Nel 1974 una comunità spiritualista, retta da un fanatico guru, si autodistrugge in un suicidio collettivo (tutti i membri si danno fuoco compreso il guru). Quattordici anni dopo, l’unica superstite esce dallo stato di coma profondo e viene affidata alle cure di uno psichiatra. Ma nella clinica che la ospita, i malati vengono presi dalla mania suicida. La superstite vive sotto il terrore che il guru sia tornato.
Il congegno per rimpicciolire gli oggetti sfugge al controllo di un inventore genialoide quanto pasticcione e i primi a essere ridotti a proporzioni minime sono i figli dello svagato papà e i loro amici. Inutile cercarli: essi vagano in groppa a una formica e un’ape li spaventa come fosse un mostruoso jet. Ritorneranno alla normalità dopo un sequela ininterrotta di avventure in cui la realtà è stravolta dall’ottica lillipuziana e da accurati effetti speciali.
Tre adolescenti video-dipendenti e computerizzati costruiscono un improbabile veicolo spaziale e vengono risucchiati da un’astronave carica di mostriciattoli verdi che, a parte l’aspetto, sono tali e quali agli explorers terrestri: petulanti, teledipendenti e contestatori.
Robert Redford è il direttore di un carcere. Bel carcere: è in mano a un gruppo di galeotti privilegiati che taglieggiano gli altri. Gli impiegati rubano, i secondini, poi, sono emeriti assassini. Redford scopre le tracce di almeno duecento omicidi commessi all’interno della prigione. Ma non riesce a farla pagare ai responsabili. Il senatore dello Stato l’ha preso in antipatia, chiede e ottiene le sue dimissioni. Buon film drammatico, con un Redford in forma e una schiera di caratteristi eccezionali.
In una zona della North Carolina, mentre la Terra entra in congiunzione con una cometa, tutti i mezzi meccanici impazziscono. Otto persone si trovano chiuse in una stazione di servizio, assediate da decine di autotreni. Sino al 1990 sono stati 18 i film tratti da romanzi o racconti di Stephen King, campione della narrativa fantastica made in USA. Questo è l’unico che ha diretto personalmente e non è uno dei migliori. Anzi. “Ora la mia curiosità è appagata. Per parecchi anni non ci penserò più. Ora so che è veramente difficile” (S. King).
La dottoressa Lillian Reynolds (Louise Fletcher), alla testa di un gruppo di ricercatori, ha ideato un sistema computerizzato in grado di leggere l’attività cerebrale e registrare su nastro le emozioni, le idee, i pensieri, le sensazioni di un individuo. La possibilità di sperimentare, rivivendole, le esperienze altrui apre incredibili prospettive alla creatività umana e può rinsaldare equilibri psicologici compromessi: grazie ad essa, ad esempio, il dottor Michael Brace (Christopher Walken)e sua moglie Karen (Natalie Wood) – entrambi dell’equipe della Reynolds – hanno recuperato un matrimonio che sembrava definitivamente in crisi. Il progetto, portato a termine per conto di una grossa industria, ha subito destato l’interesse di alcuni settori dei servizi segreti, che pensano ad un suo impiego in campo politico e militare, e fanno pressioni affinché venga ceduto loro. La dottoressa Reynolds è colpita da infarto mentre è collegata alla macchina, e Michael, pur consapevole di andare incontro ad una esperienza drammatica e molto pericolosa, tenta in tutti i modi di visionare il nastro che ha registrato la morte della collega. Allontanato dai laboratori, riesce avventurosamente a mettersi in contatto con il calcolatore e a vanificare l’illecita strumentalizzazione della rivoluzionaria scoperta. Brainstorm è uno di quei film che con il tempo andrebbero rivalutati, non tanto per la traccia narrativa quanto per l’originalità dell’idea e la ingegnosità delle soluzioni cinematografiche proposte. Esperto nelle teniche degli effetti speciali, Douglas Trumbull fu tra i primi a comprendere le eccezionali possibilità della computer graphic e la storia che egli racconta anticipa singolarmente la riflessione su una realtà “virtuale” parallela a quella “oggettiva” che dai contemporanei Tron e Dreamscape (altri due film poco fortunati) conduce ai più recenti Tagliaerbe, Strange Days, Matrix. L’ipotesi che Trumbull avanza è quella di un avveniristico intreccio di esperienze esistenziali (comportamento sessuale, riflessione etica, accettazione della vita e della morte) che sollecita l’uomo a nuovi modelli culturali. Un film, dunque, da gustare con il senno di poi, preferibilmente sul grande schermo dove è più facile apprezzare i trucchi pensati appositamente per una pellicola a 70 mm. Accolto tiepidamente al momento della sua uscita, il film fu funestato dalla tragica scomparsa di Natalie Wood durante la lavorazione
