Giuseppe Tornatore ha collaborato col Maestro – definizione per una volta appropriata – in un arco temporale che va da Nuovo Cinema Paradiso (1988) a La corrispondenza (2016), frequentandolo per circa trent’anni. Nel 2018 ha scritto “Ennio. Un maestro” (Harper Collins), intervista fluviale e conversazione franca, a trecentosessanta gradi: in Ennio ne riprende argomenti, andamento cronologico e tono disteso, modesto, autocritico con cui Morricone si era concesso alle sue domande. Attorno a lui, nel film, una schiera di musicisti, registi, colleghi ed esperti portano testimonianze rilevanti e inerenti una carriera straordinaria, che supera il concetto di prolifico: centinaia le opere firmate, da Il federale (1961) all’unico Oscar vinto per una colonna sonora, The Hateful Eight nel 2016, a 87 anni.
Ultima impresa bellica del non più giovane, ma valoroso, sergente Highway, detto Gunny, che ha una dura carriera alle spalle nei Marines, Corea e Vietnam. Nel 1983 gli viene dato l’incarico di formare, da un manipolo di sfaticati, un comando di “uomini veri”. Nel frattempo incontra Aggie, la sua ex moglie che lo aveva lasciato perché trascurata; l’amore tra loro è sempre vivo. Arriva un allarme vero: andare a combattere sull’isola di Grenada. L’impresa darà delle belle soddisfazioni a Gunny, che si riprenderà la moglie e andrà a coltivare avocado.
Steve Everett è un giornalista che è già stato cacciato dal New York Times per la sua incapacità di tacere di fronte ai potenti. È stato un alcolista e ha una famiglia di cui si occupa poco. È questo tipo d’uomo che si trova ad affrontare il caso di un condannato a morte accusato di aver ucciso una donna incinta. A partire da un’intervista, Everett comincia a riflettere sul caso e scopre una serie di incongruenze. Eastwood spezza una lancia contro la pena di morte e lo fa rivisitando il genere e ponendo un altro mattone dell’edificio che da tempo va costruendo su personaggi che sentono su di sé il peso degli anni e delle miserie umane. Il plot sa di già visto, ma vedere Clint in azione è sempre un piacere perché la ricerca delle sfumature e l’apoteosi dell’understatement gli sono ormai connaturate
Pistolero straniero deve difendere paesello da tre criminali che uccisero lo sceriffo a frustate. Sesso e violenza come ingredienti per C. Eastwood al suo 3° film come regista che è anche il suo 1° western. Qualche risvolto fantastico nello svolgimento del tema della vendetta.
Piano Blues, USA, , Genere: Documentario,durata 90′,Regia di Clint Eastwood, Con Ray Charles, Little Richard, Dr. John, Pinetop Perkins
La passione di una vita per il piano blues: è quella di Clint Eastwood anche interprete di un documentario che utilizza un vero e proprio tesoro composto da documenti di imporrtanza storica e interviste ad alcune leggende viventi del Blues tra cui Ray Charles, Little Richard e Dr. John.
Fascinoso disc-jockey di una radio californiana si porta a letto un’ammiratrice schizoide che comincia a perseguitarlo. 1° film di Eastwood regista, su sceneggiatura di Jo Heins, scopiazzata da James Dearden per Attrazione fatale . Storia dove prevalgono atmosfere e situazioni cariche di suspense, mistero, incubo, erotismo morboso. Il regista Don Siegel appare nel ruolo di Murphy il barista. Misty è un motivo del pianista Errol Garner.
Dal romanzo omonimo (1953) di Peter Viertel, ispirato in forma autobiografica alla lavorazione di La regina d’Africa (1951) di John Huston. Regista egocentrico, geniale e violento, prima di cominciare un film di avventure africane, John Wilson vuole uccidere un elefante. Piacevole, rilassato, levigato ma, come storia di un’ossessione (l’elefante come la balena melvilliana di Moby Dick), mancato e manieristico
Mike Milo è una vecchia gloria del rodeo riconvertita in addestratore di cavalli alla fine degli anni Settanta. Un incidente e diverse bottiglie dopo è in credito con la vita e in debito col suo capo, Howard Polk. Padrone di un ranch con pochi scrupoli e molte ambasce, Polk affida a Mike la missione di ritrovare suo figlio in Messico e di condurlo negli States. Mike accetta ma le cose non saranno così facili.
