Saoirse è una bambina particolare, a 6 anni ancora non riesce a parlare e prova una strana e fortissima attrazione per il mare. Vive nella casa sul faro con il papà e il fratello maggiore Ben, spesso imbronciato e antipatico con la sorellina che ritiene responsabile della scomparsa dell’amata madre.
Da un libro di fantastiche miniature e disegni conservato nel Trinity College di Dublino, il “Libro di Kells”, nasce l’ispirazione di questo lavoro. Per l’eccellenza tecnica della sua realizzazione e la sua bellezza è considerato da molti studiosi una delle più importanti opere d’arte dell’epoca. Una nomination all’Oscar.
Il giovane Brendan vive nell’abbazia di Kells, un remoto avamposto medievale dove lavora per fortificare i muri dell’abbazia contro le scorrerie barbariche. Un giorno un famoso maestro illuminato arriva in queste terre straniere portando un antico ed incompleto libro traboccante di una segreta saggezza e di poteri. Per aiutare a completare il libro, Brendan deve superare le sue più profonde paure in un viaggio pericoloso che lo porterà al di fuori dei muri dell’abbazia e dentro alla foresta incantata, dove si nascondono magiche creature. Ma con i barbari in avvicinamento, riusciranno la determinazione e l’artistica visione di Brendan ad illuminare l’oscurità e a mostrare che l’illuminismo è la migliore fortificazione contro il male?
In servizio attivo a Londra, una coppia di sicari è spedita dal boss in vacanza forzata a Bruges, in attesa di ordini. Nell’ultimo lavoro, il più giovane dei due ha ucciso per sbaglio un bambino. Nell’antica città fiamminga, mentre il veterano s’innamora della bellezza gotica della città, dei canali e del celebre Groeninge Museum, come capita a qualsiasi turista colto, il giovane la odia e smania, tormentato anche dai sensi di colpa. La telefonata che aspettano è un’atroce sorpresa. Oltre agli incanti di Bruges, Venezia del Nord, che diventa, grazie al regista, un vero personaggio, esistono altri motivi per non perdere quest’opera prima trascurata dal pubblico e sottovalutata dai critici: l’intelligente contaminazione dei toni e dei generi, la pittoresca galleria delle figure minori, il brio degli interpreti, la capacità di scavo psicologico dei due protagonisti.
Al coraggioso guerriero Macbeth le streghe pronosticano un’imminente ascesa al trono. Ma quando il re premia il suo eroismo con un titolo nobiliare invece che con la corona, Macbeth decide di realizzare da sé la profezia e uccide il monarca, prendendone il posto. Ad alimentare la sua ambizione è la moglie, ma per entrambi sarà l’inizio di una discesa nella follia della quale sono stati gli artefici. The Tragedy of Macbeth annuncia fin dal titolo la tragedia in divenire, pronta a dispiegare le sue ali nefaste come i corvi che abitano questa ennesima trasposizione cinematografica dell’opera di Shakespeare, il primo dei quali è una strega avvolta su se stessa che lentamente si srotola in movimenti innaturali: è la straordinaria Kathryn Hunter, e nell’incipit è enucleata tutta la storia a seguire.
Joel Coen, al suo primo film senza il fratello Ethan, mette in scena un testo quintessenzialmente teatrale che ha per coprotagonista la moglie Frances McDormand nei panni della sulfurea Lady Macbeth.
Irlanda, 1923. I migliori amici Pádraic e Colm s’incontrano da una vita alle due del pomeriggio per qualche pinta al pub e le solite chiacchiere. Un giorno, però, Colm non apre la porta di casa all’amico, e in seguito, costretto a fornire una spiegazione, afferma di averne abbastanza di lui e di non voler spendere un minuto di più in sua compagnia. Devastato e incapace di accettare la cosa, Pa’draic cerca l’aiuto della sorella e poi del parrocco perché parlino con Colm, ma quest’ultimo non solo non ritratta, ma minaccia il peggio se Pa’draic non lo lascerà in pace. Mentre sul continente infuria la guerra civile, sull’immaginaria isola di Inisherin, che si è sempre considerata al riparo dal conflitto, l’allontanamento di due amici fraterni innesca ugualmente una serie di conseguenze e un’escalation di atrocità.
