La storia è conosciutissima: per liberare la California da un governatore tiranno, il rampollo di una nobile casata si finge di giorno un innocuo damerino per trasformarsi la notte in eroe al servizio del popolo contro il tiranno.
La storia dei celeberrimi innamorati di Verona. Fanno parte di due famiglie divise da rivalità e odio. Si innamorano ma non riescono a essere liberi. E letteralmente muoiono d’amore. Forse il loro sacrificio servirà a portare finalmente la pace. Una delle rappresentazioni classiche di maggior qualità spettacolare mai realizzate. Ma non solo spettacolare, anche artistica. Stranamente questo film non ha mai sedotto la critica. Forse era giudicato troppo fastoso. È senz’altro vero che il cinema entra con grande prepotenza nel teatro, ma è un preciso diritto del cinema. Il lavoro è squisitamente o disperatamente Metro-Goldwyn- Mayer, con tutte quelle caratteristiche: sfarzo di tutto, grande ricerca storica, budget cospicuo. Vennero assunti i massimi esperti di Shakespeare, di costumi e musica dell’epoca, in omaggio alla cultura inglese (un amore-odio che è precisa tendenza degli americani, che diventa solo amore quando si tratta di Hollywood). Il regista Cukor era noto per le sue attitudini allo stile, all’eleganza e alla cultura. Volle che Romeo fosse uno dei più grandi attori di teatro dell’epoca, Leslie Howard, che aveva quarantatré anni ed è forse il più vecchio Romeo della storia del teatro. Giulietta venne affidata a Norma Shearer, allora trentaquattrenne e dunque a sua volta inadeguata: era la moglie di Irwing Thalberg, boss della Metro. A Howard la produzione contrappose il più grande attore americano di ogni epoca, John Barrymore, che, bizzarro e alcolizzato, creò enormi problemi, ma che accende la sequenza ogni volta che appare. Nella parte di Mercuzio, Barrymore esegue un vero esercizio di virtuosismo, specie nel lungo monologo iniziale. Nell’ottica classica il film presta sicuramente il fianco a molte critiche per le visibili contaminazioni, ma se si accetta la collaborazione tra teatro e cinema, il risultato è straordinario. E finirei con un’altra menzione, che non viene mai fatta: i doppiatori. Spesso le nostre voci hanno migliorato il prodotto, in questo caso certamente non lo hanno peggiorato. Ricordiamo le tre principali: Ruffini (Barrymore), Panicali (Howard) e Pagnani (Shearer).
Un autore di commedie musicali si innamora di un’insegnante di nuoto e la sposa. Ma il suo impresario, che non vede di buon occhio il matrimonio, ingaggia una ragazza perché si finga sua moglie. L’insegnante abbandona il marito credendolo bigamo. Poi tutto si chiarisce e la nuotatrice diviene la star della rivista scritta dal consorte.
L’infanzia e la giovinezza di Davide Copperfield, l’orfano dal cuore generoso e sensibile protagonista del libro di Charles Dickens. Ritroviamo nella fedele versione di Cukor tutti i celebri personaggi del romanzo vittoriano: il patrigno malvagio Murdstone, la burbera e adorabile Zia Betty, la fragile moglie-bambina di David, Dora, che muore dopo un breve periodo di matrimonio, e Agnese, la fedele amica e innamorata del protagonista, che gli è sempre stata vicina in tutte le traversie fino a quando David non diventa un famoso scrittore e capisce che è lei la vera compagna della sua vita.
L’intellligenza deduttiva del più noto investigatore della letteratura, Sherlock Holmes, si misura contro criminali geniali e terribili, e insieme al suo fedele assistente Watson deve affrontare intricatissimi casi ambientati nella misteriosa Londra di fine ‘800. La migliore trasposizione cinematografica è certamente la serie prodotta dalla 20th Century Fox, poi proseguita dalla Universal, in cui l’acume investigativo di Holems ha il volto dell’attore inglese Basil Rathbone, accompagnato dall’amico Watson che qui ha il volto di Nigel Bruce. Tratti dai romanzi più celebri di Sir Arthur Conan Doyle i 14 film presentati in questo imperdibile box da collezione rappresentano l’intera serie dedicata a Sherlock Holmes.
