Ispirato al cortometraggio La Jetée (1963) di Chris Marker, sceneggiato da David e Jane Peoples. Nel 2035 i sopravvissuti a un virus, che nel 1997 sterminò cinque miliardi di persone, vivono sottoterra, mentre la superficie del pianeta è popolata soltanto da animali. Per capire il come e il perché della catastrofe si spedisce indietro nel tempo (nel 1917 per sbaglio, nel 1990 e nel 1996) un ergastolano intelligente. Macchinoso e sbretellato sul piano narrativo, il 6° film di Gilliam (l’unico americano del gruppo Monty Python) vale su quello figurativo per certe fulminee invenzioni registiche, i desolati paesaggi metropolitani, l’energia recitativa di Willis, l’istrionismo schizoide di Pitt. Raro esempio di un titolo che indica una falsa pista.
Finita la Seconda Guerra Mondiale, 21 rappresentanti del regime nazista vennero processati per crimini contro l’umanità. Questa è il racconto del processo di Norimberga in cui l’avvocato americano Robert Jackson, ebbe un ruolo da protagonista.
In una sala cinematografica si proietta un cinegiornale su un esploratore, Charles Muntz, che è tornato dall’America del Sud con lo scheletro di un uccello che la scienza ufficiale qualifica come falso. Muntz riparte per dimostrare la sua onestà. Un bambino occhialuto, Carl, è in sala. Muntz è il suo eroe. Incontrerà una bambina, Ellie, che ha la sua stessa passione. I due cresceranno insieme e si sposeranno. Un giorno però Carl si ritrova vedovo con la sua villetta circondata da un cantiere e con il sogno che i contrattempi della vita non hanno mai permesso a lui ed Ellie di realizzare: una casa in prossimità delle cascate citate da Muntz come luogo della sua scoperta. Un giorno un Giovane Esploratore bussa alla sua porta. Sarà con lui che Carl, senza volerlo, comincerà a realizzare il sogno.
Un film di animazione (targato Disney) ha aperto per la prima volta il Festival di Cannes. Si è trattato di un segnale molto preciso se si considera che la Major americana era assente da 5 anni dalla Croisette (l’ultima volta aveva presentato Ladykillers) e proponeva un film in 3D. La tridimensionalità viene utilizzata in questo film senza le esagerazioni effettistiche che, come sempre,, accompagnano le fasi nodali della storia della settima arte a partire dall’invenzione del sonoro. Il rischio che la sceneggiatura si mettesse al servizio della tecnologia c’era ma è stato brillantemente evitato. Semmai sussiste la possibilità che Up piaccia più agli adulti che ai bambini i quali dovranno attendere l’arrivo del solerte e tondeggiante Giovane Esploratore per avviare il necessario processo di identificazione nell’avventura. Fino ad allora ci viene narrata la tenera e delicata storia di un venditore di palloncini con la passione per l’avventura condivisa da un’amica e poi compagna per la vita. La sequenza in cui si narra il percorso di Carl ed Ellie partendo dall’infanzia sino ad arrivare alla morte di lei è di quelle che si fanno ricordare per la divertita sensibilità con cui è costruita. Le citazioni cinematografiche non mancano (a partire dalla somiglianza del protagonista anziano con Spencer Tracy per finire con il vecchio Muntz che ricorda Vincent Price passando per echi spielberghhiani) ma non hanno la pesante insistenza che si può rinvenire in altri film di animazione. Perché questo è un film leggero. Leggero su temi ponderosi come quello dell’invecchiare da soli, dei sogni non realizzati, della memoria viva di chi ci ha lasciati, del rapporto giovani/anziani. Un film leggero come quei palloni che portano magrittianamente nei cieli un’intera casa liberandola da un mondo incapace di comprendere i sogni.
