Un viaggiatore europeo accompagnato da alcune guide arabe attraversa il deserto; di notte si accampano e il viaggiatore viene avvicinato da sciacalli parlanti che gli parlano dell’odio secolare per gli arabi e tentano di ottenere l’aiuto del viaggiatore per uccidere gli arabi.
l franchise segue le avventure di un giovane vichingo di nome Hiccup Horrendous Haddock III, figlio di Stoick l’Immenso, leader dell’isola vichinga di Berk. Sebbene inizialmente visto come goffo e sottopeso, diventa presto rinomato come coraggioso esperto di draghi, a cominciare da Sdentato, un Furia Buia, appartenente a una razza rarissima. Tramite lo studio e l’addestramento, impara presto a cavalcarlo, e diventa il suo migliore amico e suo compagno d’avventure. Insieme ai suoi amici, gestisce la popolazione di draghi alleati del villaggio in difesa della sua casa come leader di un corpo di cavalieri di draghi. Dean DeBlois, il regista della trilogia, ha descritto la sua storia come “la maggiore età di Hiccup”, prendendo un arco di cinque anni tra il primo e il secondo film, mentre spiega nel terzo e ultimo film perché i draghi non esistono più.
Kotoko ha un problema, ci vede doppio, nel senso che la sua mente sdoppia le persone che vede, una reale e una no, una positiva e una negativa (che cerca di attaccarla), senza che lei possa distinguere quale esista e quale sia frutto della sua immaginazione. Il suo disagio mentale è acuito dallo stress dovuto alla cura del figlio neonato che tra pianti, urla ed esigenze lentamente porta la madre al totale esaurimento.
I subita nella versione 720p sono stati tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
In un piccolo paesino tailandese un gruppo di soldati viene colpito da una strana malattia del sonno: vengono ricoverati in una scuola elementare abbandonata, adibita ad ospedale. Jenjira Widnes si offre volontaria per prendersi cura dei militari, sviluppando un particolare interesse nei confronti di Itta, un giovane che non riceve mai visite dai parenti. Ma anche la sua vita sta per subire un cambiamento: incontra due fantasmi che le raccontano dell’esistenza di un cimitero di re sepolto sotto la scuola. La giovane comincerà ad avere allucinazioni e sogni molto particolari.
I subita sono stati tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
Frankie e Tommy sono amici fraterni, che si arrangiano con qualche lavoretto illegale per il boss Gyp De Carlo. Ma Frankie è dotato di una voce straordinaria, tale da convincere persino il boss sul suo talento unico: nel giro di breve tempo, insieme a Bob e Nick, i due formeranno i Four Seasons, destinati a sbancare nel mondo del pop anni Sessanta. Il rapporto privilegiato tra Clint Eastwood e la musica non è una novità: autore di diverse colonne sonore e di racconti di vita e suono come “Bird” o “Honkytonk Man”, innamorato di ogni genere alla base della cultura americana. Come tale, anche del rock anni ’50 misto al doo-wop – quello che Frank Zappa chiamava vaseline rock e scimmiottava con la finta band Ruben And The Jets -, che deve aver esercitato sull’ottantaquattrenne regista un fascino tale da convincerlo ad accettare la scommessa (l’ennesima di una carriera inarrestabile) di trasporre su grande schermo il successo di Broadway Jersey Boys. Storia tutta italo-americana di gang, furtarelli e ragazzi che diventano uomini, quella che idealmente sembrerebbe destinata a finire tra le mani di Martin Scorsese, anziché in quelle da cowboy urbano di Eastwood. Clint, invece, mostra rispetto per la materia e non tradisce lo spirito dello show, mantenendo anche l’espediente dei personaggi che si rivolgono alla macchina da presa. Una timidezza inconsueta, quella di Eastwood nei confronti dello script di John Logan e Rick Elice, che rende Jersey Boys una creatura a più teste, divisa tra momenti in cui ambire a qualcosa di più (quel sinistro alone di morte al lavoro che Clint sfiora, senza riuscire ad afferrarlo come in Space Cowboys) ed altri in cui hanno la meglio le esigenze di script, di pubblico o della produzione (tra i produttori esecutivi lo stesso Frankie Valli). Varie anime collidono senza mai riuscire ad amalgamarsi in maniera compiuta: il biopic musicale, la tentazione di un Glee ambientato negli anni della brillantina e il romanzo scorsesiano in chiave duplice, sul New Jersey e il difficile background italo-americano