Il cadavere di Larry Talbot, il famigerato licantropo, torna in vita, resuscitato, accidentalmente da due profanatori di tombe. Consapevole, nei momenti di lucidità, del tragico destino che lo perseguita, Talbot, dopo aver invano cercato aiuto presso la clinica del dottor Mannering, raggiunge il castello di Henry Frankenstein nella speranza di ottenere da lui un rimedio contro la licantropia. Ma la sorte gli è avversa: Frankenstein è morto poche ore prima, ed egli può, adesso, soltanto sperare che i suoi diari contengano l’indicazione per l’antidoto. Nei pressi del castello, l’Uomo Lupo scopre il corpo del mostro creato da Frankenstein e, liberandolo dal ghiaccio che lo ha preservato, lo rianima. Quando la gente del vicino villaggio si mette in allarme per la presenza delle due mostruose figure, Manning accorre e insieme ad Elsa, figlia di Frankenstein, riattiva l’antico laboratorio con il proposito di sottrarre loro l’energia vitale. L’operazione, tuttavia, ottiene l’effetto contrario: l’Uomo Lupo e la Creatura, più furiosi che mai, si accaniscono l’uno contro l’altro, rimanendo, infine, travolti dal crollo di una diga che distrugge il sinistro castello. Scritto dall’inventivo Curt Siodmak e diretto con buon ritmo da Roy William Neill (lo stesso regista al quale si deve la lunga serie di Sherlock Holmes interpretata da Basil Rathbone), il film continua la saga del mostro di Frankenstein e si presenta, insieme, come sequel dell’Uomo Lupo (The Wolf Man) del 1941. La Universal sperimenta per la prima volta la formula del film con più mostri, scommettendo sulla presenza carismatica di Lugosi, sulla crescente popolarità di Chaney Jr. e su uno stuolo di eccellenti caratteristi. Nell’interessante saggio sul cinema horror, “The Monster Show”, David J. Skal ricorda come i recensori del tempo abbiano intravisto nel film, più o meno scherzosamente, una parabola degli anni di guerra: l’immaginaria regione di Visaria, nella quale la storia è ambientata, sarebbe una chiara allusione alla Germania e la rediviva creatura di Frankenstein simboleggerebbe il riaffiorare delle mai sopite spinte irrazionalistiche e violente del nazionalismo. La stessa composizione grafica dei nomi dei due mostri che campeggia nei manifesti originali – “Frankenstein” e “Wolf Man” – sembra ricordare la natura meccanica del primo e quella animalesca del secondo e sarebbe “…un commento adeguato, pur se involontario, alle contraddizioni della moderna tecnologia bellica…” che vede il furore primordiale incanalato in una macchina da guerra perfetta. Bela Lugosi interpreta, finalmente, la creatura di Frankenstein, ma la sua prova è mortificata dalla produzione che in sede di montaggio – per snellire la frenetica avventura e, soprattutto, spinta da una sfavorevole anteprima – taglia gran parte dei suoi primi piani e tutte le sue battute: per ironia della sorte, l’attore che aveva rifiutato il ruolo del personaggio nel Frankenstein del 1931 perché concepito privo della parola, se lo ritrova, a prodotto finito, imprevedibilmente muto. Per Lugosi si tratta dell’ultimo lavoro presso la Universal e per Dwight Frye uno degli ultimi film: Frye – che continua a dividersi tra gli studi cinematografici e l’ufficio di progettista aeronautico – muore pochi mesi dopo stroncato da infarto. Notevoli, come sempre, gli effetti ottici di John P. Fulton e l’elaborato trucco di Jack Pierce che rendono impressionante (per quegli anni) la metamorfosi di Talbot in licantropo.
Robin di Locksley, detto Robin Hood, vive nella foresta di Sherwood a capo di un gruppo di simpatici fuorilegge. Salva un poveraccio, che ha ucciso un cervo per fame, dalla spada dello sceriffo di Nottingham e poi irrompe col cervo sulle spalle proprio nel salone del banchetto dello sceriffo. Aggredito riesce a fuggire. Nella foresta fa prigioniera Lady Marian, cugina di re Riccardo, per il quale Robin Hood si batte contro l’usurpatore Giovanni Senza Terra. Lo sceriffo cerca in ogni modo di contrastare il ritorno del legittimo re, ricorrendo a ogni intrigo.