Piantato dalla ragazza che gli ha preferito il suo migliore amico, il ventenne Alex, aspirante regista, incontra la bella Mireille, altrettanto disillusa e sconfortata nei confronti del mondo a causa della rottura con il fidanzato. Più incline a vivere di notte che di giorno, Alex assapora la quieta disperazione della propria giovinezza, spostandosi in una Parigi di anonime caffetterie, singolari feste per anniversari di morte e cieli stellati Di esplosivo impatto all’epoca della sua uscita, è l’esordio dietro alla macchina da presa del poco più che ventenne Léos Carax, immediatamente entrato nel pantheon degli autori per una cifra particolarissima in equilibrio tra vecchio e nuovo, romanticismo perdente e avanguardia americana, realismo poetico e un segno grafico imparentato con l’estetica del fumetto. Misterioso, folgorante, ma anche noioso e esasperante, Boy Meets Girl va preso per quella capacità, davvero fuori dal normale, di raccontare il baratro sopra al quale prende forma la giovinezza di ognuno: l’amore per il cinema (il muto soprattutto), per la poesia o per una città, Parigi, che sembra ugualmente fatta di celluloide si imprimono in ogni immagine di questo film certamente intellettualistico, ma sempre autentico.
Un complessato venditore a domicilio di enciclopedie, scambiato da una collega carina per un uomo di mondo, si infila in un carosello di equivoci. C’è più talco che acido borico in questa commedia che fa sorridere più che ridere; una Giorgi birichina e grintosa; un’ottima caratterizzazione di Infanti, cialtrone e malinconico. Verdone non stinge. Musica di Lucio Dalla, vero deus ex machina della storia. David di Donatello a Infanti, attore non protagonista.
Un film di Pasquale Festa Campanile. Con Adriano Celentano, Felice Andreasi, Carole Bouquet, Enzo Robutti.Commedia, Ratings: Kids+13, durata 105 min. – Italia 1982. MYMONETRO Bingo Bongo valutazione media: 2,53 su 9 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Spedizione scientifica trova giovanotto-scimmia (da bambino superstite di un disastro aereo cresciuto con le scimmie) e lo affida ad una bella antropologa. Bingo Bongo, questo il suo nome, riuscirà a diventare “umano” grazie all’amore della sua dottoressa. Celentano “superstar” ci prova con la favoletta ecologica e, come sempre, ha successo.
3° film ispirato al popolare personaggio di Giulio Cesare Croce (1550-1609), il villano (scarpe grosse e cervello fino) che, alla corte di re Alboino, dà lezione e rischia la vita. Come spasso, è modesto. Come moralità, è innocuo, senza grinta né irriverenza. Come favola, non ha scatti né voli nell’immaginario. Brancaleone è lontano. La recitazione, un minestrone di dialetti. Lello Arena è il migliore.
Un carro armato sovietico, dopo aver distrutto un villaggio dell’Afghanistan, imbocca una valle senza uscita. Un pugno di guerriglieri afghani si organizza e si lancia alla caccia del carro, da loro chiamato “la belva”. Notevole film d’azione, che conferma il talento di Kevin Reynolds, il regista di Fandango. Da un dramma di William Mastrosimone.
Un terrier bianco di nome Baxter è dato in custodia ad un’anziana signora. Mentre il tempo passa, il cane acquisisce degli atteggiamenti sempre più aggressivi perché vuole essere adottato da qualcun altro.
Il maggiore incasso del 1989 (in America e fuori) è per la verità uno spettacolo ben costruito, ma non eccezionale, dove un dilagante Jack Nicholson nel ruolo di cattivo, mette in secondo (e anche in terzo) piano il protagonista ufficiale. Batman è il miliardario Bruce Wayne che sotto la maschera e la mantellina dell’uomo-pipistrello porta la giustizia nella immaginaria Gotham City. Il suo avversario principale è il Joker, un criminale sfigurato che cerca di far fuori l’intera popolazione di Gotham con un intruglio di sua invenzione.
