale.
30 anni dopo la solita catastrofica guerra, un uomo viaggia attraverso il deserto di quel che è rimasto della Terra, passando per grigi resti di città, incontrando bande di umani trasformati in selvaggi senza morale né pietà. Ma lui, Eli, è inarrestabile e prosegue il suo viaggio, lasciando dietro di sé altri cadaveri, difendendo ferocemente un prezioso manufatto (l’ultima copia della Bibbia rimasta!) su cui vuol metter le mani il potente despota di una città abitata da killer e delinquenti tutti al suo servizio. Con sovrannumero di citazioni, un “mix irrisolto di Mad Max e Bernadette , di Leone e Corman, fra pallottole vaganti, gli Hughes bros disperdono il loro talento in un rumoroso western grigio” (M. Porro), con Washington involontariamente ridicolo come profeta difensore della fede, cieco e invincibile, Oldman psicopatico sadico e un’apparizione di Tom Waits troppo breve.
Dal romanzo (stravolto) di Nathaniel Hawthorne. Inghilterra diciottesimo secolo. Una donna tradisce il marito con un pastore. Secondo la legge, la fedifraga viene punita e le viene imposto di portare sul petto la lettera A. Dopo avventure inenarrabili, arriva un impossibile lieto fine. Davvero tutto sbagliato, quasi ridicolo.
Un film di Wolfgang Petersen. Con Harrison Ford, Gary Oldman, Glenn Close, Wendy Crewson, Dean Stockwell.Avventura, durata 124′ min. – USA 1997. MYMONETRO Air Force One valutazione media: 3,00 su 16 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Di ritorno da una visita ufficiale a Mosca, l’aereo del presidente USA è preso in ostaggio da terroristi che chiedono la liberazione del loro capo, il gen. Vadek, dittatore del Kazakistan e detentore di valigette nucleari russe. Minacciano di eliminare un passeggero ogni trenta minuti. Più svelto di Indiana Jones, più invincibile di Ercole, più micidiale di Rambo, H. Ford risolve tutto con la sua presenza carismatica: picchia, spara, volteggia, blocca, sgomina. L’afasia espressiva, tipica dei blockbuster a stelle e strisce degli anni ’90, si coniuga con l’arroganza manichea, revanscista e missionaria degli USA, poliziotti del mondo. A livello di regia la miscela americano-germanica si rivela sempre più deleteria per l’eccesso di patriottismo. La sceneggiatura di Andrew W. Marlowe ha almeno un merito: aver fornito a G. Oldman una figura gustosa di “cattivo”.
I due personaggi dell’ Amleto di Shakespeare sono i protagonisti di questo eccentrico intrattenimento teatrale che, malgrado abbia vinto il Leone d’oro alla mostra di Venezia, non ha molto a che fare con il cinema. Comunque, come noto, i protagonisti si recano alla corte del re di Danimarca per indagare sulla follia di Amleto. Verranno giustiziati senza venire a capo di nulla. Un’inspiegabile versione cinematografica di un testo in bilico tra il grottesco e la commedia dell’arte. Si può comunque apprezzare la bravura degli interpreti in ruoli più facili di quanto sembri. Gary Oldman e Tim Roth per la recitazione si sono ispirati a Stanlio & Olio. Nient’altro che onanismo culturale.
Gran Bretagna, 1940. È una stagione cupa quella che si annuncia sull’Europa, piegata dall’avanzata nazista e dalle mire espansionistiche e folli di Adolf Hitler. Il Belgio è caduto, la Francia è stremata e l’esercito inglese è intrappolato sulla spiaggia di Dunkirk. Dopo l’invasione della Norvegia e l’evidente spregio della Germania per i patti sottoscritti con le nazioni europee, la camera chiede le dimissioni a gran voce di Neville Chamberlain, Primo Ministro incapace di gestire l’emergenza e di guidare un governo di larghe intese. A succedergli è Winston Churchill, con buona pace di re Giorgio VI e del Partito Conservatore che lo designa per soddisfare i Laburisti.
