Nera, bella, con tre uomini, Lola è una ragazza indipendente e disinibita. Tenta invano di stabilire un amichevole ménage à quatre , ma ogni uomo la vorrebbe solo per sé. Opera prima a basso costo di Lee, è una commedia libertina e tutta black , girata in bianconero con una sequenza a colori. Descrive il quadro di una piccola comunità nera senza demagogia. Belle le musiche di Bill Lee, padre di Spike.
I due gestori di un’agenzia per spogliarelliste si gettano sulle tracce di un killer psicopatico che ha intrapreso una delirante crociata per ripulire New York dal vizio.
Charley Partanna, killer di “Cosa Nostra”, prende una sbandata per una bionda misteriosa, che ha conosciuto durante una festa di nozze della “famiglia”. Charley sposa la biondina dopo averla inconsapevolmente resa vedova. E qui la situazione precipita: la bella sposina, che nel frattempo si è scoperto essere a sua volta una professionista dell’omicidio, si è intascata un milione di dollari di proprietà del clan. Per sbrogliare la matassa, Charley si vedrà costretto a far fuori la dolce metà.
Anno 1776: in America si respirano le prime avvisaglie della Rivoluzione. A New York, assediata dagli inglesi, un uomo decide di arruolarsi tra i coloni dopo che gli insorti gli hanno sequestrato la barca da pesca, sua unica fonte di sostentamento. Suo figlio, appena quattordicenne, è arruolato come tamburino dagli inglesi. Tra padre e figlio, più volte separati e ritrovati, si inserisce una bella ragazza borghese, contagiata dall’atmosfera rivoluzionaria.
I subita sono stati tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
Dopo cinque anni in coma per un incidente, Johnny Smith, prof. di letteratura, scopre di avere poteri medianici che gli permettono di “vedere” il passato e il futuro delle persone con cui entra in contatto fisico. È un ‘dono’ che gli succhia a poco a poco la vita e dal quale cerca di fuggire, specialmente quando diventa celebre perché salva vite altrui o individua un assassino periodico. In modo diverso dal romanzo (1979) di Stephen King, da cui è liberamente tratto con la sceneggiatura di Jeffrey Boam, la “zona morta” è quel tanto di imprecisione che esiste nelle sue visioni del futuro (applicazione letteraria del principio di indeterminazione del fisico tedesco Werner Heisenberg, premio Nobel 1932) e che gli dà la possibilità di cambiarlo. Come il tragico epilogo conferma. Pur girato in esterni canadesi, è il 1° film hollywoodiano di Cronenberg (onore a Dino De Laurentiis che l’ha prodotto) e, tolto Shining , il migliore tra i tanti desunti dalla narrativa di King. È il più conciso, compatto e “classico” del geniale regista canadese a livello narrativo anche se meno originale di altri per la tematica. Memorabile interpretazione del 40enne Walken che rende con dolente intensità l’infelicità del protagonista.
In un college per neri, uno studente impegnato combatte contro l’amministrazione e contro i suoi volgari e goliardici compagni. Una specie di Animal House in versione musicale, piena di idee e di provocazioni intelligenti. Scritto, diretto e interpretato (nella parte di Half-Pint) da un promettente, giovane Spike Lee.
Dopo essere stata ripetutamente violentata, Thana impazzisce e massacra tutti i maschi che le capitano a tiro, tra pistolettate vendicatrici e accurati squartamenti.
Seconda guerra mondiale. In un campo di prigionia tedesco, un gruppo di detenuti allenati da John Colby, famoso giocatore della nazionale inglese, viene sfidato da un ufficiale delle truppe naziste, il Maggiore Karl Von Steiner, a giocare una partita di calcio fra prigionieri alleati e soldati tedeschi. L’idea di una sfida sportiva fra fronti in guerra piace molto ai gerarchi nazisti, che decidono di far giocare la partita in un importante stadio della Parigi occupata e di renderla un grande evento di propaganda. Quando gli uomini interni al campo che lavorano segretamente con le forze della Resistenza francese vengono a sapere dell’evento, iniziano a pianificare, con l’aiuto della rude spia canadese Robert Hatch, un grande piano di fuga. Anche se lo corteggia molto di frequente, il cinema non ama molto lo sport. Entrambi condividono infatti le potenzialità di un linguaggio semplice, diretto, che gioca su passioni genuine e sull’enfasi del movimento, ma è ovvio che il lavoro sedentario dell’illusione del cinema si adatta con non poche difficoltà alla competizione fisica e al sudore delle pratiche sportive. A fine carriera, John Huston rivolge invece la sua attenzione e l’esperienza di cineasta classico alla retorica sportiva per dare ulteriore ardore all’epica della grande Storia. Cercando di unire assieme la forza di una grande fuga alla John Sturges con la passione sportiva di Momenti di gloria e la carica ironica di Quella sporca ultima meta, Huston drammatizza un episodio realmente accaduto sul fronte orientale durante la Seconda guerra mondiale per raccontare la più grande vittoria della storia del Novecento: la sconfitta del nazi-fascismo.
