Dove c’è il fumo, c’è anche il fuoco. Tutte le storie, per quanto bizzarre possano essere, hanno un fondamento reale. È questa la premessa dell’impressionante quarto film dell’ungherese Szabolcs Hajdu, Bibliothèque Pascal, che racconta, sotto forma di favola crudele, la spaventosa storia di una donna finita in un giro di prostituzione.
Julien e Sophie sono amici dall’età di 8 anni. Crescono, volendosi bene e cimentandosi in giochi e sfide continue al mondo degli adulti. Passano gli anni. Julien ha moglie e due figli; Sophie è sposata a un calciatore. Finale a sorpresa con cemento. Insolita commedia romantica, con venature di allegro cinismo e uno spolvero fiabesco. Rivela nella regia di Y. Samuell (anche sceneggiatore con Jackie Cuckier ed Equinoxe) “un gusto particolare per le forzature antirealistiche e per l’esasperazione dei colori” (M. Calderale). A sorpresa, per un film a basso costo, successo di pubblico in Francia e Belgio. felici e, pagando il giusto debito al sempiterno Amelie, arricchisce una trama altrimenti banale con una lunga serie di visioni, effetti speciali e follie digitali che permettono alla pellicola di non adagiarsi.
Scritto dalla regista con Michele Pellegrini dal romanzo omonimo di Walter Veltroni. Dopo il premiato esordio di Cosmonauta (2009), la Nicchiarelli fa un altro film sui rapporti tra passato e presente, fra il 1981 e il 2012, circa 30 anni. Tema centrale: gli effetti del terrorismo, cioè la misteriosa scomparsa del padre, probabilmente sequestrato e ucciso dalle Brigate Rosse. (È del 1981 La tragedia di un uomo ridicolo di Bernardo Bertolucci). Troppi itinerari, e soltanto alcuni arrivano a destinazione. Per fortuna c’è la Buy che rende il doppio della protagonista con inquietante efficacia, non trascurando la dimensione della nostalgia nella rievocazione della Roma negli anni ’80. Fotografia di Gherardo Gossi. Prodotto con Rai Cinema da Fandango che distribuisce.
Gli ultimi anni di vita di Christa Päffgen, in arte Nico. Musa di Warhol, cantante dei Velvet Underground e donna la cui bellezza era indiscussa, Nico vive una seconda vita quando inizia la sua carriera da solista. Qui seguiamo gli ultimi tour di Nico e della band che l’accompagnava in giro per l’Europa negli anni ’80: anni in cui la “sacerdotessa delle tenebre”, così veniva chiamata, si è liberata del peso della sua bellezza e inizia a ricostruire un rapporto con il figlio. Non era un’impresa facile trasferire sullo schermo le fasi finali della vita di una personalità complessa come quella di Nico.
Rocco Granata ha pochi anni e il sogno di suonare la fisarmonica come suo padre, che ha deciso di abbandonare la musica e la Calabria per le miniere del Belgio e un futuro migliore. Due anni dopo Salvatore, ottenuti i permessi per la famiglia, la riunisce in una baracca e in un paese ostile con gli stranieri. Ma Rocco non impiegherà molto a padroneggiare il fiammingo e a farsi amare da una ragazzina bionda, che ha un debole per gli italiani e la canzone melodica. Gli anni passano e Rocco non dimentica quell’amore, che adesso vuole stupire con la sua voce. Con i soldi risparmiati col lavoro di meccanico si compra una Stradella e mette insieme una band con cui esibirsi e comporre finalmente la sua musica
Sawyer Valentini è una giovane donna, vittima di stalking, che lascia Boston per la Pennsylvania in cerca di una nuova vita. Ma il nuovo lavoro non è l’affascinante opportunità che si aspettava, nella nuova città non si sente mai al sicuro, il passato la perseguita. Così decide di consultare una specialista, ma si ritroverà involontariamente sottoposta a un trattamento presso l’Highland Creek Behavioral Center. Nella clinica psichiatrica si ritrova faccia a faccia con la sua più grande paura: ma è reale o solo frutto della sua mente? Nessuno sembra credere alle sue parole e di fronte ad autorità incapaci o riluttanti ad aiutarla, Sawyer è costretta ad affrontare da sola i fantasmi del passato.