da un lato (Mean Streets) e l’epopea del Brill Building dall’altro (Grace of My Heart). Proprio l’ingresso in scena del Brill Building, tempio del pop e luogo in cui la storia della musica cambierà irreversibilmente, è ripreso con un sontuoso carrello verticale, che ad ogni nuovo piano del palazzo scopre un genere nascente di pop music. Seppur geniale, uno sprazzo isolato, che fa il paio con ben calibrati momenti di bromance tra i membri della band, prima che a prevalere definitivamente sia un copione sovraccarico di avvenimenti, con sequenze come quella della fuga di Francine, figlia di Frankie, di un’ordinarietà difficile da ascrivere a un regista come Eastwood. Un episodio inevitabilmente minore nella filmografia di Clint, ma sintomatico di uno spirito incapace di sedersi sugli allori senza assumersi dei rischi.
Cheyenne è stato una rockstar nel passato. All’età di 50 anni si veste e si trucca come quando saliva sul palcoscenico e vive agiatamente, grazie alle royalties, con la moglie Jane a Dublino. La morte del padre, con il quale non aveva più alcun rapporto, lo spinge a tornare a New York.Scopre così che l’uomo aveva un’ossessione: vendicarsi per un’umiliazione subita in campo di concentramento. Cheyenne decide di proseguire la ricerca dal punto in cui il genitore è stato costretto ad abbandonarla e inizia un viaggio attraverso gli Stati Uniti.
In un paesotto della Brianza che finisce in “ate”, eretto alle pendici di una collina una volta incredibilmente boscosa, un cameriere da catering neanche più giovane torna a casa a notte fonda con la sua bicicletta, chiuso tra il gelido freddo di una curva cieca e il sopravanzare spavaldo e sparato di un Suv che lo schiaccia lasciandolo agonizzante, vittima predestinata di un pirata anonimo. Il giorno dopo, la vita di due famiglie diversamente dislocate nella scala sociale brianzola viene toccata da questo evento notturno in un lento affiorare di indizi e dettagli che sembrano coinvolgere il rampollo di quella più ricca, assisa nella villa che sovrasta il paese, e la figlia dell’altra, piccolo borghese con aspirazioni di ribalta. Uno a uno sfilano i presunti protagonisti: il padre della giovane ragazza, un ingenuo stolto e credulone, titolare di un’agenzia immobiliare, pronto a giocarsi quello che non ha per entrare nel fondo fiduciario del magnate della zona al quale accede per un eccesso di fiducia e grazie all’entratura garantitagli dalla figlia, fidanzata con il giovane rampollo della ricca famiglia; il magnate, cinico e competitivo, perfetto prodotto brianzolo, forgiato con la tempra di chi ha abbattuto ettari di bosco per costruire quell’impero economico, inno del malcostume e del cattivo gusto: le moglie dell’uno e dell’altro, la prima psicologa tutta presa dalla sua missione e dall’imminente maternità, tardiva e sofferta, la seconda sposa tonta con il sogno del teatro, obnubilata dalla ricchezza e dal troppo avere: in ultimo i rispettivi figli, non più incolpevoli, mai più adolescenti, complici dell’orrore in questa “tragedia” balzachiana che della commedia ha solo i tipi. Paolo Virzì fa un salto in avanti nel personale viaggio politico nell’Italia del suo presente, puntando finalmente la bussola verso il nord del Paese, trovando un cuore nero che non fa ridere proprio per niente. La goliardia toscana, il cinismo burlone romano (modi e luoghi che hanno caratterizzato la sua commedia) sono lontani, lontanissimi, senza quasi più alcun eco in queste lande brianzole, disegnate come fossero terre straniere abitate da genti aliene che comunicano in un linguaggio misterioso e duro. Virzì si fa suggestionare dal suo limite, un misto di gap culturale e sociale (un livornese in Brianza), che presto trasforma nella sua arma migliore, abbandonando il facile gigioneggiare nelle disgrazie del malcostume centroitaliano per addentrarsi nei meandri di un apologo potente e inaspettato. Liberamente tratto dal thriller di Stephen Amidon, ambientato nel Conneticut, con l’aiuto di Francesco Piccolo e Francesco Bruni, Il capitale umano vanta un cast variamente composto su cui domina Fabrizio Bentivoglio che interpreta senza alcun timore il personaggio di Dino Ossola. Ecco, crediamo che questo tipo unico di “scemo” sia in assoluto una delle migliori descrizioni di un certo italiano contemporaneo, degno della migliore tradizione del cinema nostrano.