Avevamo bisogno di un altro film su Winston Churchill? Probabilmente no ma davanti alla performance di Gary Oldman L’ora più buia è la benvenuta. L’Homburg di feltro, il grosso sigaro, il panciotto, la voce grassa, il corpo goffo, il whisky (sempre) alla mano, il mumblingpermanente, lo rendono una sfida irresistibile per qualsiasi attore. Se sei un artista di eminenza e hai raggiunto l’età e la rotondità necessarie allora non puoi sottrarti dall’interpretarlo. Incarnare Winston Churchill per un attore è un rito di passaggio, un privilegio non privo di responsabilità. Richard Burton, Albert Finney, Michael Gambon, Timothy Spall, Viktor Stanitsyn (ben quattro volte), John Lithgow, Brian Cox, per citare soltanto gli esempi più celebri, si sono alzati uno dopo l’altro nella Camera dei Comuni a pronunciare uno dei suoi celebri discorsi, a dettare altrettante celebri lettere, a masticare il tabacco, a ringhiare il proprio disappunto al nemico ai microfoni di Radio Londra.
Victorville, California, 1940. Lo sceneggiatore alcolizzato Herman J. Mankiewicz, temporaneamente infermo a causa di un incidente, si isola nel mezzo del deserto del Mojave con due assistenti per dar vita a uno script commissionato da Orson Welles, ventiquattrenne talento del teatro a cui la RKO ha dato carta bianca. Mankiewicz, detto Mank, cerca ispirazione tra i ricordi e rievoca eventi degli anni precedenti, che lo hanno visto spesso ospite del magnate William Randolph Hearst e al servizio del capo della MGM Louis Mayer. Tra questi le elezioni del 1934 per il governatore dello Stato, in cui simpatizzava per il candidato democratico dalle tendenze socialiste Upton Sinclair, apertamente osteggiato da Hearst e Mayer.
Léon è un killer, un sicario a pagamento della peggior specie, introvabile e indistruttibile, fin quando un topolino penetra nel suo universo: un topo piccolo con gli occhi immensi della dodicenne Matilde. A parte Reno, per il quale il film è stato scritto su misura, la piccola Portman è la rivelazione del film. È la bizzarra, perversa e onesta storia d’amore tra una dodicenne e un sicario. Amore senza sesso. Lui, l’adulto bambino, la istruisce a uccidere; lei, la bambina adulta, gli insegna a vivere. Besson è un manierista, ma sa prendere i suoi rischi: il suo è un cinema d’azione che non esclude, però, né una strenua attenzione alla psicologia né la cura puntigliosa dei personaggi. Notevoli Oldman e Aiello.
Nel 1480 Vlad Drakul, feroce paladino dell’Europa cristiana contro i turchi invasori, maledice Dio e diventa un vampiro dopo che sua moglie muore suicida, credendo che lui sia morto in battaglia. Nel 1897 a Londra Dracula vede in Mina Murray la reincarnazione della consorte e per amore si rifiuta di farne una sua simile, ma lei, innamorata, beve il suo sangue. In Romania i due si riuniscono. Ridotto a un mostro, Dracula le chiede di dargli pace. Lei obbedisce. Su una sceneggiatura di James Hart – che attinge anche da The Annotated Dracula di Leonard Wolf – e con almeno 40 milioni di dollari della Columbia Tristar (Sony) a disposizione, Coppola dà una struttura epica, romantica e luciferina al personaggio, e continua il suo lavoro di sperimentazione stilistica con una serie di invenzioni narrative, tecniche, cromatiche, figurative. Incorpora nel film la dimensione diaristica del libro. Fa subire a Gary Oldman numerose metamorfosi zoologiche o diaboliche. Ricorre soltanto a effetti speciali di carattere fotografico (e non computerizzato). Fa una puntigliosa ricostruzione della Londra vittoriana del 1897 con qualche civetteria e almeno un anacronismo storico (la sequenza del cinematografo). Riempie il film di rimandi al romanticismo e al simbolismo pittorico dell’Ottocento con curiose escursioni orientaleggianti (i costumi della giapponese Eiko Ishiota), ed espliciti agganci alla più raffinata grafica del fumetto, oscillando dal poetico al ridicolo involontario, dal gratuito al grossolano. È un film senza stile perché ne insegue troppi. È il Dracula di Winona Ryder: la bella parte è la sua, non quella di Oldman, troppo coperto dai trucchi e dai travestimenti. 3 Oscar: costumi, trucco, montaggio della colonna sonora.