Il principale satellite russo per la comunicazione è in avaria. Rischia di precipitare sulla Terra nel giro di poco tempo. I suoi impianti ricalcano quelli dello Skylab americano, una tecnologia ormai obsoleta che nessuno sa più come riparare. Nessuno tranne i 4 vecchi componenti del gruppo Dedalus che era stato sciolto alla fine degli anni Cinquanta. Gli anzianauti si riuniscono e mostrano in fase di allenamento quello che sanno fare. La strategia del responsabile NASA, loro antico nemico, è quella di far esercitare insieme a loro dei giovani astronauti in modo da farli restare a terra all’ultimo momento. Non va così e i nostri partono. Ma una sorpresa non piacevole li attende… Clint Eastwood continua il suo percorso di rivisitazione dei miti del cinema americano. La sua però non è l’opera di un iconoclasta. Clint ama ciò che fa e ama il western. Quando ci mostra i quattro vecchietti che si preparano ad andare nello spazio lo fa con grande ironia ma anche con grande affetto. La frontiera, il nemico da sconfiggere, stanno lassù? Ecco allora i Nostri pronti a partire, con quel mix di individualismo e di spirito di squadra che costituisce la formula vincente. Il finale celebra un sacrificio ma non cerca l’applauso.
Frankie e Tommy sono amici fraterni, che si arrangiano con qualche lavoretto illegale per il boss Gyp De Carlo. Ma Frankie è dotato di una voce straordinaria, tale da convincere persino il boss sul suo talento unico: nel giro di breve tempo, insieme a Bob e Nick, i due formeranno i Four Seasons, destinati a sbancare nel mondo del pop anni Sessanta. Il rapporto privilegiato tra Clint Eastwood e la musica non è una novità: autore di diverse colonne sonore e di racconti di vita e suono come “Bird” o “Honkytonk Man”, innamorato di ogni genere alla base della cultura americana. Come tale, anche del rock anni ’50 misto al doo-wop – quello che Frank Zappa chiamava vaseline rock e scimmiottava con la finta band Ruben And The Jets -, che deve aver esercitato sull’ottantaquattrenne regista un fascino tale da convincerlo ad accettare la scommessa (l’ennesima di una carriera inarrestabile) di trasporre su grande schermo il successo di Broadway Jersey Boys. Storia tutta italo-americana di gang, furtarelli e ragazzi che diventano uomini, quella che idealmente sembrerebbe destinata a finire tra le mani di Martin Scorsese, anziché in quelle da cowboy urbano di Eastwood. Clint, invece, mostra rispetto per la materia e non tradisce lo spirito dello show, mantenendo anche l’espediente dei personaggi che si rivolgono alla macchina da presa. Una timidezza inconsueta, quella di Eastwood nei confronti dello script di John Logan e Rick Elice, che rende Jersey Boys una creatura a più teste, divisa tra momenti in cui ambire a qualcosa di più (quel sinistro alone di morte al lavoro che Clint sfiora, senza riuscire ad afferrarlo come in Space Cowboys) ed altri in cui hanno la meglio le esigenze di script, di pubblico o della produzione (tra i produttori esecutivi lo stesso Frankie Valli). Varie anime collidono senza mai riuscire ad amalgamarsi in maniera compiuta: il biopic musicale, la tentazione di un Glee ambientato negli anni della brillantina e il romanzo scorsesiano in chiave duplice, sul New Jersey e il difficile background italo-americano da un lato (Mean Streets) e l’epopea del Brill Building dall’altro (Grace of My Heart). Proprio l’ingresso in scena del Brill Building, tempio del pop e luogo in cui la storia della musica cambierà irreversibilmente, è ripreso con un sontuoso carrello verticale, che ad ogni nuovo piano del palazzo scopre un genere nascente di pop music. Seppur geniale, uno sprazzo isolato, che fa il paio con ben calibrati momenti di bromance tra i membri della band, prima che a prevalere definitivamente sia un copione sovraccarico di avvenimenti, con sequenze come quella della fuga di Francine, figlia di Frankie, di un’ordinarietà difficile da ascrivere a un regista come Eastwood. Un episodio inevitabilmente minore nella filmografia di Clint, ma sintomatico di uno spirito incapace di sedersi sugli allori senza assumersi dei rischi.
