Carlo Lizzani ricostruisce a “botta calda” (il processo a Mamma Ebe era appena concluso) la vicenda di Ebe Giorgini, detta Mamma Ebe dai suoi adepti, santona accusata di truffa e di plagio, attraverso diverse testimonianze. La giovane Laura continua a ritenerla una santa, una prostituta ha capito di essere stata imbrogliata e cerca vendetta. Le accuse sono pesanti, la condanna da dieci anni si riduce a sei con gli arresti domiciliari. Qualche morbosità in più del necessario.
Siamo a Francoforte. Il prof. Monroe desidera sperimentare le reazioni di un gruppo di uomini e donne chiusi in un bunker antiatomico. Si offrono quindici volontari. Michael, un ingegnere, funge da capo. Inizia una serie di guai che getta nella più nera disperazione i quindici che inoltre scoprono che “fuori” è in atto una guerra atomica che ha gettato nel panico la popolazione.
Karrer vive già da anni come tagliato fuori dal mondo, lontano da tutto. Passa il suo tempo osservando le benne della teleferica che si allontanano all’orizzonte, o vagabondando senza meta, sotto una pioggia incessante, per chiudere invariabilmente le sue giornate, qualunque sia la direzione presa la mattina, nella medesima taverna. Un giorno decide di coinvolgere nei suoi loschi affari il marito della cantante del Bar Titanic, per poter così avvicinare la giovane donna. Riesce ad allontanare l’uomo per qualche giorno, con la complicità di Willarsky, suo amico e proprietario del bar. Gli slanci affettivi mutevoli che caratterizzano i rapporti tra questi quattro personaggi indissolubilmente legati gli uni agli altri dai loro interessi e sentimenti, provocano tra di essi conflitti e ravvicinamenti disperati. Sarà Karrer a uscirne sconfitto; a lui non resterà che l’odio e il desiderio di vendetta. Le tappe del suo calvario lo porteranno non alla redenzione, ma a ciò che rappresenta il peggio per l’uomo europeo: la morte che precede la morte, la solitudine totale, il naufragio nella perdizione.
Walt è il giovane proprietario di un negozietto di alimentari a Portland. Quando vi fa ingresso Johnny, un diciottenne messicano immigrato illegalmente, per lui è amore a prima vista. Non sarà così per il ragazzo latino americano che si protegge dall’assedio dello yankee facendosi scortare da un amico, Pepper. Per i due Walt è solo una persona da avere vicino per le primarie necessità e da evitare per altri motivi ma per ognuno dei protagonisti le cose non andranno secondo i desideri. L’esordio di Gus Van Sant dietro la macchina da presa ha tutte le caratteristiche del cinema indipendente degli Anni Ottanta.. Girato a bassissimo costo, con gli attori privi di compenso, il film fa percepire immediatamente la passione cinefila del neoregista e, al contempo, la sua originalità di scrittura. Girato in un rigoroso bianco e nero (con l’eccezione di un inserto e dei titoli di coda, un backstage antelitteram) Mala Noche insegue un’estetica personale denunciando al contempo un indubbio debito con il cinema pasoliniano. Il volto dello stesso Johnny denuncia il desiderio di avvicinarsi a quelle fisiognomiche che Pasolini mise al centro dei propri film. Doug Cooeyate ha infatti l’innocente sfacciataggine di un Ninetto Davoli ispanoamericano. Ma è nel rapporto sessuale ripreso in forte contrasto tra luce e oscurità che Van Sant inizia a mettere a fuoco un modo estremamente personale di portare sullo schermo il conflitto tra il desiderio di possesso e la possibilità di amore che si coniughi in una prospettiva più ampia. Sarà uno dei temi che accompagneranno il suo percorso d’autore. Qui già emerge con forza, insieme all’indiscutibile capacità di descrivere un microcosmo sociale grazie all’uso di primi piani solo apparentemente ‘rubati’ alla realtà.
François, che ha una relazione con Anne, vede un mattino un uomo che esce con lei dalla sua abitazione. Non sa che si tratta di un aviatore, suo ex, che le ha annunciato che il loro rapporto è definitivamente chiuso. François si ritiene tradito e cerca una spiegazione che Anne rinvia ma incontra casualmente l’uomo con una donna e si mette a pedinare la coppia. Li segue su un autobus dove conosce la quindicenne Lucie alla quale dice di essere un detective incaricato di verificare la fedeltà della donna. Lucie decide di affiancarsi a lui nel pedinamento.