3° episodio. Sono passati 8 anni dalla sconfitta di Joker e dalla morte di Harvey Dent/Due Facce. Batman è scomparso assumendosi la colpa dell’omicidio di Dent per assicurare alla polizia gli strumenti necessari per portare avanti un’efficace lotta alla criminalità organizzata di Gotham. Bruce Wayne, straziato dalla morte di Rachel e sfiduciato, vive come un eremita in una parte della sua magione. Torna in attività quando compaiono la ladra Catwoman (che gli risveglierà anche i sensi) e il terrorista Bane con il suo piccolo esercito. Accusato ed esaltato dalle diverse fazioni di nemici e fans, è il degno epilogo della trilogia cinematografica che Nolan ha tratto dal fumetto di Bob Kane: spettacolare e ingenuo, fantasioso ed esagerato, dagli impeccabili effetti speciali e di grande successo (box office mondiale: 1 miliardo di dollari).
Il crimine organizzato a Gotham City ha le ore contate. Batman, il tenente Gordon, il nuovo Procuratore Distrettuale e alcuni improbabili epigoni dell’Uomo Pipistrello in imbottiture da hockey hanno dichiarato guerra ai criminali. La loro fortuna e i loro dollari, accumulati in una banca di massima sicurezza, vengono rubati da Joker, un pagliaccio sadico e mascherato che getterà la città nel disordine e nell’anarchia. Riempite le tasche di lame, polvere da sparo e lanugine, Joker sfiderà il cavaliere oscuro di Bruce Wayne e rivelerà il lato oscuro di Harvey Dent, l’eroe procuratore che applica la giustizia e agisce a volto scoperto. Negli anni il fumetto ideato da Bob Kane si è “riletto” per riscriversi in nuove forme, in questo modo ha riscritto anche il proprio rapporto con il cinema. Si è perciò compiuto il progetto di portare sullo schermo Batman, evitando l’estetica pop-camp di una precedente età televisiva, interiorizzando le proprietà narrative del fumetto e quelle del video e procedendo verso la loro integrazione radicale.
Bruce Wayne, giovane rampollo di un illuminato filantropo di Gotham City, vede i suoi genitori assassinati da un rapinatore. Incapace di liberarsi del senso di colpa, inizia un vagabondaggio che lo porta fin sulle vette dell’Himalaia, dove Ra’s Al Ghul e il suo fido Ducard lo iniziano alla via del loro culto ninja. Wayne è deciso a servire la giustizia e tornato a Gotham, trova in Falcone, potente trafficante di droga, e in Crane, altrettanto corrotto psichiatra, i due più acerrimi nemici, dietro ai quali però pare celarsi qualcuno di ancor più potente. L’unico modo per combatterli è diventare un simbolo, che dia forza e speranza alla gente. Per chi non l’avesse capito, questo simbolo si chiamerà Batman, l’uomo-pipistrello, terrore dei criminali nella metropoli della corruzione. L’ambiguità psicologica di Wayne/Batman diventa finalmente il fulcro di un film a lui/loro dedicato: non poteva essere messo in mani migliori, visto che Nolan, nella sua pur breve carriera, ha dimostrato di avere una somma predilezione per i meandri più fangosi della mente umana.
Nella Russia sovietica non esiste il crimine e l’ordine è mantenuto dalla MGB, polizia segreta e paranoica che sospetta tutti e arresta soltanto innocenti. Leo Demidov è un ufficiale efficiente agli ordini del Maggiore Kuzmin che ha deciso di archiviare come incidente la morte di un ragazzino violato e strangolato da uno psicopatico. Perplesso ma adempiente, Leo esegue il suo dovere e il volere del suo superiore. Ma un secondo caso lo convince presto a indagare, trasformandolo da predatore in preda. Le cose a casa non vanno meglio, Raïssa, moglie e insegnante, lo ha sposato per paura e lo disprezza per i suoi metodi. In un clima di terrore crescente, in cui indisturbato agisce un omicida seriale di bambini, Leo e Raïssa scopriranno le falle del Sistema e troveranno un nuovo equilibrio sentimentale. Trasposizione del romanzo omonimo di Tom Rob Smith, Child 44 è un thriller paranoico che combina con efficacia storia e cronaca. Da una parte la Russia socialista a un passo dalla morte di Stalin, dall’esecuzione di Bérija, capo della polizia segreta sovietica, e dall’investitura di Nikita Chrušcëv, dall’altra, dislocati negli anni Cinquanta, gli efferati delitti del “mostro di Rostov”, che tra il 1978 e il 1992 assassinò cinquantadue persone. Duro e realistico, Child 44 fiuta le tracce, esplora le correlazioni, ‘unisce i puntini’ e frequenta i bassi fondi del regime totalitario sovietico, impegnato in superficie a dare una bella immagine di sé, un’immagine rassicurante. Interdetto sugli schermi russi per “alterazione dei fatti storici”, Child 44 condivide con lo spettatore il terrore di un popolo