Durante una serata in terrazza, nella Roma radical-chic, vita pubblica e privata di alcuni personaggi: dallo sceneggiatore in crisi al giornalista, al deputato PCI, all’amico in cerca di lavoro. Commedia all’italiana di esperta fattura nella quale ci si piange un po’ addosso, in modi tipicamente romanocentrici, ma qualche freccia arriva al bersaglio. Non tutto allo stesso livello, ma nell’insieme funziona. Scritto da Scola con Age & Scarpelli. “Sembra e vuole essere una, sia pur sorridente, radiografia della condizione intellettuale e borghese, ma è soltanto un quadretto della condizione pseudointellettuale e sostanzialmente piccoloborghese dell’intellettualità cinematografica” (L. Micchiché).
Alla fine del diciannovesino secolo un giovane ufficiale di cavalleria, distaccato in un piccolo centro del Piemonte, accende una passione divorante nella brutta e malata sorella del colonnello. Per pietà non respinge totalmente la donna, e sarà questo a dare il via alla tragedia.
Ad Arpino (Frosinone) un vecchio esercente idealista resiste alla cessione, e chiusura, del suo cinema Splendor. Sono con lui una matronale collaboratrice e un proiezionista che coltiva l’amore per il cinema come surrogato della realtà. Con Nuovo cinema Paradiso di Tornatore e Via Paradiso di Odorisio, uno dei 3 film italiani del 1988 che lamentano la morte del cinema in sala. Fiacco come amarcord, inattendibile sul piano rievocativo, moscio nell’intreccio degli affetti privati, lamentoso e contraddittorio.
Tornato a Napoli 40 anni dopo esserci stato come soldato, dirigente USA scopre che tutti si ricordano di lui. Per 40 anni Antonio, napoletano verace, ha continuato a scrivere, a suo nome, lettere da tutto il mondo. Nella sua gradevolezza consolatoria, è una commedia fiacca, flebile, di scarso spessore, specialmente nell’edizione parlata in italiano, e non bilingue. Qualche invenzione brillante e finale a sorpresa. Duetto di bravura.
1983. Donne ed uomini entrano separatamente in una sala da ballo della periferia parigina. Hanno inizio le danze precedute dalla ricerca dei partner. Con un flashback si passa al 1936 e nello stesso locale si succederanno persone e situazioni scandite dagli anni (1940/1945/1956/1968) per poi tornare al presente. Scola gira un film che per voglia di sperimentare potrebbe essere paragonato al suo Trevico-Torino … Viaggio nel Fiat-Nam di dieci anni antecedente. Non perché i temi siano gli stessi, ovviamente, ma perché identica è la spinta di ricerca verso un modo di fare cinema che sia innovativo ma non sterile.
Cronaca di una giornata nella vita di un avvocato romano sessantenne in compagnia del figlio che fa il servizio militare a Civitavecchia. Affidato, più che a un intreccio, a una situazione, il film ha un andamento ondivago e un ritmo lasco, nonostante la ricchezza di spunti, sottofondi, scatti d’umore. Sul tema della difficoltà di comunicazione tra due generazioni è un veicolo per 2 prove di attore a confronto, indebolito da un improbabile M. Troisi, troppo anziano e troppo napoletano per la parte. Coppa Volpi ex aequo a Venezia 1989.
Nel 1791 re Luigi XVI e Maria Antonietta fuggono verso Metz per sottrarsi all’imminente giudizio dell’Assemblea Nazionale. Su un’altra diligenza il cronista Restif de la Bretonne viaggia con Tom Paine, americano liberale, e poi con il vecchio Giacomo Casanova. Raggiungono il re a Varennes: è la notte tra il 20 e il 21 giugno. Film Gaumont di alto costo, esempio di cinema europeo di qualità: tema importante, compagnia internazionale di attori famosi, grande spettacolo, messinscena di accademica eleganza, troppa didattica nei dialoghi (Sergio Amidei), un’apprezzabile distanza dalla materia storica e dai personaggi. Forse Scola s’identifica con Casanova, con il suo sguardo lucido e disincantato.
L’8 aprile 1979 il 34enne Wenders fa visita, nella sua casa-laboratorio di Spring Street a New York, al suo amico-maestro-padre Nicholas Ray (1911-16 giugno 1979), divorato da un tumore e vicino alla morte. Circondato da parenti e amici, Nick accetta di vivere gli ultimi giorni davanti alla cinepresa di Wenders, sapendo che cosa metterà fine alle riprese: la propria morte. Film unico nella storia del cinema. Pone molte domande: dove termina in Ray il bisogno di chiudere la propria vita lavorando (e trovando sé stesso prima di morire) e dove comincia il suo esibizionismo? In che misura il film è sconvolgente e quanto è osceno? In che misura Wenders ha sfruttato Ray e quanto è stato da lui sfruttato? “Ma al di là del contratto Wim appare stordito… si è accorto che sta filmando qualcosa mai filmato prima, quello che Proust nelle sue ultime parole aveva chiamato l’immense frivolité des mourants” (B. Bertolucci). Dopo il 1° montaggio di 116 minuti, di Peter Przygodda, con cui il film fu esposto ai Festival di Cannes e di Venezia del 1980, fu interamente rimontato.