Dal romanzo (1922) di Rafael Sabatini: chirurgo irlandese, condannato da un tribunale britannico per aver curato un ribelle ferito, viene inviato in un bagno penale. Diventato pirata nel mar dei Caraibi, si riscatta combattendo contro i francesi. Prodotto dalla Warner, ben sceneggiato e dialogato da Casey Robinson, ricco di briose sequenze d’azione,magnificamente fotografato (Hal Mohr, Ernest Haller), interpretato da un E. Flynn in gran forma è uno dei più scattanti film di pirati mai realizzati. Eccellente colonna musicale del compositore austriaco Erich Wolfgang Korngold, al suo esordio a Hollywood. Il romanzo di Sabatini era già stato filmato nel 1925 da D. Smith. Il personaggio fu ripreso da L. Hayward in Le avventure di Capitan Blood (1950) e Il corsaro (1952).
Trascurata dal marito, senatore Karenin, Anna s’innamora di un bell’ufficiale e fugge con lui, abbandonando anche il figlioletto. Ma, costretta a rinunciare all’amante, non può tornare a casa… Fulgida nella parte della tormentata eroina di Tolstoj – i cui panni indossa per la seconda volta, dopo Love di E. Goulding del 1927 -, Greta Garbo dà l’acqua della vita a un film corretto e illustrativo, con due o tre belle invenzioni di regia.
Agli albori dello scoppio della seconda guerra mondiale due giovani sposi americani residenti a Londra, mentre si accingono a partire per la luna di miele, vengono incaricati dal servizio segreto britannico di impadronirsi dei piani di una mina magnetica inventata in Germania da un professore. Dopo una serie di mirabolanti avventure riescono a sfuggire alla Gestapo e a portare a termine la loro missione.
Un film di Michael Curtiz. Con Peter Ustinov, Humphrey Bogart, Basil Rathbone, Aldo Ray, Joan Bennett Titolo originale We’re No Angels. Commedia, Ratings: Kids+13, durata 106′ min. – USA 1955. MYMONETRO Non siamo angeli valutazione media: 2,88 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Tre galeotti, evasi dal penitenziario dell’Isola del Diavolo, arrivano in una famiglia francese dove tutto va a rotoli. In due giorni sistemano ogni cosa. È un congegno teatrale (da La cuisine des Anges, 1952, di Albert Husson) che non ha trovato né uno sceneggiatore né un regista adatti: tutto funziona _ gli interpreti, il dialogo, l’ambientazione _ tranne il racconto che non ha né ritmo né invenzioni. Rifatto liberamente nel 1989 da N. Jordan.
Un film di Norman Panama. Con Basil Rathbone, Glynis Johns, Danny Kaye Titolo originale The Court Jester. Comico, durata 101 min. – USA 1956. MYMONETRO Il giullare del re valutazione media: 3,50 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Inghilterra, XII secolo. Roderico si è impadronito del potere con la forza; il capo dei popolani a lui ribelli decide di sostituirsi al giullare per poter entrare a corte e agire liberamente. L’audace piano incontra parecchie difficoltà, tuttavia ha esito positivo e si conclude col trionfante ingresso al castello dei rivoltosi. View full article »
Un film di Alfred L. Werker. Con Basil Rathbone, Nigel Bruce, Ida Lupino Titolo originale The Adventures of Sherlock Holmes. Giallo, b/n durata 85′ min. – USA 1939. MYMONETRO Le avventure di Sherlock Holmes valutazione media: 2,25 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Il malvagio Moriarty spinge Sherlock Holmes su una falsa pista, mentre attua un ingegnoso piano per rubare i gioielli della Corona. Con Il mastino di Baskerville è uno dei 2 film che la coppia Rathbone-Bruce interpretò prima della serie di 12 film tratta dai romanzi di Conan Doyle. Zucco efficace nella parte di Moriarty. View full article »
Un film di Jacques Tourneur. Con Vincent Price, Boris Karloff, Peter Lorre, Basil Rathbone. Titolo originale The Comedy of Terrors. Horror, durata 84′ min. – USA 1963. MYMONETRO Il clan del terrore valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Proprietario di una scassata agenzia di pompe funebri cerca di incrementare gli affari accorciando la vita di un ricco cliente. Scritta da Richard Matheson, è una ghiotta e macabra farsa in nero con un cast di prim’ordine che comprende anche B. Rathbone e J.E. Brown, ma la lode tocca al subdolo P. Lorre. View full article »
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