E lo spirito della vittoria è, fin dal titolo stesso, l’obiettivo della glorificazione del film di Huston, che mette in scena lo sport forse meno amato dal pubblico americano, il calcio, e una squadra internazionale piuttosto eterogenea per rendere il concetto più universale possibile. Sylvester Stallone, Michael Caine, Max Von Sydow e un insieme di stelle del calcio degli anni Sessanta e Settanta, fra cui Pelé, vengono così chiamati a ricoprire una specifica zona del campo. Caine e Von Sydow danno vita a un elegante confronto fra icone del cinema europeo, mentre Stallone con la giusta autoironia diventa un rozzo eroe della Resistenza. Sono soprattutto loro tre ad articolare il primo tempo, quello che serve a Huston per costruire un contesto storico e un’efficace atmosfera mista di cameratismo e di tensione. Una volta sviluppato l’intreccio e intessuto i vari nodi narrativi, lascia ai veri giocatori il compito di creare una tensione drammaturgica attraverso la potenza solenne dello sport. Grazie anche all’apporto delle coreografie elaborate dallo stesso Pelé e a un uso metodico del ralenti, è la plasticità delle giocate dei protagonisti a farsi vero emblema della Vittoria. Una vittoria che irrompe in campo cantando La Marsigliese, senza paura di apparire troppo ingenua o troppo romantica, perché sa che il senso della gloria è sia rivoluzionario che retorico, un po’ competizione sportiva e un po’ mito.
È la storia dell’amicizia tra un giornalista americano e uno cambogiano, all’inizio degli anni ’70: con l’arrivo dei Khmer rossi, il cambogiano salva la vita dell’amico, ma poi scompare nell’inferno dei campi di lavoro e di sterminio. Interamente girato in Thailandia, è coraggioso, anticonformista e crudele per certi aspetti, soprattutto nella 1ª parte. Le responsabilità del governo USA di Nixon nella catastrofe non sono taciute. Scritto da Bruce Robinson. 3 Oscar: attore non protagonista (H.S. Ngor, il 2° degli interpreti di origine asiatica premiati nella storia degli Academy Awards), fotografia (Chris Menges), montaggio (Jim Clark).
4 storie s’intrecciano in questo affresco sull’America del primo Novecento. Prevale quella di un pianista nero che, per vendicarsi di un torto, si trasforma in guerrigliero con alcuni compagni. Da un polifonico romanzo (1975) di E.L. Doctorow, ebreo di origine russa che mescola figure d’invenzione con personaggi storici, un colorito ed elegante affresco al ritmo sincopato del ragtime, in altalena tra critica e nostalgia. Ultimo film per il cinema di J. Cagney dopo vent’anni di assenza. 5 nomination agli Oscar.
Trasposizione cinematografica del celeberrimo dramma teatrale di Arthur Miller. Willy Loman (un misurato e attento Hoffman reduce dai successi sul palcoscenico di Broadway) è il viaggiatore di commercio invecchiato e sconfitto il cui sogno di successo si è invece risolto in un fallimento professionale e affettivo: solo il suicidio potrà servire a risollevare amaramente parte della situazione. Schlondorff confeziona un prodotto di alta e sicura classe nel rispetto delle tematiche e delle atmosfere di Miller. Eccellente la prova di recitazione non solo di Hoffman ma di tutto il cast, soprattutto del giovane e promettente John Malkovich.
Nel 1951 una fotografa è licenziata dalla sua rivista perché sospettata di avere simpatie comuniste. La ragazza scopre però che il politicante che l’ha accusata è anche a capo di un’organizzazione che favorisce l’immigrazione clandestina in America di gerarchi nazisti in fuga.
Libia 1929-31. Il governo italiano deve far fronte alla guerriglia che i beduini Senussi – sotto la guida di Omar Al-Mukhtar, insegnante di professione e ribelle per dovere – conducono in Cirenaica contro la colonizzazione italiana e la rinascita dell’impero romano in Africa (la Quarta Sponda). Mussolini nomina il generale Rodolfo Graziani (Reed) governatore di Libia e gli mette a disposizione un esercito moderno, il primo che, nella storia delle guerre coloniali, usò autoblindo, carri armati e aerei. Seguendo una strategia predisposta dal generale Pietro Badoglio (non nominato nel film), Graziani deporta le popolazioni di pastori seminomadi, fa distruggere il loro bestiame e costruire un reticolato di 270 km al confine con l’Egitto. Organizza campi di concentramento dove regnano denutrizione, stenti, epidemie e soffoca nel sangue la ribellione. Al-Mukhtar fu impiccato. Scritto da H.R.L. Craig. Fotografato in Cinemascope dal britannico Jack Hildyard ( Il ponte sul fiume Kwai ) e musica altisonante di Maurice Jarre, costato 25 milioni di petro-dollari, è un war film con tutte le carte (e gli stereotipi) in regola. Diretto da un regista siriano, già aiuto di Sam Peckinpah, sembra un western filoindiano in cui si parteggia per i più deboli. Quinn con barba bianca impersona il vecchio leone con biblica dignità e una sorta di eroica dolcezza. Non mancano i militari italiani “buoni” (Vallone, Capolicchio); quelli “feroci” hanno la camicia nera della Milizia. Steiger ripete il suo Mussolini di maniera, la Papas vaga qua e là senza sapere bene cosa fare. Le immagini dei lager, rinforzate da brani di cinecronache, vanno a segno. Dice, in fondo, qualcosa che i libri di scuola (italiani) hanno sempre taciuto. Nel luglio 1983 fu dato in anteprima al festival di Montecatini.