In un carcere di massima sicurezza, improvvisamente, guardie e detenuti diventano vittime di un’ondata di violenza che sfocerà in una rivolta. Attraverso i racconti dell’ufficiale David B. Yale e il detenuto Henry Lee Wenzi le autorità competenti chiamate a investigare sugli eventi scopriranno i motivi che hanno reso necessario lo stato di emergenza…
Cinque minorenni sono responsabili di ferimenti, spaccio di droga, incitamento alla prostituzione nei pressi della Lincoln School. Ma sarà il professor Norris, al quale hanno violentato la moglie, ad ucciderli ad uno ad uno. Rifacimento, volutamente infedele, deIl seme della violenza diretto da Richard Brooks nel 1955. Negli anni Cinquanta, il prof. riusciva a tirare dalla sua la parte migliore della scuola. Ventisei anni dopo, non c’è posto per gli idealismi. I teppistelli s’ammazzano e basta, almeno così dice Lester.
A 8 anni da Classe 1984, Mark Lester ci riprova ma a differenza del precedente film dov’era dalla parte del professore che uccideva gli studenti ora fa vedere come è pericoloso usare mezzi drastici nei loro confronti. Il nome della scuola è cambiato da Lincoln a Kennedy, riferimento politico? Fatto sta che il preside, interpretato da McDowell, per aver disciplina chiede aiuto a un costruttore di robot. Una via di mezzo tra Arancia meccanica e Terminator, ma senza avere le qualità dei due modelli.
La storia è incentrata su un gruppo di giovani adulti che rimangono bloccati su un’isola deserta, dove vengono perseguitati da un mostruoso aggressore.
1929, in una città americana dell’Est: un potente e corrotto pezzo da 90 si scontra, a causa di una donna, con il suo amico e consigliere, mentre è in corso una lotta acerrima con un boss della malavita italoamericana. Film violento ma raffreddato, con risvolti di grottesco umorismo, dove l’intreccio tra politica, affari e criminalità organizzata è un dato di fatto quasi scontato, organico e non patologico. Non c’è un solo personaggio positivo, e ciascuno ha il suo lato debole. Il crocevia di Miller nel titolo rimanda al bosco che è il luogo della messa a morte, ma anche al fascino tortuoso di una messa in scena dove tutto – dalla fotografia di Barry Sonnenfeld, futuro regista, alle musiche irlandesi di Carter Burwell – concorre a un esito di alta coerenza stilistica. Se non il migliore, è il più armonioso e compatto dei fratelli Joel e Ethan Coen. Apparizione di Sam Raimi – abbattuto a colpi di mitra – e comparsa non accreditata – una segretaria – di Frances McDormand, futuro Oscar per Fargo .
Protagonista della dolorosa vicenda è un ragazzo di sedici anni, originario della Bielorussia, che vive la seconda guerra mondiale con lo strazio di un’adolescenza sprecata e la ferma convinzione che chi uccide deve pagare, perché nessuno ha il diritto di togliere la vita a un altro essere umano. Buon film russo girato sul nascere della Perestrojka.
Un giovanotto apre una porta proibita e si trova nel gorgo di un mondo bizzarro (violenza, droga, sadomasochismo, depravazione) dove ciascuno è succubo di qualcun altro. Il regno del Male? Torbido, insolito, affascinante film che conferma la predilezione visionaria di Lynch per l’immaginario perverso, l’anormale e il mostruoso che si cela sotto la superficie dell’America odierna. Memorabile Hopper, ma Stockwell non gli è da meno.
Parigi, 1942. Marion Steiner, celebre attrice, gestisce il teatro Montmartre per conto del marito Lucas, capocomico ebreo, ricercato dai nazisti, che vive nascosto in uno scantinato del teatro, e mette in scena La scomparsa, dramma immaginario della norvegese Karen Karenberg di cui lei stessa è protagonista accanto a Bernard Granger, noto donnaiolo. Il terzultimo film di Truffaut (da lui scritto con Suzanne Schiffman e Jean-Claude Grumberg) è contraddistinto da 3 componenti: 1) il dilemma sullo statuto dell’artista in tempi di emergenza (la guerra, l’occupazione tedesca): fare il proprio mestiere o il proprio dovere di cittadino?; 2) le corrispondenze (mistero, grovigli erotici, pericolo) tra realtà e finzione (10 inserti dedicati alla pièce), tra attori e personaggi; 3) il buio, il mezzo buio, quindi la cecità, che incombe sull’azione come un controcanto.
Proprietario di agenzia immobiliare accusato dell’omicidio della moglie e del ganzo di lei, comincia a indagare con l’aiuto della segretaria per dimostrare la propria innocenza. Dal romanzo Morire d’amore (1962) di Charles Williams, Truffaut ha fatto un bel film “alla maniera di…” ricalcando il cinema nero hollywoodiano degli anni ’40 nella grana del bianconero, nell’uso delle luci, nel taglio delle inquadrature, nel ricorso agli stereotipi del genere. 21° e ultimo film di Truffaut.
La vita di Leonard Zelig detto il “camaleonte”, campione di conformismo. Talmente conformista da assumere ogni volta sembianze, modi, anche professione simili a quelli dell’interlocutore del momento (diventa nero in mezzo ai neri, un medico in mezzo ai medici e così via). Di lui si prende cura una psichiatra che presto s’innamora… Satira al vetriolo di Allen che vince una bella scommessa tecnica (saldare senza apparente soluzione di continuità i brani di cinegiornale con quelli ricostruiti).
Un regista e una troupe di attori occupano un albergo solitario e diroccato sulle rive dell’Atlantico, in Portogallo, che fa da sfondo ad un film di fantascienza, la traversata di alcuni sopravvissuti in un mondo contaminato. Ma i soldi e la pellicola finiscono e la lavorazione del film deve essere sospesa. Il regista rintraccia il produttore a Los Angeles, dove si è nascosto perché braccato da gangster. Film diviso in due parti: nella prima, statica, c’è la noia della vita, sottolineata dalla fotografia in bianco e nero, nella seconda, dinamica, c’è lo scontro con la morte. Leone d’oro a Venezia nell’82.
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