Angel è sposato con Ale, ma intanto ha una relazione con il fratello di lei Fabian. L’equilibrio del triangolo si rompe quando entra in gioco Veronica, una ragazza dagli appetiti sessuali insaziabili che deve inevitabilmente sedurre il prossimo. Il doloroso processo condurrà a rivelazioni sconcertanti. Dopo aver vinto il premio per la miglior regia a Cannes per Heli, Amat Escalante sconvolge le coordinate del suo cinema: niente più attori non professionisti, mentre il realismo della regia lascia spazio all’introduzione dell’elemento fantastico, perturbante narrativamente ed emotivamente. Non c’è amalgama tra le parti, per una precisa scelta stilistica. La componente realista rimane tale, con i suoi nudi e la sua rappresentazione cruda della sessualità e della violenza, mentre il lato fantastico resta estraneo, giustapposto alla storia come un fattore reagente, destinato a mescolare le carte. Visivamente ingenuo – la rappresentazione del perturbante alieno richiama eccessivamente Possession di Zulawski – La Region Salvaje trova la sua forza nella discontinuità e nel senso, non si sa quanto voluto, di incompiutezza. I momenti disturbanti, la crescente attesa di svelare l’identità del perturbante e la tecnica di seduzione invisibile di Veronica, degna di Kurosawa Kiyoshi, mostrano il talento di un regista dotato di uno sguardo non comune. E l’indagine sulle storture della società messicana e sui suoi appetiti perennemente inappagati emerge con forza maggiore che nelle opere precedenti di Escalante. La región salvaje dà l’impressione di un’opera che avrebbe richiesto un’ulteriore revisione, tale da rendere più articolata la psicologia dei suoi personaggi e da evitare spiegazioni eccessive su ciò che è meglio lasciare ermetico. Il non finito diviene sì fonte di un suo fascino specifico, ma penalizza le ambizioni e l’esito complessivo del film
Nominato capo dell’FBI dal Presidente Calvin Coolidge, J. Edgar Hoover è un giovane uomo ambizioso nell’America proibizionista. Figlio di un padre debole e di una madre autoritaria, Edgar è ossessionato dalla sicurezza del Paese e dai criminali che la minacciano a suon di bombe e volantini. Avviata una lotta senza esclusione di colpi contro bolscevichi, radicali, gangster e delinquenti di ogni risma, il direttore federale attraversa la storia americana costruendosi una reputazione irreprensibile e inattaccabile. A farne le spese sono i suoi nemici, reali o supposti, tutti ugualmente ricattabili dai dossier confidenziali raccolti, archiviati e custoditi da Helen Gandy, fedele segretaria che rifiutò il suo corteggiamento e ne sposò la causa. Quarantotto anni di ‘azioni’ (il)legali, otto presidenti e un sentimento dissimulato dopo, quello per il collaboratore Clyde Tolson, Edgar detterà la sua biografia e le sue imprese: la rivoluzione investigativa, la consolidazione del Bureau, la ‘deportazione’ dei comunisti, la cattura di John Dillinger e George Kelly, le indagini lecite sui rapitori di Baby Lindbergh e quelle illecite sulle Pantere Nere o sul Movimento per i Diritti Civili di Martin Luther King. Una vita romanzata e smascherata al tramonto dalla coscienza di Tolson e dall’incoscienza del peggiore dei presidenti.