Inghilterra, oggi. Durante un blitz un gruppo di animalisti irrompe in un laboratorio dove alcuni scimpanzè vengono sottoposti alla visione forzata di immagini violente. Il ricercatore che studia le cavie avverte gli attivisti che gli animali sono affetti da un virus sconosciuto e pericoloso. Malgrado ciò, i membri del commando decidono di liberare gli animali, da cui vengono immediatamente attaccati. 28 giorni dopo, Jim si risveglia in una Londra deserta e spettrale. La città sembra deserta e Jim vaga alla ricerca di esseri umani. E’ solo l’inizio di un’avventura dai risvolti terrificanti, dove l’uomo civilizzato si conferma come la belva peggiore… Dopo un paio di film sbagliati, Danny “Trainspotting” Boyle torna a far centro, con un horror a basso costo e girato in digitale che dà punti a molte produzioni miliardarie. Tutto già visto, intendiamoci, con profluvi di citazioni (da Romero alla serie Tv “i Sopravvissuti”) a volte decisamente perdenti rispetto agli originali. Ma almeno c’è un bel senso del ritmo, interpreti funzionali alla narrazione, qualche azzeccata soluzione di montaggio e una notevole colonna sonora. E qualche brivido è assicurato. Piacevole.
Nella Scozia del XIII secolo, vessata dagli inglesi, William Wallace (1267-1305), al quale hanno ucciso la moglie, si mette a capo di un gruppo di disperati ribelli, li trasforma in esercito, batte gli inglesi a Stirling (1297), conquista la stima della regina Isabella, prosegue la guerriglia, è sconfitto a Falkirk (1304), abbandonato dai nobili passati al re Edoardo I finché è preso e giustiziato. Idealmente diviso in 3 parti (adolescenza, prime prove di coraggio e dolori di Wallace; le battaglie; i conti con la Storia), è un filmone epico che punta sullo spettacolo, su grandi temi popolari (la lotta per la libertà e la giustizia), sui luoghi canonici del genere. Vale soprattutto per le battaglie che coniugano i quadri di Paolo Uccello con la tecnologia del cinema moderno. Successo internazionale e 5 Oscar: film, regia, fotografia (John Tull), effetti speciali sonori e trucco. 1700 comparse e interminabili titoli di coda.
Il film è basato sulla figura di Martin Cahill, noto con il soprannome de “Il Generale”, un famoso mafioso irlandese attivo a Dublino negli anni 80 e 90.
Padre James è una sorta di Giobbe contemporaneo, costretto ad ascoltare i peccati di una comunità irlandese che pare una galleria di mostri: un uomo traumatizzato dalle continue violenze di un prete nei suoi confronti, un ricco aristocratico che odia tutto e tutti, un assassino psicopatico violentatore seriale, una moglie fedifraga con la passione per il felching, un barista acido, un ispettore di polizia dotato di amante promiscuo, un medico sadico e persino la stessa figlia del parroco (concepita quando padre James era ancora un uomo sposato) con tendenze suicide. Lo stesso prelato è un ex alcolizzato che, dopo la morte della moglie, si è smarrito, per poi ritrovarsi grazie alla Fede. Ce ne vorrà molta per sopportare le cattiverie e i rancori che gli si annidano intorno, anche perché la maggior parte degli abitanti della parrocchia è posseduto da un cinismo nero: lo stesso cinismo che sembra animare il regista e sceneggiatore angloirlandese John Michael McDonagh, nel momento in cui crocifigge incessantemente il suo protagonista circondandolo di personaggi scurrili, distruttivi e degenerati, presenti nella comunità in maniera anche solo statisticamente esagerata. McDonagh sembra accanirsi in modo particolare contro la Chiesa brulicante di pedofili, ipocriti e affaristi. A parte l’aiutante di Padre James, che è solo “spaventosamente coglione”.