Febbraio 1815: di ritorno dall’Elba, Napoleone ringalluzzito ricompatta l’esercito e marcia verso Bruxelles. Nella piana di Waterloo l’esercito inglese aspetta e quello tedesco sta arrivando. La 2ª metà del film è tutta dedicata alla battaglia, forse la più lunga nella storia del cinema: grande spettacolo, puntiglio di ricostruzione e qualche momento epico. Più inamidata e convenzionale senza remissione la 1ª ora dove l’accademico pompierismo di Bondarčuk si svela con tutto il suo peso. Steiger come Napoleone è perfettamente bondarčukiano. Produce Dino De Laurentiis con Columbia e Mosfilm. Fotografia di Armando Nannuzzi e musiche di Nino Rota. L’edizione sovietica dura 4 ore. Quella italiana è stata in seguito ridotta a 123 minuti.
William Pitsenbarger, medico dell’aviazione e protagonista di un eroico sacrificio durante un episodio tragico della guerra in Vietnam, non ha mai ricevuto la Medaglia d’onore, massimo riconoscimento al valore dell’esercito degli Stati Uniti d’America. A trent’anni di distanza, nel 1999, i veterani di quella battaglia e gli anziani genitori dell’eroe non si rassegnano e si rivolgono a Scott Huffman per perorare la causa di Pitsenbarger. Huffman inizialmente crede che sia una perdita di tempo e lavora alla pratica senza passione, ma dopo aver conosciuto genitori e reduci e ascoltato le loro testimonianze, vuole andare fino in fondo e scoprire cosa sia successo in questi trent’anni.
Kate (Sandra Bullock) e Alex (Keanu Reeves) vivono nella stessa casa ma non si sono mai visti. L’unica via che hanno per comunicare è la cassetta della lettere, che veicola la loro relazione epistolare. Tutto ciò sarebbe impossibile se non vivessero in spazi temporali differenti. Kate nel 2006, Alex nel 2004. Ispirato a un film coreano del 1998 (Il mare) l’opera di Alejandro Agresti è una commedia sentimentale al limite del metafisico, che analizza la ricerca dell’amore angelicato, conservandone l’aspetto terreno benché temporalmente non allineato. Per procedere alla visione non bisogna assolutamente verificare i rapporti causa-effetto fra passato e futuro (il presente non esiste), per non rischiare di perdere di vista il significato più profondo della storia. Allo spettatore viene chiesto, quindi, di non credere, per poter credere (in questo caso) a quell’amore che nella vita si presenta una volta sola in un tempo ben definito, e che si deve essere capaci di non lasciare andare. Il regista, che prosegue il discorso sugli “amori a distanza” iniziato in Tutto il bene del mondo (in quel caso la lontananza era spaziale), descrive la storia asservendosi ai due protagonisti e alla logica sentimentale hollywoodiana. Pur mantenendo una modalità espressiva epistolare, Agresti riempie però gli spazi con una logica patinata da videoclip che a volte finisce per infastidire. Le belle facce di Reeves e della Bullock, sufficientemente segnate per manifestare il disagio esistenziale dei protagonisti, guidano la storia, invece di conferirle valore, la livellano, la appiattiscono, facendo credere che l’amore esiste perché esiste S.Valentino. La casa sul lago del tempo è un’occasione persa, un’idea male intesa, che però vale la pena di vedere; soprattutto se si crede che un rimorso sia meglio di un rimpianto e che per giudicare si debba vivere. E, se si parla di cinema, osservare.
Nel 1888 Rudyard Kipling pubblica il racconto “L’uomo che volle farsi re” nella raccolta “Wlee Willie Winkie and Other Stories”, negli anni ’50 il regista John Huston inizia a pensare a un adattamento per il grande schermo, con Clark Gable e Humphrey Bogart come protagonisti. Man mano che la sceneggiatura prendeva corpo i nomi degli attori divennero Burt Lancaster e Kirk Douglas e in seguito Robert Redford e Paul Newman. Fu quest’ultimo a suggerire al regista di scritturare Sean Connery e Michael Caine, e il film viene infine realizzato nel 1975 proprio con Connery e Caine nei panni di due massoni. Daniel Dravot e Peachy Carnehan sono ex-sottufficiali dell’esercito inglese che decidono di conquistare un regno tra le montagne del Kafiristan, regione che più di venti secoli prima era stata dominata da Alessandro Magno. Il film ottiene quattro nomination all’Oscar e l’attore scozzese conquista finalmente il favore della critica.