La dodicenne Estela vive con suo padre, il fratello Heli, la giovane moglie di Heli e il figlio di pochi mesi, in una casetta di due stanze in una regione povera del Messico centrale. Innamoratasi di Beto, un diciassettenne recluta di polizia che vorrebbe sposarla e portarla via, Estela gli permette di nascondere un pacchetto di cocaina in casa propria. Ma la polizia si presenta a reclamare il maltolto e la famiglia di Heli viene travolta da una spirale senza fine di violenza. Il film si apre sul volto tumefatto e sanguinante di un ragazzo di cui ancora non conosciamo il nome, schiacciato dall’anfibio di un militare, ed è subito chiaro che stiamo per assistere ad un racconto di forza e d’impotenza, che non comprende né il concetto di giustizia né quello di pietà.
Nel caso, però, non ci fossimo fidati abbastanza dell’immagine iniziale, presto giunge un altro messaggio, direttamente dalla voce di un personaggio: “aprite bene gli occhi, così non vi perdete nulla”, e seguono la tortura, le percosse infinite, il frontale dei genitali di uno dei protagonisti spruzzati d’alcool etilico e incendiati. Scrive e dirige Amat Escalante, il quale mira evidentemente ad inserirsi nel solco del cinema crudissimo del suo connazionale e coproduttore Carlos Reygadas ma di Reygadas non possiede né la visionarietà né l’ironia. Il risultato è un film irrimediabilmente freddo, vuoto, insistito, che tortura in certa misura lo spettatore, non solo perché lo costringe ad uno spettacolo senza sconti, rigorosamente in tempo reale, ma soprattutto perché non sa far altro che rincarare la dose della stessa minestra di orrore e disgrazia. L’accumulo, sempre più prevedibile, di conseguenze nefaste ai danni dei personaggi principali, con l’aggiunta di un paio di spietate incursioni sugli animali, anziché servire la causa del film, ne mina progressivamente la credibilità e la forza. Mentre i ragazzini spiaggiati sul divano guardano con gli stessi occhi e partecipano allo stesso modo delle immagini dei videogiochi “beat ’em up” e dei colpi reali inferti nel loro salotto, Escalante ci chiede di credere al suo film di fiction come ad una reale denuncia del cuore nero del Messico rurale, della corruzione della polizia e del caos che regola i rapporti umani e famigliari, ma la narrazione non è abbastanza vitale e pulsante per spingerci a farlo. La soluzione finale, poi, prevede una modalità di riscatto che lascia persino ideologicamente perplessi.
Frank Moses è un ex agente della CIA in pensione, che vive in una villetta uguale alle altre cercando di fare una vita uguale alle altre. Purtroppo per lui e per Sarah, la ragazza ingenua e sognatrice che ha conosciuto al telefono, i segreti di stato in possesso di Frank lo hanno trasformato da strumento di morte a bersaglio dell’Intelligence: qualcuno da eliminare e in fretta. Inizia così quella che può apparire come la fuga di Frank Moses ma altro non è che il giro di reclutamento dei vecchi compagni: il vecchio Joe, il folle Marvin, il russo Ivan, lady Victoria, dopo di che la canna della pistola compie un giro di 180 gradi e la fuga si fa vendetta, la diaspora riunione, la pensione una nuova missione. Tratto dal breve fumetto DC Comics scritto da Warren Ellis e illustrato da Cully Hammer, Red è stato completamente reinventato nella sceneggiatura dei fratelli Hoeber, responsabili dell’inserimento dei compagni di ventura del protagonista e del tono divertito e alleggerito del film. Non è, infatti, come uno dei più significativi adattamenti da un fumetto che si fa apprezzare e ricordare questo film, ma piuttosto come una riuscita composizione di quadri, personaggi e situazioni provenienti da spezzoni di pellicole diverse e originalmente e gradevolmente assemblati. I film come materiali di partenza e il racconto come risultato, dunque, anziché viceversa. Ecco allora che