governato da un sistema retto sulla menzogna e sulla mistificazione ideologica. Delazione, arresti arbitrari, torture, esecuzioni sommarie, propaganda antioccidentale, spionaggio, non manca davvero nulla nel film di Daniel Espinosa, che elegge a protagonista un ufficiale compromesso con la dittatura stalinista per risolvere un intrigo che è insieme criminale e politico. A ragione di questo il film non apre sul rinvenimento di un corpo o su uno degli elementi dell’inchiesta ma ripercorre la scalata al potere di Leo Demidov, personaggio cruciale che lega differenti archi narrativi: il contesto socio-politico, l’investigazione poliziesca e la biografia dell’eroe. Il film è svolto lungo un percorso lineare, ma mai prevedibile, che mescola e converge nell’epilogo ‘infangato’ i tre soggetti. Senza digressioni, il treno di Espinosa procede rapido, producendo una suspense implacabile da cui è possibile scampare solo saltando in corsa alla maniera di Tom Hardy e Noomi Rapace. Affiancati da Vincent Cassel, Jason Clarke e Gary Oldman, che nell’esilio del suo ufficiale crea ancora una volta un personaggio che si fa ricordare per come è abile nel non farsi notare, Tom Hardy e Noomi Rapace confermano la faccia di cuoio, la potenza fisica e le cicatrici interiori. Improntate le rispettive carriere sul gesto virile, lo gratificano attraverso l’azione e lo innescano dentro un mondo dominato dal sospetto e dal complotto, dove ogni sguardo cela una minaccia e ogni sorriso un’insidia. Un mondo manicheo, ma in apparenza, perché poi scopriamo che i buoni lavorano per i cattivi e viceversa che qualche cattivo finisce per collaborare coi buoni. Non ci si può fidare di nessuno, mai. E in questa atmosfera fredda e opprimente, in questa società a fiducia zero, opaca e piena di angoli bui, si muovono un killer seriale e la sua nemesi, pieni di soprassalti, dubbi, sussulti. Come se per l’uno fosse l’unica possibile, come se per l’altro non fosse più possibile.
Un film di Alex Cox. Con Gary Oldman, Chloe Webb, Debby Bishop, Xander Berkeley, David Hayman. Titolo originale Sid and Nancy. Drammatico, durata 111′ min. – Gran Bretagna 1986. MYMONETRO Sid e Nancy valutazione media: 3,37 su 19 recensioni di critica, pubblico e dizionari. 1977 a Londra. Un musicista punk (Sid Vicious dei Sex Pistols) incontra una giovane americana dedita all’eroina. Incomincia tra di loro un rapporto passionale destinato a trasformarsi nell’inferno della droga. È fiction, ma i due bravissimi Oldman e Webb non sembrano recitare: sono Sid e Nancy. Buona ambientazione.
Come il creolo Jean-Michel Basquiat (Wright), sconosciuto disegnatore di graffiti sui muri di Brooklyn, divenne negli anni ’80 il primo pittore non bianco che raggiunse il successo sul mercato internazionale. Quando nel 1988, a 27 anni, morì di overdose di eroina, i suoi quadri erano contesi dai musei e dai collezionisti che contano. 1° film del pittore Schnabel che racconta quel che conosce bene, evitando con passo leggero quasi tutte le trappole del genere biografico. Un cast fuori dal comune con Bowie che fa un Andy Warhol notevole, e non soltanto per il puntiglio mimetico. Colonna sonora di John Cale (rap, jazz, voci di Renata Tebaldi e Tom Waits, Rolling Stones) e un efficace ritratto di un artista predestinato all’autodistruzione, dolorosamente segnato non dall’incomprensione, ma dal successo
Scritto da Bridget O’Connor (cui il film è dedicato) e Peter Straughan dal romanzo (1974) di John le Carré, già trasposto in una serie TV (1979 – 7 puntate) di grande successo, famosa anche per l’interpretazione di Alec Guinness come George Smiley (qui Oldman): il più maturo degli agenti del MI6 (il servizio segreto dello spionaggio britannico) per le sue competenze e conoscenze è incaricato di scoprire tra i colleghi la talpa infiltrata dal KGB sovietico. La regia è dello svedese Alfredson di cui in Italia s’è visto soltanto Lasciami entrare (2008). Condensare in 2 ore una vicenda con una quarantina di personaggi che nella serie TV dura più di 400 minuti non era facile. Per gustare questo film antispettacolare – dove le spie non sono acrobatici eroi da missioni impossibili, ma mediocri burocrati che separano il dire dal fare, la verità dalla realtà; organizzato in ellissi, ricco di dettagli e di analisi psicologica, affidato a una puntigliosa ricostruzione d’epoca (1973-74 in Inghilterra, a Budapest, a Istanbul) – bisogna saper rinunciare alla voglia di capire quel che sta succedendo per apprezzarne il clima minaccioso di grigiore, squallore, sospetto, sfiducia e malinconia e godersi gli attori.