Quattro persone vestite da imbianchini entrano nell’affollata hall del Manhattan Trust, una succursale di un’istituzione finanziaria internazionale a Wall Street. Nel giro di pochi secondi, i rapinatori mascherati mettono la banca sotto un assedio pianificato con chirurgica precisione, e i 50 tra clienti e impiegati diventano involontari ostaggi di un furto inattaccabile. I negoziatori degli ostaggi della Polizia di NY, i Detective Keith Frazier e Bill Mitchell vengono mandati sul luogo con l’ordine di stabilire un contatto con il capo dei rapinatori, Dalton Russell, e di assicurare il rilascio degli ostaggi. Ma le cose non vanno come previsto.
A Salisburgo, nel 1938, Maria, un’orfana entrata da poco come novizia in un convento di suore ha, per l’epoca, una vivacità tale da lasciare qualche dubbio su una reale vocazione. La madre superiora decide quindi di farle fare un periodo di attività all’esterno come istitutrice dei sette figli di un rigido e vedovo comandante di Marina. I giovani, dopo un’iniziale diffidenza, si legheranno a lei mentre il padre, in procinto di risposarsi, comincerà ad interrogarsi su cosa provi per Maria.
Zev Guttman, ebreo affetto da demenza senile, è ricoverato in una clinica privata con Max, con cui ha condiviso un passato tragico e l’orrore di Auschwitz. Max, costretto sulla sedia a rotelle, chiede a Zev di vendicarli e di vendicare le rispettive famiglie cercando il loro aguzzino, arrivato settant’anni prima in America e riparato sotto falso nome. Confuso dalla senilità ma determinato dal dolore, Zev riemerge dallo smarrimento leggendo la lettera di Max, che pianifica il suo viaggio illustrandone i passaggi.
È proprio capace di tutto l’australiano Russell Crowe. E dicono che si è ormai collocato saldamente nella parte alta della top list delle star hollywoodiane per merito distinto. Perché l’ombroso attore con aspirazioni di musicista rock (sempre a Berlino è stato presentato il documentario Texas in cui si esibisce con la sua band come già fece a Sanremo) è in grado di interpretare i personaggi più diversi con grande abilità trasformistica infondendo loro quelle doti di umanità che sembrerebbero un po’ difettare al Russell divo. Che è passato dallo scardinatore di multinazionali del tabacco di The Insider al “generale che divenne schiavo” de Il gladiatore mostrando anche come fosse possibile sostenere un film medio come Rapimento e riscatto grazie a un’interpretazione volutamente sottotono che non poteva non ricordare il grande Bogart. Ora è di nuovo in corsa con A Beautiful Mind, il film che lo vede di nuovo sugli schermi di tutto il mondo nei panni del matematico John Forbes Nash. L’azione ha inizio all’Università di Princeton nel 1947 in cui Nash si distingue come studente introverso ma intellettualmente brillante. Una serata in un locale e una sfida in relazione a una ragazza bionda (che lo vede soccombere) gli danno l’idea per un saggio sui principi matematici di competizione che annullerà tutti gli studi precedenti. Accolto con tutti gli onori al prestigioso MIT John si vede anche offrire il delicato incarico di decodificatore di codici segreti in un periodo delicato come quello più teso della Guerra Fredda tra Usa e Urss. Sposato con una bella e intelligente studentessa, Alicia, lo scienziato cade progressivamente in uno stato ossessivo che verrà diagnosticato come schizofrenia paranoide. Il regista Ron Howard (Apollo 13, Il Grinch) lavora con grande abilità sulle allucinazioni del protagonista e quindi è meglio non rivelare troppo sugli sviluppi della vicenda. Ciò che invece non va taciuto è che John Forbes Nash ricevette nel 1994 il Premio Nobel e che tutti i pettegolezzi su una sua presunta omosessualità, che il film non menzionerebbe, nulla tolgono alla straordinarietà di un’interpretazione che vede Crowe compiere un’operazione di mimesi progressiva che lo vede passare da una normalità un po’ chiusa in se stessa ai gesti che rivelano il disturbo psichico ma non cancellano l’intelligenza e l’acume di battute talvolta fulminanti. È vero che lo scienziato pazzo gode di numerose presenza nei film horror o di fantascienza ma i matematici (a meno che siano giovani come Will Hunting) hanno l’handicap di occuparsi di una materia poco ’emotiva’. Il camaleontico Russell riesce però, con la sua voce profonda che speriamo rispettata dal doppiaggio, a farci commuovere anche sui logaritmi. Scusate se è poco.