nel bel prologo con Bruce Willis, ex supereroe in vestaglia, che prende a pugni il sacco dopo colazione, non c’è solo l’eco del suo Butch in Pulp Fiction (il pugile, la colazione, il mitra) ma c’è anche mister Incredibile e Léon (la piantina), mentre arrivati alla scena del ricevimento di gala, vien da chiedersi quando ci siamo già stati, se in un episodio cinematografico della saga di Danny Ocean o in uno televisivo di Alias. Eppure non sono citazioni soffocanti, forse non sono neppure citazioni, e c’è spazio per molto altro, compreso il sublime personaggio di John Malkovich, un panzone paranoico con un maialino di peluche sotto braccio dal quale estrarrà l’arma con cui umiliare una signorotta col bazooka, in una sequenza emblematica dell’operazione nel suo insieme, quanto a connubio tra ironia e spettacolarità. Ma Willis e Malkovich non sono i soli a portare un valore aggiunto al proprio ruolo: a loro modo lo fanno anche “la regina” Helen Mirren, con il richiamo sornione alla passione tutta inglese per il giardinaggio, e Brian Cox, con la trilogia di Bourne nel curriculum. In assoluto, oltre a qualche buona battuta e a qualche ambientazione più originale del solito, è essenzialmente a quest’alchimia tra attore e personaggio che si deve il piacere della visione. Da segnalare, in coda, un motivo di interesse anche nella figura di Sarah che, nel campionario dei caratteri femminili cinematografici, si può ascrivere come appartenente alla categoria della “palla al piede”. Con i romanzetti rosa in testa e le manette alle mani (quando non la pistola alla tempia), pretende ed ottiene di essere portata in prima linea e salvata ogni volta, contribuendo a fare del consenziente Bruce Willis un gentleman come pochi altri.
Pirati dei Caraibi (Pirates of the Caribbean) è una saga cinematografica della Disney prodotta da Jerry Bruckheimer basata sull’omonima attrazione dei parchi Walt Disney. La saga è composta da cinque film e si è espansa in fumetti, romanzi e altri media. La saga ha come protagonista il pirata Jack Sparrow, interpretato da Johnny Depp, e ha incassato complessivamente quattro miliardi e mezzo di dollari al box-office.
Scream è un media franchiseslasher creato da Wes Craven, composto da sei film e una serie televisiva. È ispirata liberamente agli omicidi operati da Danny Rolling nel 1990. Nei film, la trama principale è incentrata su un serial killer psicopatico travestito con un costume di Halloween che cerca di uccidere Sidney Prescott (Neve Campbell) e le persone che fanno parte della sua vita. Ciascun film inizia con un omicidio o un’aggressione, per poi svilupparsi fino alla rivelazione dell’identità del killer e al suo scontro finale con Sidney.
La saga ha rilanciato i film di genere slasher negli anni novanta, in modo simile a quanto fece Halloween – La notte delle streghe negli anni settanta, fondendo scene di violenza e tensione con elementi comici. Il primo film ottenne un grande successo commerciale al momento della sua pubblicazione, divenendo uno dei film con le vendite maggiori del 1996.
Capitale europea della cultura 2012, la città portoghese di Guimarães è celebrata da quattro episodi diretti da altrettanti cineasti: in Uomo taverna, il finlandese Kaurismäki racconta di un oste, nel vecchio centro della città, che tira avanti tra generosi bicchieri di vino e solitudine; in Dolce esorcista, il portoghese Costa segue un vecchio a colloquio col suo doloroso passato di reduce; in Finestre rotte – Prove per un film in Portogallo, lo spagnolo Erice affronta il tema del lavoro attraverso le testimonianze degli ex operai di quella che è stata la più grande industria tessile d’Europa; in Il conquistatore conquistato, il portoghese De Oliveira mostra una flotta di turisti, con a capo una guida, fare visita alla statua di Alfonso Henriques, primo re del Portogallo.
