Un capitano della polizia sovietica dà la caccia in America a uno spacciatore di droga russo. Costui, arrestato a Chicago per un reato minore, viene consegnato a Danko (Schwarzenegger) ma fugge con l’aiuto dei suoi complici. Danko deve rimettersi al lavoro, in coppia con un volonteroso agente americano.
Un film di John R. Cherry III. Con Jim Paolo, Oliver Clark, Douglas Sales Titolo originale Ernest Saves Christmas. Commedia, durata 95 min. – USA 1988. MYMONETRO Ernesto salva il Natale valutazione media: 2,00 su 1 recensione.
Ernest deve aiutare Santa Claus ad avere un successore altrimenti non esisterà più il Natale.
Il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse nel 1978, nonché l’atmosfera cupa e tesa di quegli anni, sono rappresentati nel film con rigore formale e senza alcun compiacimento. Ne esce un robusto film-cronaca, costruito con lucidità e fermezza, degno di attenzione e di riflessione. Nel ruolo principale Volonté è encomiabile per misura e aderenza al personaggio dello statista.
Alcuni tra i maggiori autori e filosofi dell’antica Grecia – da Socrate ad Aristofane, da Febo a Pausania – disquisiscono sul dio Amore. Il film è ispirato al Simposio di Platone. Un film misconosciuto di Marco Ferreri, prodotto da France 3.
Alice è una bambina che immagina di lanciare sassi sulla riva di un fiume ma che, in realtà, vive in vecchio condominio circondata da bambole decrepite, cianfrusaglie scrostate ed animali imbalsamati. Quando un coniglio impagliato, all’improvviso, si anima fuggendo dalla teca di vetro nella quale era rinchiuso, Alice lo insegue a perdifiato, non esitando ad infilarsi all’interno del cassetto di una scrivania pur di raggiungerlo. Comincia così quest’opera monumentale del maestro Jan Svankmajer, forse l’ultimo vero surrealista ancora vivente in Europa, purtroppo ancora troppo poco conosciuto dal grande pubblico.
Quando un maestro di spada osserva come la sua lama è esclusivamente portatrice di miseria e spargimento di sangue, decide di allontanarsi completamente dalle pressioni del mondo delle arti marziali. La sua fama, però, non permette al grande guerriero di riposare: presto un giovane spadaccino sembra voler sfidare il leggendario combattente. Tuttavia, questa nuova sfida porta l’uomo ad affrontare il partner della sua vecchia fidanzata.
I subita sono stati tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni
Vedova con tre figli sfollata in campagna ospita aviatore americano. Tra i due nasce un tenero idillio. Avati è un piccolo poeta della vacanza che si muove sulla Carta del Tenero. Contano le sfumature, le annotazioni apparentemente marginali, il pudore dei sentimenti, la sciolta leggerezza dei passaggi narrativi e descrittivi. Cinema anomalo che si sottrae ai modelli italiani, lontano dai canoni della commedia italiana. Esiste un’edizione TV di 180′.
Un film di Semjon Aranovich, Aleksandr Sokurov. Titolo originale Al’tovaya Sonata: Dmitrij Shostakovich. Documentario, durata 80 min. – URSS 1989.
Il talentuoso regista indipendente russo Sokurov firma uno dei suoi primi documentari “a sfondo musicale”. È il turno del grande compositore sovietico Dmitrij Shostakovich (1906-1975), la cui vita viene raccontata, con un pizzico di quella piacevole grazia poetica che è un marchio di fabbrica dell’autore, in continuo contrasto con quello che era il Regime di Stalin. Dall’infanzia a San Pietroburgo, all’amicizia che lo legava agli altri compositori, dall’amore per la sua prima moglie alle difficoltà incontrate per farsi apprezzare dalla critica e dal pubblico, fino agli innumerevoli scontri artistici con la censura russa. Nonostante sia un documentario girato a quattro mani, la componente lirica e particolarmente soggettiva di Sokurov imperversa su tutta la pellicola, così come le note dell’ultima opera di Shostakovich (“Il naso”) e della “Sonata per viola” che dà appunto il titolo all’opera. Ciò che colpisce è la bravura del regista nel delineare la collisione fra un fragile Davide individuale e un mostruoso Golia burocratico e tirannico. Meritevole, anche se qua e là si sbadiglia.