Il quinto elemento è un film di Luc Besson del 1997
Con Bruce Willis, Gary Oldman, Ian Holm, Milla Jovovich, Chris Tucker, Luke Perry, Brion James, Mathieu Kassovitz.
Prodotto in Francia, USA.
Durata: 126 minuti.
Uno studioso di archeologia, nel 1914, sta studiando dei geroglifici che lo porteranno a svelare il mistero dei quattro elementi che dominano la terra. Tra le iscrizioni però, viene fatto riferimento ad un quinto elemento ma, a questo punto, un gruppo di misteriosi alieni si impossessa dei geroglifici… View full article »
Un film di Marc Rocco. Con Kevin Bacon, Christian Slater, Gary Oldman, Brad Dourif, Embeth Davidtz. Titolo originale Murder in the first. Drammatico, durata 122 min. – USA 1995. MYMONETRO L’isola dell’ingiustizia (Alcatraz) valutazione media: 3,66 su 30 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Il principio della fine del carcere californiano sull’isola di Alcatraz, in un film di impegno ispirato a fatti realmente accaduti. Un giovane avvocato conduce in tribunale una battaglia per difendere non solo il proprio cliente, detenuto ad Alcatraz e accusato di omicidio, ma anche la dignità umana, negata in una delle prigioni più disumane d’America. View full article »
Regia di John Hillcoat. Un film con Tom Hardy, Gary Oldman, Guy Pearce, Shia LaBeouf, Mia Wasikowska, Jessica Chastain. Cast completo Titolo originale: Lawless. Genere Drammatico – USA, 2012, durata 120 minuti. Uscita cinema giovedì 29novembre 2012 distribuito da Koch Media. – MYmonetro 2,33 su 46 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.
Nella Virginia dei primi anni del proibizionismo i tre fratelli Bondurant distillano e vendono clandestinamente alcolici, prima fuori città, senza immischiarsi con i gangster che si ammazzano tra loro per le strade, poi alzando il rischio e il tenore degli affari, quando anche il più giovane dei tre, Jack, trova il coraggio che inizialmente sembrava non avere. L’arrivo da Chicago di Charlie Rakes, rappresentante della legge corrotto e feroce, mette però i fratelli Bonduant sulla strada di una guerra inevitabile e all’ultimo sangue.
L’australiano John Hillcoat, in coppia con Nick Cave alla sceneggiatura, gioca a fare l’americano, con un western tratto dal romanzo di Matt Bondurant, nipote del vero Jack; un libro che non è mai diventato un caso letterario e, per una volta, s’intuisce anche il perché. A salvare il film dal ridursi ad essere una tiritera di vendette e controvendette che procedono senza troppo ritmo verso il faccia a faccia più scontato, è soltanto la presenza di un manipolo di attori bravi e carismatici, da Tom Hardy a Jason Clarke a Guy Pearce. La loro presenza scenica anima una serie di personaggi bidimensionali, che sembrano fare il verso a quelli di Nemico Pubblico (e non solo loro, c’è anche il dono del vestito e molto altro): peccato che il paragone con Mann non si ponga proprio. Non c’è dubbio, tuttavia, che l’intento di Hillcoat fosse esattamente quello di fare un gangster movie, mascherato dalle strade di campagna, dalla parrocchia della piccola setta e da una versione appena più moderna del classico saloon. View full article »
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