Jimmy Logan, ex quarterback con una gamba offesa, e Clyde Logan, veterano dell’Iraq senza un braccio, decidono di organizzare una rapina. Separato dalla consorte e licenziato dal boss l’uno, single con pub l’altro, i Logan vivono nell’America rurale, collezionano una sfortuna eterna e perpetuano una maledizione familiare. Ma quella superstizione, esemplificata dal corso disastroso delle loro esistenze, diventa la loro chance: una buona copertura (chi accuserebbe mai due storpi?) e una buona occasione (giunti a questo punto, i Logan non hanno niente da perdere).
Ivan Locke guida nella notte verso Londra. È un costruttore di edifici, ma questa notte si consuma la demolizione della sua vita. All’alba avrebbe dovuto presiedere alla più ingente colata di cemento di cui si sia mai dovuto occupare. Gli americani e i suoi capi hanno incaricato lui, perché per nove anni è stato un lavoratore impeccabile, il migliore: solido come il cemento, appunto. Ma la telefonata di una donna di nome Bethan riscrive l’esistenza di Locke. Prima di quella telefonata, e del viaggio che ha deciso di intraprendere di conseguenza, aveva un lavoro, una moglie, una casa. Ora, nulla sarà più come prima. L’attesa opera seconda di Steven Knight non solo soddisfa ma supera piacevolmente le aspettative. Sceneggiatore talentuoso, per Frears e Cronenberg, con Locke eccelle nell’esercizio di scrittura, ideando un percorso di quasi novanta minuti nel quale il tempo della storia e il tempo del racconto coincidono e non c’è altro luogo al di fuori dell’abitacolo della Bmw in movimento e nessun altro personaggio oltre a quello del titolo, impegnato in un dialogo telefonico pressoché ininterrotto con gli altri nomi del copione: Bethan, dall’ospedale di Londra, la moglie Katrina e i due figli da casa, Garreth, il capo furioso, e Donal, l’operaio polacco al quale Ivan Locke ha affidato la delicata gestione di ogni preparativo in sua assenza.
È la storia d’amore tra Scott Thorson, pianista eclettico e barocco, e un ragazzo gay di 18 anni strapazzato dalla vita e risucchiato da un uomo in un sogno a occhi aperti che alla fine diventa incubo. Basandosi sull’autobiografia di Thorson, Soderbergh si affida al talento dei suoi interpreti: Douglas ottimo nell’interpretare un’icona gay che ha sempre voluto dissimulare la sua natura, e Damon perfettamente calato nella parte. Lustrini, Rolls Royce, tanto kitsch e molta musica per un film che negli USA è stato presentato solo dal canale televisivo HBO che lo ha prodotto, mentre nel resto del mondo è uscito nei cinema.
Haywire = dare i numeri, impazzire. C’è un solo motivo per vedere questo thriller, scritto da Lem Dobbs e diretto da un regista diseguale che, almeno in Italia, spacca in due i cinecritici o sedicenti tali: quelli che lo stimano e quelli che lo ritengono un bluff, un falso d’autore. Si chiama Gina Carano, famosa in USA come campionessa di M.M.A. (Mixed Martial Arts). Il suo personaggio ha un cognome preso dal titolo originale ( Citizen Kane ) di uno dei più apprezzati film nella storia del cinema USA. Quel che fa, e quanti ne ammazza, è situato in un microcosmo astratto e teorico abitato da fantasmi, “fatto di astrazioni e geometrie, che nasce dalle macerie di un genere per ribadire che il cinema è innanzitutto il rapporto di un corpo con lo spazio che lo circonda” (G. Calzoni).
Brandon ha un problema di dipendenza dal sesso che gli impedisce di condurre una relazione sentimentale sana e lo imprigiona in una spirale di varie altre dipendenze. Nulla traspare all’esterno: Brandon ha un appartamento elegante, un buon lavoro ed è un uomo affascinante che non ha difficoltà a piacere alle donne. Al suo interno, però, è un inferno di pulsioni compulsive. Va ancora peggio alla sorella Sissy, bella e sexy, ma più giovane e fragile, la quale passa da una dipendenza affettiva ad un’altra ed è sempre più incapace di badare a se stessa o di controllarsi. Dopo aver colpito indelebilmente gli occhi di chi ha visto il suo primo film, Hunger, colpevolmente non distribuito in Italia, il videoartista britannico Steve McQueen richiama con sé Michael Fassbender come protagonista di Shame, un film che è altrettanto politico, nelle intenzioni, per quanto non lo sia esplicitamente nel soggetto (com’era invece per la vicenda di Bobby Sands).