Nell’Iowa del 1965, un fotografo in cerca di ponti coperti da fotografare per il National Geographic incontra Francesca, casalinga di origine italiana non più giovane che si gode qualche giorno di libertà, avendo marito e figli lontani. Tra i due scocca la scintilla dell’amore destinato a durare 4 giorni. La loro storia sarà scoperta anni dopo dai figli, attraverso gli appassionati diari della madre. Ispirato al romanzo (1992) di Robert James Waller, adattato dal talentoso Richard LaGravenese, è il 18° film di C. Eastwood regista che ha saputo dirigere sé stesso e la strepitosa M. Streep con una sensibilità, una leggerezza profonda e una verosimiglianza ineguagliabili: i personaggi, due “normali” persone di mezza età, acquistano progressivamente spessore ed “eccezionalità” in un contesto di tranquilla quotidianità sottolineata dalla opaca fotografia di Jack Green e dalle canzoni di Johnny Hartman. È l’unico film in cui Eastwood assume il punto di vista della donna. Uno dei più struggenti film d’amore degli anni ’90, imperniato, come sempre, su una impossibilità. Un’altra conferma del classicismo di un regista che qui affronta di petto il genere, attraversandolo controcorrente.
Si comincia con una scena straconosciuta: il serial killer che lascia un messaggio di sangue al poliziotto, che sarebbe Terry Mc Caleb (Eastwood) che individua fra la gente un tipo fin troppo sospetto, lo insegue fino ad essere colpito da infarto. Due anni dopo troviamo Terry che si sta faticosamente riprendendo da un trapianto di cuore. Un giorno lo abborda certa Graciela Torres, sorella di Gloria la giovane che gli ha donato il cuore. La messicana vorrebbe che Terry, vivo per la morte, violenta, della sorella, trovasse il suo assassino. L’ex detective lo sente come un “debito di sangue”, appunto, e si mette al lavoro. Dopo varie false piste Mc Caleb intuisce che il killer voleva salvarlo dall’infarto, procurargli un cuore nuovo per poter continuare a “giocare” con lui, a sfidarlo. E’ questione di gruppo sanguigno. Il killer è davvero vicino. Sin troppo: basta andare per eliminazione: non rimane che lui. E’ il limite della storia che però funziona lo stesso. Apprezzata l’assenza (quasi) totale del computer. Il detective va di persona dagli indiziati, non li scova sul display. Clint è il solito amico che torna, e sai cosa aspettarti. A 72 anni ancora non rinuncia a una, non ingombrante, partecipazione amorosa e al vezzo di mostrarsi (semi) nudo. Ma teniamocelo stretto.
Fascinoso disc-jockey di una radio californiana si porta a letto un’ammiratrice schizoide che comincia a perseguitarlo. 1° film di Eastwood regista, su sceneggiatura di Jo Heins, scopiazzata da James Dearden per Attrazione fatale . Storia dove prevalgono atmosfere e situazioni cariche di suspense, mistero, incubo, erotismo morboso. Il regista Don Siegel appare nel ruolo di Murphy il barista. Misty è un motivo del pianista Errol Garner.