Jim Grant è un avvocato vedovo che vive ad Albany (New York) con la figlia. In seguito all’arresto di una componente di un gruppo pacifista radicale attivo negli anni della guerra nel Vietnam rimasta in clandestinità per decenni, un giovane giornalista, Ben Shephard, avvia una serie di indagini. La prima ed eclatante scoperta è legata proprio a Grant. L’avvocato ha un falso nome e ha fatto parte del gruppo. Su di lui pende un’accusa di omicidio nel corso di una rapina in banca. Grant è costretto ad affidare la figlia al fratello e a fuggire.
Al centro del romanzo (1998) di Patrick McCabe, che lo definì “un gran minestrone di glam-rock e psichedelico”, ambientato negli anni ’70 e sceneggiato da N. Jordan che l’ha diviso in 17 capitoli, c’è Patrick Braden, nato dalla relazione tra il parroco del villaggio di Tyreelin e la sua cameriera e abbandonato in fasce dalla madre. Adottato da una vedova, Patrick cresce con un’incontenibile voglia di diventare donna e un’allegra innocenza che gli permette di sopravvivere a cattiveria, violenza e dolore. Lasciata l’Irlanda bigotta e straziata dagli attentati dell’IRA, va a Londra dove, col nome di Kitten (gattina), trova l’ambiente adatto al suo stato di travestito e si mette alla ricerca della madre. Concentrarsi sul fascino di Kitten, tra il Candido di Voltaire e la bontà eroica dell’Alioscia di Dostoevskij, mirabilmente interpretato da C. Murphy, significherebbe ignorare il lavoro di reinvenzione del romanzo fatto da Jordan e la sua scrittura registica, notevole anche sul piano figurativo (fotografia: Declan Quinn). La scelta di un grottesco spinto e alcune bizzarre invenzioni (i pettirossi che fanno i commenti ironici sulla vicenda) gli permette di sdrammatizzare la grave dimensione melodrammatica di molte situazioni. Ha sconcertato il pubblico e spiazzato molti critici. È un film irlandese a 18 carati, ricco di musica, che prende sul serio soltanto un tema, quello della violenza terroristica. Troppo intelligente per aver successo.
Un film di Doug Liman. Con Tom Cruise, Emily Blunt, Bill Paxton, Brendan Gleeson, Jonas Armstrong. Titolo originale Edge of Tomorrow. Azione, Ratings: Kids+13, durata 113 min. – USA 2014. – Warner Bros Italia uscita giovedì 29maggio 2014. MYMONETRO Edge of Tomorrow – Senza domani valutazione media: 3,44 su 62 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Il maggiore Cage è l’ufficio stampa dell’esercito mondiale nella più grande guerra mai sostenuta dall’umanità, quella contro gli alieni atterrati sul nostro pianeta. Reticente a misurarsi sul campo di battaglia quando viene inviato sul fronte dal generale rifiuta l’incarico e per questo viene ammanettato e spedito lo stesso a combattere come disertore, proprio nel giorno della gigantesca offensiva progettata dall’umanità. Totalmente incapace di manovrare l’esoscheletro con il quale si combatte nelle prime fasi di battaglia distrugge un alieno ma rimane contaminato dal suo sangue e da quel momento ogni volta che muore si risveglia sempre nello stesso punto, all’inizio di quella giornata da disertore, condannato a ripetere sempre gli stessi eventi.
Con il continuo ripetere comincia a conoscere bene le mosse del nemico, dimostrando un’abilità in battaglia che cattura l’attenzione di un altro soldato che sembra aver capito tutto e sostiene di poterlo aiutare.
È un felice incontro quello tra l’indole da commediante con la quale Doug Liman dirige film d’azione, la passione per le trame narrate in modo poco convenzionale di Christopher McQuarrie e la light novel “All you need is kill” di Hiroshi Sakurazaka da cui Edge of tomorrow – Senza domani prende le mosse.
Senza esplorare le implicazioni filosofiche ed etiche del vivere sempre il medesimo giorno Liman e McQuarrie si divertono molto con il montaggio, sfruttandolo per diverse gag e riuscendo a lavorare di ellisse in maniere sconosciute ai blockbuster hollywoodiani. View full article »
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