Charlie è un ragazzino sensibile e dall’intelligenza vivace: scrive lunghe lettere ed è un vorace lettore di romanzi. Come spesso succede agli adolescenti, è timido e insicuro. Alla scuola superiore è ancora peggio. Complice un’involontaria assunzione di cannabis che rivela le sue qualità, viene preso sotto protezione dalla strana coppia composta dalla bella e disinvolta Sam e dal suo fratellastro Patrick. Sulle note di “Heroes” di David Bowie e con The Rocky Horror Picture Show l’amicizia rafforza tutti e tre, ognuno con un dolore da superare. Chbosky aveva scritto il romanzo Ragazzo da parete nel 1999. Un bestseller negli USA dove è un libro cult per gli adolescenti. Lo stesso autore lo ha trasposto in un racconto cinematografico di rara sensibilità, che coglie con precisione le contraddizioni e i timori del diventare adulti. I 3 giovani attori assecondano i rispettivi personaggi con navigata professionalità. Distribuito da M2 Pictures.
Justine, giovane studentessa. In famiglia sono tutti veterinari di orientamento alimentare vegetariano. Dal suo primo giorno alla facoltà di veterinaria, Justine si distacca completamente dai valori familiari mangiando carne. Le conseguenze non tardano ad arrivare e Justine rivela la sua vera natura.
Roma, novembre 2011, negli ultimi giorni dell’ultimo governo Berlusconi, gli stessi in cui papa Ratzinger decide di dimettersi. Un deputato della maggioranza dalla doppia vita è ricattato da boss della mala romana per far approvare in Parlamento un megapiano di lottizzazione del litorale di Ostia. Ma tra le cosche criminali interessate all’affare scoppia una faida. Esercitatosi a lungo nel genere criminoso con 2 serie TV – Romanzo criminale (2008-10) e Gomorra (2014) – e il lungometraggio Acab – All Cops Are Bastards (2012), Sollima gira un film pretenzioso che punta, nello stile e nei mezzi, al capolavoro ma che invece è un tonfo per mancanza di originalità della storia, della fumettizzazione dei personaggi, della farraginosità della scrittura, della tediosa prolissità. Il difetto è nel manico, il romanzo omonimo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, anche sceneggiatori con Sandro Petraglia e Stefano Rulli, ma la regia ne è complice. Che senso ha, nell’Italia del 2015, riproporre una mera descrizione del malaffare dilagante, già vista e rivista al cinema e in TV, già letta e riletta nei libri e tutti i giorni sui quotidiani, senza aggiungere almeno un tentativo di scavarne le ragioni o di prospettarne una via d’uscita, se non quello di spremere tutto lo spremibile da un filone di successo? Innegabile la perizia di Sollima, ma improntata all’estetismo più che all’estetica, al Kitsch più che al bello. Finale falso e fuorviante.
Marino Pacileo, detto Gorbaciof a causa di una vistosa voglia sulla fronte, è il contabile del carcere napoletano di Poggioreale. La sue passioni sono il gioco d’azzardo e la giovane Lila, figlia del cinese che mette a disposizione il tavolo per le carte. Quando scopre che l’uomo ha contratto un debito che non può pagare, Gorbaciof decide di prendersi cura della ragazza e, per farlo, dapprima sottrae dei soldi dalla cassa del carcere poi accetta di partecipare ad altre, più pericolose, attività.
Pericle Scalzone di mestiere fa il culo alla gente. Letteralmente. Sodomizza le vittime per conto di don Luigi, boss camorrista emigrato in Belgio. Una missione finita male porta Pericle a fuggire fino a Calais dove incontra Anastasia, separata con due figli, che senza troppe domande lo accoglie in casa. Pericle sogna un futuro diverso, ma deve fare i conti con gli scagnozzi di due famiglie criminali che si sono accordate per ucciderlo. Unico film italiano in concorso nella sezione Un Certain Regard del 69° Festival di Cannes, liberamente ispirato all’omonimo romanzo (1993) di Giuseppe Ferrandino. Tra i produttori Scamarcio, la Golino, Viola Prestieri della Buena Onda con Rai Cinema e i fratelli Dardenne con Alain Attal. Mordini scrive la sceneggiatura con Valia Santella e Francesca Marciano. Un noir nerissimo, con personaggi brutali, ambigui e sgradevoli, disarmonico e inverosimile nella parte centrale, tenuto in piedi dalla presenza fisica di un convincente Scamarcio.
