Brevi episodi, intervallati da pause buie, per questo film senza montaggio, lento e affascinante, che racconta le avventure di Willie, ex profugo ungherese perfettamente integrato in un’America che non ha nulla di magico. A scombussolare la sua vita, tranquillamente scandita da una cronica mancanza di denaro, alla quale cerca di porre rimedio con il gioco d’azzardo, ci penserà una sconosciuta cugina, che gli piomba in casa all’improvviso.
Siamo durante la seconda guerra mondiale, alle prese con la costruzione della bomba atomica da parte di un gruppo di ricercatori, fra i quali il celeberrimo Robert Oppenheimer. Leslie Groves è il generale che conduce l’operazione denominata Progetto Manhattan. Dal regista di Mission e Urla del silenzio,un film un po’ prolisso anche se in parte risulta interessante. Controllata l’interpretazione di Paul Newman.
Nel 1985, Steve Spielberg e altri fortunati cineasti della sua generazione resuscitarono la vecchia serie fantascientifica che li aveva fatti strabiliare nella loro adolescenza. I primi due episodi portarono la firma del master of horror Wes Craven.
Un critico musicale russo, in Italia per ricostruire un episodio della vita del musicista russo Pavel Sasnowskj, incontra a Bagni Vignoni, una località termale presso Siena, un singolare personaggio, chiamato “il matto”, il quale afferma che per pacificare il mondo è necessario attraversare con una candela accesa la piscina di Santa Caterina. Dopo un soggiorno a Roma, dove il matto si dà fuoco in Campidoglio, il critico compie la traversata della piscina con la candela, ma muore d’infarto per l’immane fatica. Ancora un film sul tema, ossessivo per Tarkovskij, del “sacrificio” che è necessario per raggiungere la pace.
Da un romanzo di Dominique Roulet. In una cittadina francese una serie di delitti potrebbe essere collegata a un affare immobiliare. Il principale indiziato è un postino (Belvaux). Da Parigi arriva il cinico ispettore di polizia Lavardin (Poiret). È un giallo dove contano i personaggi più dell’intreccio e l’atmosfera della provincia più dei personaggi. La carne di questo “pollo all’agro” è appena discreta, ma Chabrol lo cucina con la consueta perizia. Poiret eccellente: ancora con la regia di Chabrol tornò in L’ispettore Lavardin (1986).
Megan Turner, appena arruolata nella polizia di New York, si trova di fronte a un evento che le cambierà la vita. Al suo primo turno di pattuglia notturna vede un rapinatore armato di pistola in azione alla cassa di un supermarket. Megan gli intima di gettare l’arma e poi, dinanzi alla reazione violenta dell’uomo, lo uccide. La pistola del rapinatore è però intanto finita a terra e un cliente del supermarket, non visto, se ne impadronisce. Megan viene temporaneamente sospesa dal servizio per eccesso di difesa e incontra Eugene Hunt, un operatore di Borsa, che è proprio colui che aveva rubato la pistola. Eugene, mentre cerca di sedurla, ha avviato un’attività di serial killer utilizzando proiettili su cui ha inciso il nome “Megan Turner”. Il ‘gioco’ di Hunt proseguirà fino al punto di rivelare alla donna il suo comportamento e,al contempo, impedendole qualsiasi azione perché mancano prove a suo carico. Su Megan e su chi le sta vicino incombe ormai il rischio di morire. Dopo la realtà liminare dei ‘non morti’ erranti di Il buio si avvicina Kathryn Bigelow passa ad esplorare quella di un molto più realistico ‘vampiro’ metropolitano. Una persona ‘normale’ come l’agente di Borsa Eugene Hunt che, dinanzi alla possibilità inattesa data dal possesso di un’arma, sente scatenare in sé le pulsioni omicide covate probabilmente da sempre. Ma questo alla Bigelow non è sufficiente. Ha bisogno di metterlo a confronto con qualcuno (una donna) che ha fortemente ‘voluto’ essere dalla parte della Legge per superare traumi che la sua famiglia ancora vive dolorosamente (suo padre percuote la madre che non si ribella). L’attrazione tra Megan e Eugene è forte. L’uno la desidera sadicamente, l’altra non ha superato quell”ingenuità’ che nella splendida sequenza iniziale le ha fatto mettere a repentaglio la vita. È un mondo in cui nulla è come appare quello che interessa alla regista. Un mondo che finisce con il coincidere con l’ambiguità del reale che, proprio in quanto tale, merita di essere esplorata e narrata.
Fox, un agente di borsa desideroso di far carriera, ottiene il denaro di Gekko, potente finanziere, per speculazioni borsistiche. Resosi conto che Gekko si sta servendo di lui per loschi traffici, lo smaschera. Non è una critica del capitalismo in quanto tale, ma del capitalismo cattivo e dei suoi eccessi speculativi. A livello descrittivo ha, specialmente nella 1ª parte, grinta, forza, ritmo. Si sente che Stone parla di quel che conosce bene: il film è dedicato alla memoria del padre, agente di borsa. Oscar per Douglas nell’anno dell’ Ultimo imperatore.