Nick e Chris sono militari che, tra una missione e l’altra in Medio Oriente, trafugano reperti archeologici per denaro. Finché incappano nella tomba egizia sbagliata e fanno tornare in vita la principessa Ahmanet, sepolta viva per la sua amicizia con il dio del male Seth. La principessa vuole far rivivere Seth, servendosi del corpo di Nick e schierando un esercito di mummie/zombie. Ma si mette in mezzo anche una squadra, la Prodigium, capitanata dal Dottor Jekyll (quello famoso, che diventa Mr. Hyde). Monster Movie della Universal che inaugura il progetto Dark Universe, una serie di film interconnessi che avranno come protagonisti la moglie di Frankenstein, il Mostro della Laguna Nera, Van Helsing, l’Uomo invisibile e l’Uomo lupo. Produttore di successo al 2° lungometraggio come regista, Kurtzman rimaneggia senza prendersi sul serio, il classico del ’32 e lo riambienta ai nostri giorni, tra Iraq e Londra, in stile supereroistico, con tanti spettacolari colpi di scena per un’atmosfera duellante che non sa scegliere tra il macabro e il fantastico. Cruise sembra di gomma e corre molto.
Ventura, manovale in pensione, è un immigrato capoverdiano alla periferia di Lisbona. In un eterno presente successivo al rovesciamento della dittatura di Salazar, il protagonista vaga in un ospedale che è anche prigione e fabbrica, solo o in dialogo con voci e presenze; come quella dell’amico Joaquim, ferito dallo stesso Ventura in un conflitto armato, e della moglie Vitalina, che ne piange la scomparsa. All’indomani della Rivoluzione dei Garofani, nella primavera del ’74, i trapiantati a Lisbona, molti dei quali erano uomini in fuga dalla povertà delle ex colonie portoghesi in Africa, videro presto deluse le loro speranze in un futuro migliore. Soltanto intorno alla metà degli anni novanta lo Stato iniziò a interessarsi alla causa, facendo edificare senza criterio nuovi alloggi a Casal da Boba, dove gli emigrati sono confinati tutt’oggi in condizioni disagiate. Prima di quel momento vivevano accampati a Fontainhas, la baraccopoli multietnica dove Pedro Costa ha girato Ossos (1997), No Quarto da Vanda (2000), e Juventude em marcha (2006), di cui quest’opera è in un certo senso la prosecuzione.
The Strange Thing About the Johnsons è un cortometraggio del 2011 scritto e diretto da Ari Aster, al suo esordio alla regia.
Lo scrittore Sidney Johnson sorprende involontariamente suo figlio di dodici anni, Isaiah, intento a masturbarsi.Imbarazzato, si scusa e lo rassicura dicendogli che è una cosa del tutto normale, ignorando il fatto che il ragazzino si stesse masturbando su una sua foto.
Non aggiungo altro per non fare spoiler (Ipersphera)
Atlanta, Georgia. Richard Jewell è un trentenne sovrappeso che vive ancora con la mamma e si considera un tutore della legge, ma in realtà svolge per lo più lavoretti di sorveglianza. Richard considera sua missione proteggere gli altri ad ogni costo: dunque, durante gli eventi che precedono le Olimpiadi del 1996, è il primo a dare l’allarme quando vede uno zaino sospetto abbandonato sotto una panchina. Questo fa sì che l’attentato dinamitardo del 27 luglio al Centennial Olympic Park abbia esiti po’ meno tragici di quelli previsti dall’attentatore, e Richard diventa l’eroe che aveva sempre sognato di essere: ma la sua celebrità istantanea non tarderà a rivoltarglisi contro e a farlo precipitare dal sogno all’incubo.
In una zona desertica del Nevada, abitata da un gruppo di devianti ed emarginati, giganteschi vermoni ciechi ma dall’udito sensibilissimo emergono dal sottosuolo e riducono in poltiglia ogni essere vivente. Nella prima parte si alternano con sagacia la suspense e il colore locale, l’incubo con la gaiezza e gli effetti speciali sono eccellenti. Poi la corda si sfilaccia e subentra il già visto. Seguito da Tremors II , uscito direttamente in home video.
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