Al presidente degli Stati Uniti non basta portarsi a letto la moglie del suo migliore amico e sostenitore, ma la picchia. Le guardie del corpo uccidono la donna prima che sia lei a uccidere il presidente. Da una cabina-armadio, attraverso uno specchio-spia, Luther Whitney, professionista del furto, assiste al fattaccio e fugge. Comincia la caccia al ladro. Scritto dal sagace William Goldman sulla base di un romanzo di David Baldacci, è “film politico, film familiare, film sul vedere non essendo visti, film sul potersi di nuovo dare a vedere, film epifanico, film minore persino troppo perfetto” (B. Fornara). A Whitney, che disegna in un museo, una donna chiede: «Lavora con le mani, vero?». Anche C. Eastwood è un regista inserito nella tradizione artigianale del cinema, abituato a fare film come si fa un mestiere: con le mani e con gli occhi.
Poveri cercatori d’oro sono ostacolati da un ricco uomo d’affari losco e crudele. Arriva il “predicatore”, uno strano tipo pieno di cicatrici, e lo sistema. Western di nitida impaginazione, con 2 o 3 sequenze d’effetto, dopo quella d’inizio che è la più bella. Ma lungo i suoi 113 minuti bisognerebbe scappellarsi spesso per salutare le citazioni di altri western.
Il protagonista è un agente segreto americano che ha l’incarico di scoprire una spia e ucciderla. Il finale si avrà sull’impervio sesto grado dell’Eiger. Sorpresa finale. È il quarto film di Eastwood come regista.
Un commerciante del New Jersey, che sogna una vita da cowboy, diventa il proprietario del Wild West Show, piccolo circolo ambulante in cui si esibisce come spericolato cavallerizzo e pistolero. I guai cominciano quando _ per sostituire la ragazza-bersaglio, stanca di rischiare la vita sotto i tiri non sempre precisi del padrone _ assume Antoinette Lilly, ricca ereditiera in fuga da un marito disonesto e dai suoi soci.
In un castello posto sulla cima di una montagna inaccessibile, nella Germania meridionale, è tenuto prigioniero un alto ufficiale americano. Un gruppo di agenti inglesi è incaricato di penetrare nel castello e organizzare la fuga del generale. Con l’aiuto di due ragazze il capo della spedizione, John, riesce nell’impresa, ma scopre con stupore che il prigioniero non è un generale americano, e che lo scopo degli alleati era quello di scoprire l’identità di alcune spie tedesche infiltratesi nell’esercito inglese.
Mentre i ribelli messicani juaristi si battono contro il protettorato francese, Sara, una giovane suora, e Hogan, un mercenario texano, fanno amicizia e procedono insieme verso il forte francese, dove Hogan riesce a uccidere il comandante. I juristi hanno vinto e Sara rivela a Hogan, ormai innamorato di lei, di non essere una vera suora ma una prostituta.
Harold Francis Callaghan è un personaggio immaginario creato dal soggettista e sceneggiatore Harry Julian Fink, soprannominato “Dirty Harry” (reso, nel doppiaggio italiano come “Harry la carogna”), protagonista della saga cinematografica poliziesca omonima. Ispettore della polizia di San Francisco, il suo ruolo è sempre stato interpretato dall’attore statunitense Clint Eastwood.
Il nome originale è senza la “G” nel cognome, che è stata aggiunta per permettere al pubblico italiano una pronuncia più simile a quella anglofona, in quanto nella lingua italiana la lettera “H” tra due “A” non ha valore fonologico.Il soprannome “Dirty Harry”, nel film Ispettore Callaghan: il caso “Scorpio” è tuo!!, viene tradotto con “Harry la carogna”.La storica frase «Coraggio… fatti ammazzare» , che in Italia è stata usata come titolo del film Sudden Impact, traduzione nel doppiaggio italiano della battuta «Go ahead, make my day» (trad. letterale: “Fatti avanti, dà un senso alla mia giornata”), è al sesto posto assoluto nella classifica dell’AFI relativa.
L’ispettore Callaghan è protagonista di cinque film nell’arco di 17 anni.
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