Il poliziotto Azuma (Kitano) della Squadra Omicidi è un duro: indisciplinato verso i superiori, rude con le reclute che scozzona senza seguire il regolamento, poco rispettoso delle forme nel praticare il mestiere.Quando scopre che un superiore ha le mani in pasta nel traffico di droga, dà fuori di testa. Dalla sceneggiatura di un poliziesco come tanti, Kitano, al suo esordio di regista, cava un film anomalo, stilisticamente eccitante sino alla provocazione, imperniato su una figura di “perdente”, che viola una delle regole principali del codice hollywoodiano del cinema d’azione. Non aveva tutti i torti Variety a definirlo: “Il tempo lento e l’aspetto arty lo rendono adatto agli appuntamenti con i festival”.
Harry e Moe, uno italo-americano, l’altro ebreo-italiano, due criminali di piccolo calibro, vivacchiano alle dipendenze di un boss che li usa come cavie (assaggiano i cibi o avviano il motore dell’auto per proteggerlo da eventuale omicidio) e sognano di avere un ristorante. Un giorno scappano con l’ingente somma che dovevano puntare, per il capo, su un altro cavallo. Ne vedranno di tutti i colori ma poi riusciranno a recuperare i fondi per il loro ristorante.
Raccolto da un galeone spagnolo dopo un naufragio, il temibile pirata Capitan Red scopre che sulla nave c’è un prezioso trono azteco. Con l’aiuto del suo mozzo, Ranocchio, decide di impossessarsene. Tornato alla regia dopo un’assenza di 8 anni, Polanski ha cucito un film divertente, simpatico e sardonicamente irrispettoso, senza abusi di effetti speciali né tendenze al gigantismo hollywoodiano, ma con un nucleo centrale irrisolto, una opacità di fondo che probabilmente dipende dall’incapacità di Polanski di adeguarsi allo spirito e ai ritmi della commedia, se non volgendoli al grottesco.
Nove anni dopo il fallimento della missione americana del Discovery (2001: Odissea nello spazio di Kubrick) parte per Giove una missione di sovietici e americani a bordo dell’astronave Leonov per ritrovare il Discovery e il misterioso monolite che racchiude i misteri del cosmo. Gli scienziati scoprono che la missione era fallita perché lo stesso computer era andato in tilt quando si era messo in contatto con il monolite. Intanto dalla Terra ricevono l’ordine di separarsi perché sta per scoppiare una terza guerra mondiale, ma prima i russi e gli americani assistono ad un’immane deflagrazione che distrugge Giove e fa nascere un nuovo sole.
In vacanza dal nonno[1] (冬冬的假期S, Dōng dōng de jiàqīP) è un film del 1984 diretto dal regista Hou Hsiao-Hsien.
Mentre la mamma è in ospedale, la giovane Dongdong e il fratellino passano un’estate dal nonno, osservando l’incomprensibile mondo degli adulti e le malefatte di un cugino che mette incinta una ragazza ed è amico di due rapinatori. Dopo I ragazzi di Feng Kuei, Hou prosegue il suo scavo nella memoria, affidandosi a un romanzo della sceneggiatrice Chu Tien-wen.
A time to live, a time to die (童年往事S, Tóngnián wǎngshìP) è un film del 1985 diretto dal regista Hou Hsiao-Hsien.
Taiwan, anni ’50 e ’60 del Novecento; Ah Hsiao, detto Ah Ha, cresce con i tre fratelli e la sorella nell’isola dove il padre (Tien) si è trasferito dalla Cina. La nonna sogna sempre di tornare in patria, il padre muore presto, poi toccherà anche alla madre e alla stessa nonna. Attingendo dichiaratamente all’autobiografia (il regista firma la sceneggiatura con Chu Tien-wen), Hou racconta un’infanzia e un’adolescenza come tante altre, in cui la storia di Taiwan scorre in modo solo apparentemente indolore. Una giovinezza punteggiata da bravate, lotte tra bande, innamoramenti platonici e momenti di tenerezza, segnata irrimediabilmente da tre morti che appaiono man mano più inaspettate, ma anche accettate sempre più fatalisticamente.
Dust in the wind (戀戀風塵S, Liàn liàn fēng chénP) è un film taiwanese del 1986 del regista Hou Hsiao-hsien .Il film è co-sceneggiato da Wu Nien-jen, ispirato dalla sua stessa esperienza. È la parte finale della prima trilogia che contiene In vacanza dal nonno (1984) e A Time to Live, a Time to Die (1985).