Durante un soggiorno in un albergo vicino Chicago, Richard Collier, commediografo in crisi di ispirazione, crede di riconoscere nella fotografia dell’attrice Elise McKenna, diva degli anni ’10, l’anziana signora che 8 anni prima, agli esordi della carriera, gli aveva donato un orologio augurandogli un avvenire di successo. Sfogliando i vecchi registri dell’hotel, Collier scopre, in una pagina del 1912, accanto al nome della donna anche il suo. Irretito dal mistero, Collier, per mezzo dell’autoipnosi, lascia vagare la propria coscienza nel tempo fino a ritrovarsi in un impossibile passato in compagnia di Elisa per rivivere con lei una intensa storia d’amore e quando i due devono separarsi lui le fa dono di un orologio…Ridestatosi nel presente, Collier non sa più evadere da una profonda malinconia: il ricordo della donna è più che mai vivo e la sola speranza che gli resta per incontrarla di nuovo è abbandonarsi alla morte. L’incisione sulla cassa di un orologio: “Come back to me”… La sensazione di riconoscere in un viso il volto di un’altra… L’assurdo accostamento di due nomi lontani 70 anni l’uno dall’altro… La convinzione di vivere in un passato… Lo stesso orologio che passa di mano in mano e il tintinnio di una moneta del 1980 che fa svanire un sogno fin troppo simile ad una realtà… Gli elementi per un film di successo – e per una interessante divagazione in chiave intimistica sul tema del viaggio nel tempo (con un probabile riferimento formale al classico Il ritratto di Jennie) – ci sono tutti.C’è, soprattutto, una bella sceneggiatura tratta da un intrigante romanzo di Matheson. Ma, si sa, una cosa è il romanzo, un’altra il suo adattamento cinematografico… Nonostante le buone intenzioni (la cura nella ricostruzione d’ambiente, il taglio delle inquadrature, l’uso delle ombre e del colore pastoso), l’eccessiva componente sentimentalistica e l’interpretazione non molto convincente di Christopher Reeve non liberano il film dalla patina del preziosismo formale. Apprezzato più in America che in Italia.
Nella Hollywood degli anni ’30 giovanissima star del cinema lascia la madre svanita che viene ricoverata in manicomio, e impara a vivere in un mondo ambiguo e spietato. Tratta da un romanzo del critico inglese Gavin Lambert, è una variazione divertente, graffiante, antirealista sul tema di È nata una stella. Discontinuo, qua e là un po’ isterico ma interessante.
Il concetto di “pulizia etnica” non risale all’Olocausto, ma all’eliminazione di circa un milione di Armeni da parte dei Turchi nei primi decenni del novecento. È innegabile che questa orrenda vicenda storica abbia avuto minor “promozione” della tragedia degli ebrei. La memoria viene riportata dal personaggio centrale, un pittore armeno di nome Gorky. Intorno a lui altri testimonieranno quello sterminio: un ragazzo, una donna esperta della pittura di Gorky, un poliziotto. Ricordare li cambierà, non solo in superficie.