New York, 1955. Harold Angel è uno scalcinato investigatore privato. Un inquietante personaggio gli commissiona un’indagine molto particolare: scoprire se Johnny Favourite, cantante ricoverato anni prima in ospedale e sofferente di una grave amnesia, sia vivo o morto. La pellicola, scritta e diretta da Alan Parker, si basa su un racconto di William Hjortsberg. Le sfumature cupe e le dinamiche classiche del noir sono i toni scelti dal regista per questa detection-story al limite fra thriller e horror. Mickey Rourke, con le sue cicatrici, l’aria trascurata, la sigaretta sempre accesa, lascia di sé una traccia splendente e maledetta, sorniona e sfatta. Impossibile da dimenticare nel film, e nell’immaginario del cinema. Come memorabile è Lisa Bonet nel ruolo di Epiphany Proudfoot.
Quando il suo migliore amico viene trovato misteriosamente ucciso, il detective Mike Hammer non ha un attimo di esitazione: con l’aiuto della sua bionda e affascinante compagna scoprirà gli assassini e si farà giustizia. Le indagini lo portano presto a mettere gli occhi su una losca clinica per patologie sessuali… Trasposizione, non priva di suspense, del primo grosso successo librario di Mickey Spillane.
Metafora della civiltà televisiva: il direttore di un’emittente privata capta per caso un programma a base di torture e assassini. Affascinato e disgustato al tempo stesso, decide di vederci chiaro e scopre che il fantomatico conduttore della mostruosa trasmissione è morto da tempo e che il programma viene trasmesso da un’emittente pirata il cui proprietario vuole, grazie alla potenza della tv, dominare il mondo e sconvolgere le coscienze, trasformando gli uomini in orribili macchine da distruzione.
Ultima impresa bellica del non più giovane, ma valoroso, sergente Highway, detto Gunny, che ha una dura carriera alle spalle nei Marines, Corea e Vietnam. Nel 1983 gli viene dato l’incarico di formare, da un manipolo di sfaticati, un comando di “uomini veri”. Nel frattempo incontra Aggie, la sua ex moglie che lo aveva lasciato perché trascurata; l’amore tra loro è sempre vivo. Arriva un allarme vero: andare a combattere sull’isola di Grenada. L’impresa darà delle belle soddisfazioni a Gunny, che si riprenderà la moglie e andrà a coltivare avocado.
Dal romanzo Chien blanc (1970) di Romain Gary, cui è dedicato. Un’attrice prende in casa un cane bianco dopo averlo investito, scoprendo che è stato addestrato ad attaccare i neri. Apologo antirazzista quasi ingenuo nel suo schematismo senza sfumature, appeso a una suspense sottile ma assidua, con 2 o 3 sequenze notevoli tra cui quella del nero sgozzato in chiesa. Notevole fotografia di Bruce Surtees, meno la musica di E. Morricone. La Paramount non lo distribuì negli USA, ritenendolo politicamente scorretto.
Due amici londinesi vivono insieme in un piccolo appartamentino di un quartiere degradatissimo tirando avanti a fatica nell’attesa di una scrittura teatrale che non arriva mai. Per allontanarsi da Camden Town, uno dei due suggerisce di andare a fare una visita a Monty, lo scapolo e ricco zio dell’amico, che vive fuori Londra. I due si trasferiscono così per una settimana di vacanza nella casa di campagna di Monty. Ma lì piove quasi sempre e c’è un freddo terribile. Per fortuna lo zio Monty … [continua a leggere]arriva in visita a bordo della sua lussuosa macchina, ma non è da solo.
A New Orleans arriva Irena Gallier, per raggiungere il fratello Paul, che non ha mai conosciuto. Quello che non sa, e che presto scoprirà, è che Paul nasconde un segreto non umano: quando si eccita sessualmente si trasforma in pantera nera e, per ritornare umano, deve uccidere. Intanto Irena conosce il direttore dello zoo Oliver e se ne innamora. Sarà vero amore o attrazione animale?
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