In una delle 4 isole delle Tremiti, un piccolo e povero film ad alta tensione emotiva e di poche parole. 3 personaggi: un vecchio prete scorbutico appena uscito dall’ospedale; una ragazza che ha sempre vissuto con lui, data per pazza perché, assillata dal passato, non parla più; un immigrato senza documenti che continua a lavorare mentre i suoi compagni, non pagati da tempo, scioperano e lo picchiano. C’è anche una sorella del prete che vorrebbe occuparsi di lui e specialmente della sua “roba”. È la “pazza” che fa accogliere l’immigrato in casa del prete come domestico badante. Lontani dalla gente, sono un’isola nell’isola. Uscito nelle sale italiane grazie a Gianluca Arcopinto e online su Repubblica.it dopo aver partecipato ai Festival di Toronto e Londra.
Negli anni Cinquanta, a Cayuga in New Mexico, sta per giocarsi una partita di basket scolastico e il DJ Everett sarà poco distante a tenere alla radio la propria trasmissione. La sua amica Fay invece ha il turno notturno da centralinista. I due si lasciano dopo aver parlato delle possibili invenzioni del futuro, ma le loro storie si riannodano quando un misterioso segnale arriva sulle linee telefoniche. Fay lo fa ascoltare a Everett, che decide di volerne sapere di più e lo trasmette sperando che qualcuno risponda all’appello. Arriva così la telefonata di Billy, che racconta di aver già sentito quel suono quando era nell’esercito. Un blackout però interrompe le comunicazioni radiofoniche e conferma che sta davvero accadendo qualcosa nella piccola cittadina.
Il tema dell’elaborazione del lutto impregna questa bizzarra commedia. L’ha scritta (con David Michod) e diretta un regista che già nei corti aveva miscelato i generi con intenti scherzosi. Qui però fa sul serio e pone subito un quesito: chi è Hesher, che entra nella vita del piccolo T.J. e di suo padre e li aiuta a superare l’apatia dell’uomo, successiva alla morte della moglie, madre del ragazzino? Reale o immaginario? Salvifico o distruttivo? Non innocuo, comunque: con totale apparente noncuranza compie brutti gesti (incendia auto, butta una bomba) o assiste al pestaggio di T.J. senza intervenire in suo aiuto. Il ragazzino – e con lui lo spettatore – lo segue e lo guarda con un misto di attrazione e ripulsa. Il film resta aperto alle più diverse interpretazioni, e lo suggerisce in più modi, perfino nei simboli religiosi dei titoli di coda. Gordon-Levitt col capello lungo e il fascino tenebroso è, comunque, uno dei personaggi più originali visti negli ultimi tempi.
Tra il giovane erborista Xu Xian e il Serpente Bianco, demone millenario, nasce una storia d’amore improvvisa quanto intensa. La sincerità del legame è però messa in dubbio dal monaco-stregone Fa Hai, intenzionato a imprigionare tutti i demoni che interferiscono nelle faccende degli umani. Pur vantando una carriera senza eguali nel campo del cinema spettacolare e di arti marziali, avendo contribuito alle coreografie di tutti i capisaldi del genere, il nome di Ching Siu-tung nell’immaginario collettivo resta legato a Storia di fantasmi cinesi, inarrivabile esempio di incontro tra fantasy e wu xia, tra ghost story e melò. Ed è proprio a quello spirito e a quelle atmosfere che si riallaccia idealmente The Sorcerer and the White Snake, ancora una storia d’amore che unisce il mondo degli umani e quello degli spiriti. L’intento è chiaramente quello di realizzare, con le spaventose potenzialità che la CGI può offrire, ciò che all’epoca di Storia di fantasmi cinesi (e in special modo dei seguiti, più concentrati sul lato spettacolare che sull’intreccio) non era neanche lontanamente immaginabile.
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