Il dottor Paul Novotny è l’ideatore di una psicoterapia che mediante la manipolazione dei sogni può rimuovere le cause inconsce di instabilità psicologica. La macchina attraverso la quale gli sperimentatori possono introdursi nella personalità dei pazienti ed entrare in contatto con loro per operare “fisicamente”, interessa, però, alcuni settori deviati dei servizi segreti che, guidati da Bob Blair, intendono servirsene per uccidere nel sonno il presidente degli Stati Uniti in persona. Per Blair, il presidente, sottoposto a terapia per guarire dall’incubo ricorrente della conflagrazione atomica, costituisce un pericolo per l’America poiché è convinto assertore di una politica di distensione con l’Est e di disarmo nucleare. Novotny, venuto a conoscenza del complotto che designa in Tommy Ray Glatman, psicopatico parricida, lo strumento attraverso il quale far esplodere un trauma irreversibile nel presidente, convince il recalcitrante Alex Gardner, suo ex allievo particolarmente dotato, ad aiutarlo.
Su un carro trainato dai cavalli e con un gruppetto di attori, Parnassus porta in giro nella Londra di oggi uno spettacolo dove c’è uno specchio magico: chi lo attraversa esaudisce desideri segreti e si trova nei territori meravigliosi del proprio inconscio. Parnassus ha fatto un patto col diavolo, ottenendo l’immortalità in cambio dell’anima della figlia Valentina quando entrerà nel 16° anno di età. Fanno una scommessa: il primo che riuscirà a conquistare 5 anime, portandole dalla sua parte, avrà la vittoria. Il disperato Parnassus vince grazie all’arrivo del giovane Tony, dal passato oscuro. Dopo 4 settimane di riprese, Ledger, interprete di Tony, morì in tragiche circostanze. Il visionario regista lo sostituì, in sequenze mirate, con 3 attori famosi (Depp, Law, Farrell). Didascalia finale: “Un film di Heath Ledger e dei suoi amici”. 3° film di Gilliam scritto con Charles McKeown, è un’altra riflessione sul rapporto tra realtà e fantasia, ma anche una metafora sul “tema delle due vie: la via dell’uomo e quella del diavolo”. In entrambe, però, si notano forzature e indecisione, qualcosa di irrisolto. Costo: 30 milioni di dollari. Fotografia: Nicola Pecorini. Scene: Anastasia Masaro. Effetti (molto) speciali della londinese Pearless Camera Co. Spicca Waits che fa un diavolo travestito da Mr. Nick.
Il pubblicista Will Randall si vede soffiare sotto il naso il suo lavoro e sua moglie da un collega più giovane. Una sera, guidando su un’autostrada del New England, vede un lupo disteso sulla carreggiata, si ferma e scende per vedere cosa sia successo, ma il lupo lo morde e poi scappa via. I giorni successivi Will ritrova tutta l’energia perduta, si sente più competitivo che mai ed i sensi gli sono acuiti in modo sorprendente. Nel frattempo, la splendida figlia del suo capo s’innamora di lui, … [continua a leggere]senza rendersi conto che Will si sta trasformando giorno dopo giorno in una creatura mostruosa…
Seconda guerra mondiale: a Londra un ufficiale americano salva un’infermiera dai bombardamenti e diventa suo amante. Il caso vuole che il marito della donna e l’americano partano insieme per una missione in Francia. L’avventura, nonostante molti intoppi, si conclude felicemente. L’ufficiale, saputo che la sua amante è sposata, la lascia.
Un film di Terence Young. Con Gert Fröbe, Trevor Howard, Claudine Auger, Christopher Plummer. Titolo originale Triple Cross. Spionaggio, durata 140 min. – Francia, Gran Bretagna 1967. MYMONETRO Agli ordini del führer e al servizio di sua maestà valutazione media: 2,50 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Eddie Chapman, abilissimo ladro, esce di prigione allo scoppio della II guerra mondiale. Lavora a più riprese per i tedeschi ma anche per l’Intelligence Service in cambio di denaro e del condono. Per chi ha veramente parteggiato questo personaggio leggendario? View full article »
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