Sotto il titolo originale (“una zeta e due zeri”, crittogramma dai molti significati) c’è una storia – si fa per dire – con Alba che perde una gamba e un figlio in uno scontro in auto con un cigno, incidente in cui muoiono le mogli di due gemelli (già siamesi) etologi, Oswald e Osmund Deuce (i due O, zeri, del titolo inglese) che lavorano nello zoo di Rotterdam. I due diventano prima amanti di Alba, poi “padre” dei suoi nascituri e, infine, suicidi dopo che la donna, amputata anche all’altra gamba, trova l’anima gemella nel signor Arcobaleno, monco in carrozzella. 3° lungometraggio di finzione di Greenaway, secondo il quale “il cinema è troppo importante per lasciarlo fare ai narratori di storie”. Cerebrale sino all’esasperazione e perverso, è basato sul rapporto uomo-animale, sul corpo dei personaggi (sempre a figura intera senza piani ravvicinati) e sulla pittura (Vermeer soprattutto e i fiamminghi del ‘400 come Robert Campin e Jan Van Eyck). Fotografia: Sacha Vierny. Da vedere nell’edizione originale: la traduzione fa svaporare i frequenti giochi linguistici.
Per organizzare una mostra in onore del francese Etienne-Louis Boullée (1728-99), architetto cinquantenne di Chicago soggiorna a Roma per nove mesi: gli va a monte il matrimonio, falliscono le sue ambizioni professionali, va incontro a una tragica morte. 4° film del cineasta britannico più eterodosso e sperimentale degli anni ’80: il più semplice, sanguigno, viscerale dei suoi film, in cui sa coniugare concretezza visiva e astrattezza narrativa sullo sfondo di una Roma come al cinema non s’era mai vista. Una certa artificiosità di fondo riscattata dallo stile, dal graffiante sarcasmo, dalla corposità recitativa di Dennehy, truculento alla Welles.
Durante una sosta in un pianeta sconosciuto un essere s’introduce nella Nostromo , gigantesca astronave da carico, e semina terrore e morte tra i sette membri dell’equipaggio. Sopravvive soltanto la coraggiosa Ripley. È un thriller fantascientifico con componenti di horror e suspense che conta poco per quel che dice, ma che lo dice benissimo, grazie a un apparato scenografico di grande suggestione e a un ritmo narrativo infallibile. La sua chiave tematica è la paura dell’ignoto, perciò pesca nel profondo. Oscar per gli effetti visivi a Carlo Rambaldi, H.R. Giger, Brian Johnson e Nick Allder. Da novembre 2003 è in circolazione una nuova edizione rimasterizzata in digitale curata da R. Scott. Colonna musicale di J. Goldsmith.
L’ordine di visione è come li ho segnati nella cartella Mega.
Un film di Zhang Yimou. Con Gong Li, Wen Jiang Titolo originale Hong Gaoliang. Drammatico, durata 100′ min. – Cina . MYMONETRO Sorgo rosso valutazione media: 3,13 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Giovane povera è costretta a sposare un ricco e anziano distillatore affetto da lebbra. Dopo la morte violenta del marito, si risposa con un lavoratore che si comporta da prode quando negli anni ’30 i giapponesi invadono la Manciuria. Opera prima di un ex operatore e attore, vinse l’Orso d’oro a Berlino ’88. Sinfonia in rosso maggiore, è una saga campestre _ raffinata e insieme ingenua _ in cui la vita contadina ha scarti di violenza e risvolti avventurosi. Dalle prime 2 delle 5 parti del romanzo Hong gaoliang jiazu (1988) di Mo Yan che l’ha sceneggiato. Yimou s’impose a livello internazionale con i successivi Ju Dou, Lanterne rosse e La storia di Qiu Ju.
“Come ci è venuto in mente di allestire uno spettacolo legato alle stragi di Stato? Anche in questo caso siamo stati spinti da una situazione di neccessità. Durante la primavera del ’70 gran parte del pubblico che assisteva ai nostri spettacoli ci sollecitava a scrivere un testo sulla strage di Piazza Fontana e sull’assassinio di Pinelli”
Regia di Satyajit Ray. Un film con Soumitra Chatterjee, Victor Banerjee, Swatilekha Chatterjee, Gopa Aich, Jennifer Kapoor, Manoj Mitra, Indrapramit Roy, Bimala Chatterjee. Titolo originale: Ghare-Baire. Titolo internazionale: THE HOME AND THE WORLD. Genere Drammatico – India, 1984, durata 138 minuti. – MYmonetro 3,00 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.