Amici d’infanzia e fidanzati, i giovani A-Yuan e A-Yun lasciano la campagna per cercare lavoro a Taipei. Ma la grande città li separa, e quando A-Yuan parte per il servizio militare, A-Yun sposa un altro. Storia semplice sul passaggio dall’adolescenza alla maturità, ma costruita con attenzione attorno ad alcuni temi: il cibo, il consumo di immagini( frequenti le scene nei cinema di Taipei e in quelle all’aperto del paese), la separazione (A-Yuan che prima dona ad alcuni profughi cinesi l’accendino regalatogli da suo padre, e poi perde la fidanzata). Ritratto di personaggi ingenui e complessi, troppo giovani ma gia adulti, interpretati da attori non professionisti.
Un killer psicopatico uccide le donne e poi le scalpa. Poi agghinda un gruppo di manichini nascosti in casa sua con parrucche ricavate dalle chiome delle sue vittime. Sta per fare la stessa cosa con una fotografa di moda, quando va completamente in tilt, credendo di vedere, nelle sue allucinazioni, i manichini che si animano e lo aggrediscono.
In occasione di un congresso medico gli americani Sondra e Richard ritornano a Parigi e festeggiano vent’anni di matrimonio. La donna sparisce. Il marito inizia una disperata ricerca. Il miglior film francese dell’anno, secondo un sarcastico critico parigino. Come altri Polanski, questo thriller raffreddato e sotto le righe comunica una forte impressione di solitudine. Una volta tanto, l’accostamento a Hitchcock è legittimo: la situazione del protagonista, uomo comune incastrato per caso in un intrigo criminoso; il clima inquietante creato con piccoli tocchi e risultati di una suspense psicologica e ambientale, non mai meccanica; la sequenza sul tetto col tema della vertigine; la spoletta che è il McGuffin (il pretesto) dell’incubo. Ricco di una lunga esperienza parigina, Polanski mette qualche veleno nella descrizione della sgradevolezza dei francesi.
Michele, giovane regista alle prese con il film La mamma di Freud , detesta i dibattiti, la madre, i coetanei, la psicanalisi, i giochi televisivi e gli aspiranti registi. Il 3° film di Moretti ha un’aureola di successo dimezzato: mezzo Leone d’oro a Venezia, critica divisa, flebile successo di pubblico. Un po’ delirio, un po’ teorema, riuscito a metà, ma ricco di invenzioni e di intelligenza sarcastica.
Negli anni della Grande Depressione la malinconica Cecilia (Farrow) trova evasione dalla sua vita di privazioni (un lavoro in lavanderia e un marito disoccupato e ubriacone) passando pomeriggi interi in un cinema, dove proiettano senza sosta il feuilletton La rosa purpurea del Cairo. Accade che il bel protagonista del “film nel film” (Daniels), colpito dall’assidua presenza della sognante Cecilia e stanco della monotonia del suo ruolo, abbandoni lo schermo per vivere maldestramente con lei una tenera e ironica storia d’amore. Film intelligente, delizioso, malinconico e divertito che solo Woody Allen poteva rendere con tanta grazia e ironia.
People’s Hero is a 1987 Hong Kong thriller film written and directed by Derek Yee and starring Ti Lung. The film was nominated for three Hong Kong Film Awards, where Tony Leung Chiu-wai and Elaine Jin won the Best Supporting Actor and Best Supporting Actress awards respectively, while Ronald Wong was nominated in the former category as well.
Two dangerously incompetent youths Sai and Boney attempt to rob a bank at closing time.Unknown to them experienced criminal Sunny Koo (Ti Lung) also has plans of his own as he attempts one last heist before he flees to the Philippines.
l settimo continente (Der siebente Kontinent) è un film del 1989 scritto e diretto da Michael Haneke. È il suo debutto nel cinema, dopo alcuni film realizzati per la tv. È inoltre il primo capitolo della Trilogia della glaciazione, che comprende anche Benny’s Video e 71 frammenti di una cronologia del caso.
Diviso in tre parti (1987, 1988 e 1989) narra le vicissitudini di una famiglia borghese: Anna (la madre), Georg (il padre) ed Eva (la figlia). Le prime due parti raffigurano giorno per giorno la loro vita e le loro attività quotidiane, concentrandosi sugli aspetti più banali. Ogni giorno il tempo viene scandito da azioni ripetitive (la sveglia, il viavai sempre uguale dei componenti della famiglia). Progressivamente si inizia a scorgere un malessere diffuso nella casa e tra i familiari, un malessere che mai viene esplicitato o spiegato: Eva finge senza alcun motivo apparente di aver perso la vista, cene silenziose cariche di angoscia e tensione, Anna che scoppia a piangere improvvisamente nell’auto mentre questa viene trasportata nel macchinario dell’autolavaggio.
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