Una yuppie che per più di vent’anni ha pensato solo al lavoro, si trova inopinatamente affidata a una bambina in tenera età. Il sentimento materno ha il sopravvento sulla smania di successo. La serie è ispirata a un film con Diane Keaton girato un anno prima.
Anno 1919: la giovane e ricca ereditiera Eve Tozer rischia di perdere tutti i suoi beni se non ritrova entro dodici giorni suo padre, del quale non ha più notizie da tre anni. Uno dei soci in affari di suo padre, infatti, vuole far dichiarare la sua morte presunta, così tutto il patrimonio entrerà in suo possesso. Eve cerca un ex asso dell’aviazione della guerra del ’15-’18 e con un paio d’aerei piuttosto malconci, uno pilotato da lei e l’altro dall’aviatore, si lancia sulle tracce del padre…
Un film di Damiano Damiani. Con Burt Young, Rutanya Alda, James Olson Titolo originale Amityville II: The Possession. Drammatico, durata 104′ min. – USA 1982. MYMONETRO Amityville possession valutazione media: 3,11 su 16 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Nella casa maledetta di Amityville va a vivere la famiglia Monelli. Subito le anime dannate s’impossessano di Sonny. In un carosello di effetti, effettini, effettacci, metamorfosi e avanti tutta col sadomaso, c’è solo un’idea carina: quella degli ordini ricevuti attraverso la cuffia stereo. La serie prosegue con Amityville III anche se questo è un prequel
Americani e Russi, nel 2015, sono sbarcati sulla Luna, e vi hanno impiantato numerosi insediamenti, cominciando a sfruttare le risorse minerarie del satellite. E proprio in una miniera russa viene commesso un misterioso omicidio. Il KGB incarica dell’indagine il maggiore Kirilenko (Sands), ma la NASA, considerato che la forza lavoro è costituita in gran parte da personale americano, pretende ed ottiene di affiancargli un suo funzionario, la statuaria Maggie Bartok (Nielsen). Film Tv di discreta fattura, girato – sia pure con le limitazioni proprie dello spettacolo pensato per il piccolo schermo – con ammirevole cura del dettaglio ed attenzione ai particolari. La sceneggiatura mostra invece qualche debolezza, trovando facile rifugio nello scontato coinvolgimento sentimentale tra i protagonisti, comunque bravi. Controcorrente l’assegnazione dei ruoli, con l’inglesissimo Sands (che sarà qualche anno più tardi il Fantasma dell’Opera di Dario Argento) chiamato a fare il sovietico e l’algida Nielsen, russa nell’immaginario collettivo dai tempi di Rocky, che “fa l’americana”. Titolo alternativo: Murder on the Moon. Distribuito come Assassìnio Lunar nei paesi di lingua spagnola e come Tödliche Galaxie in Germania.
Avventura e commedia si sovrappongono in questo film di produzione australiana che ha decretato il successo di un nuovo (ma non tanto giovane) divo, Paul Hogan, che interpreta Mr. Crocodile (Mick Dundee), un selvaggio e simpatico cacciatore di coccodrilli. Siamo in Australia, una giovane giornalista newyorkese giunge nella savana per conoscere il cacciatore di cui ha sentito parlare per fare un servizio per il suo giornale. Il genuino cacciatore non finisce mai di stupirla e lei, dopo un viaggio ricco di sorprese, se lo porta a New York. Qui, Dundee continua a vivere nella metropoli come viveva nelle savane creando una serie di divertenti incidenti.
Il “selvaggio” Mick Crocodile Dundee, dopo aver lasciato l’Australia, suo paese natale, si è trasferito con Sue Charlton, un’intraprendente reporter, a New York. Qui si è fatto molti amici ed è divenuto assai popolare. Improvvisamente Mick e Sue vengono perseguitati da Rico, un boliviano, boss della cocaina, e dai suoi scagnozzi, poiché l’ex marito di Sue, dopo essere riuscito a fotografare in Colombia il covo dei trafficanti, prima di essere ucciso era riuscito a spedire alla donna tali fotografie. La banda sequestra Sue in piena strada e la conduce nella villa del boss.
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