Uno degli ultimi lavori di Satyajit Ray, Ghare Baire, realizzato nel 1984, fu nominato per la Palma d’Oro al Festival di Cannes. Ray aveva scritto la sceneggiatura negli anni Quaranta, molto prima di quella di Pather Panchali. Forse la ragione è che il tema del romanzo omonimo di Tagore, l’emancipazione delle donne, rappresenta una delle passioni di Ray. Ambientato durante il movimento nazionalista dei primi anni del XX secolo, quando gli Inglesi erano decisi a dividere il Bengali in diversi territori in base alla religione, il film fa appello alla pietà mentre rivela l’ipocrisia di alcuni leader del movimento nazionale. Tutto questo è realizzato attraverso un triangolo amoroso tra un nobile progressista bengalese Nikhil, che cerca di emancipare la moglie Bimala, mentre un leader nazionalista, Sandip, non solo lo sfrutta come un parassita ma seduce persino la sua ingenua consorte. Il risultato è un dramma intenso che non solo non ha perso rilevanza dopo un secolo dalla sua scrittura, ma che continuerà ad essere apprezzato allo stesso modo in futuro.
Un dietro le quinte della vita di alcuni impiegati. In questo microcosmo arriva un ingenuo laureato al primo impiego, Luigi, che a poco a poco si inserisce a modo suo in questo ambiente ipocrita e fatuo. La morte (suicidio o incidente?) del suo più caro amico lo segna profondamente, ma la banca è aperta tutti i giorni. Pupi Avati ha realizzato con finezza uno spaccato della vita dei giovani d’oggi, guidando al meglio, come sempre, i bravi attori.
Da un libro di Patricia Highsmith. Un disegnatore parigino arriva in provincia e fa innamorare una ragazza. Ma la cosa suscita l’ira del fidanzato della giovane, che aggredisce il rivale. Un giorno il fidanzato scompare e la polizia sospetta il parigino di omicidio. Chabrol è sempre bravo, ma fa una fatica dannata a non scivolare in effetti di farsa (con quel protagonista menagramo all’ennesima potenza).
Un bagliore accecante suggerisce che non molto lontano da Hameline, cittadina della California, è esploso un missile a testata nucleare. O più di uno? Non si sa. Hameline rimane tagliata fuori dal resto del mondo. E le radiazioni cominciano a seminare la morte. 1° film (girato per la rete pubblica PBS, e poi distribuito nelle sale) sull’apocalisse atomica diretto da una donna che, invece di puntare sugli aspetti spettacolari della storia (da un racconto di Carol Amen), si dedica ai personaggi. Fra loro spicca quello di Jane Alexander, madre che nella catastrofe perde due dei suoi tre figli. Giustificata la candidatura all’Oscar. Film intimista con la sordina che ebbe la sfortuna di uscire contemporaneamente con The Day After , più effettistico e dunque più pubblicizzato.
Il piccolo figlio di Rachel, una giovane vedova della setta religiosa degli Hamisn, è involontario testimone di un assassinio. L’ispettore John Book si occupa del caso e scopre che l’assassino è un poliziotto corrotto. Book, ferito, si rifugia presso gli Hamisn dove viene curato da Rachel della quale s’innamora, ricambiato. Book si adatta all’austera e tranquilla vita della comunità, ma quando scopre di non essere più al sicuro decide di andarsene. Troppo tardi: gli assassini sono già lì. Ma il coraggio di Book e degli Hamisn che accorrono in aiuto risolvono la situazione. Bellissimo film di Weir ( Pic-nic a Hanging Rock) ricco di suspense e di poesia.
Romano è un uomo che, dopo aver mentito una volta, non può più fermarsi. Quando gli arriva l’occasione in cui la felicità dipende solo dalla sua capacità di aver fiducia nel prossimo, non può farlo e la felicità gli sfugge. È una commedia divertente ma anche commovente, malinconica, ironica. Come dev’essere Čechov. Ammirevole per varietà di toni, ricchezza di invenzioni, direzione di attori. È l’ultimo film della Mangano. Squisita. Premio a Cannes per Mastroianni. Scritto dal regista con Alexander Adabascian (anche scenografo) e S. Cecchi D’Amico.
Venuti a sapere che l’amico Rudy è detenuto in Marocco per droga, quattro milanesi, ultratrentenni ex sessantottini, partono con 30 milioni di lire (nascoste) necessari per il rilascio. Ben diretti tutti gli attori in sintonia con i personaggi, ma banale e folcloristico il rapporto del regista col paesaggio. Film di viaggio sull’amicizia, l’avventura, la fuga verso l’utopia, sostenuto da una sceneggiatura ben congegnata e un po’ ruffiana che prese il premio Solinas, firmata da Carlo Mazzacurati, Umberto Contarello, Vincenzo Monteleone. Musiche: Roberto Ciotti con Lucio Dalla che canta “L’anno che verrà”. Divertente la sequenza sul set abbandonato di un western italo-spagnolo.
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