La direttrice di una scuola di ballo dove gli omicidi non si contano, crede di aver trovato il colpevole: un maniaco munito di spillone. Le scene di ballo sono il Leitmotiv di questo stravagante thriller, quasi una parodia di Flashdance.
Il film si apre con la scritta “Lucio Fulci presenta” e si dipana poveramente raccontando la vicenda del dottor Vogler (Peter Hinz), un pranoterapeuta con capacità extrasensoriali, che, chiamato a curare una benestante paralitica nel suo castello, è attirato dalla vicenda di presunti fantasmi che abiterebbero un’ala dismessa del medesimo. Aiutato da una giornalista locale, Vogler rintraccia la bambina, ora ragazza, la cui bambola gli è stata data da un misterioso vagabondo ubriacone (Vassili Karis) e la riconosce per la bambina che lui, in vacanza nei luoghi tanti anni prima, aveva salvato dall’investimento di un’auto, lasciando però che sotto le ruote dell’auto finisse la bambola. Sostanzialmente, la ragazza è la figlia della proprietaria del castello, che, paralitica, era morta in seguito alla caduta accidentale della carrozzella provocata dalla bambina. Motivi oscuri spingono la fantasmatica signora a vendicarsi anche di chi non le aveva fatto nulla (come il derelitto avvocato interpretato da Paul Muller) in un crescendo di violenza che porta a un colpo di scena non prevedibile. Caratterizzato da qualche eccesso di gore tipicamente anni ’80 inserito in un contesto telefilmico e ultrapoveristico, il film cerca qualche difficile suggestione rivisitando vecchie ossessioni spettrali, ma ha tutta l’aria d’essere stato girato in due giorni e non riesce né a coinvolgere né a convincere. Vassili Karis e Paul Muller sono gli unici nomi noti di un cast poco ispirato
Radio e televisione trasmettono un crescendo di allarmanti notizie sull’acuirsi della tensione internazionale tra Russia ed Occidente, ma a Lawrence, nel Kansas, come in altre parti dell’America, nessuno sembra farvi troppa attenzione. Mentre la gente è alle prese con i piccoli problemi quotidiani, le basi militari ricevono messaggi in codice che allertano i sistemi di sicurezza ed innescano le misure di ritorsione contro un’aggressione nucleare. Quando il cielo si squarcia in due accecanti bagliori, per un attimo la vita si ferma come sospesa: i motori non funzionano più, le radio ammutoliscono, poi la gente per le strade, in viaggio nelle macchine o all’interno delle abitazioni è investita dall’urto formidabile dell’esplosione. L’onda radioattiva polverizza uomini e cose. Coloro che si salvano scoprono una distesa di macerie e campi fumanti ricoperti da cenere bianca. Nell’unico ospedale ancora funzionante si organizzano i primi soccorsi, ma la situazione diventa insostenibile per l’ininterrotto affluire di feriti e per la scarsezza dei mezzi necessari a fronteggiare l’emergenza. All’esterno chi tenta di allestire campi di accoglienza non ha altra indicazione che quella dei manuali di sopravvivenza stilati tempo addietro dalle autorità locali, logori e inutilizzabili nella loro assurda impostazione burocratica. Il racconto intreccia il destino di un pugno di personaggi (il dottor Oakes, l’agricoltore Dahlberg, lo studente Klein e pochi altri) cogliendoli dapprima nella loro dimensione quotidiana e trasfigurandoli poi, nel dramma dell’olocausto, in figure emblematiche di una umanità allo sbando, priva delle certezze di un’intera vita, impotente di fronte al dolore e alla morte dei propri cari, senza la prospettiva di un futuro. Il regista e romanziere Meyer costruisce il racconto del “giorno dopo” intervallando con buona abilità situazioni da soap-opera con i meccanismi del filone catastrofico e del documentario-inchiesta, e chiudendo con due sequenze che in qualche modo riassumono il senso della trascorsa civiltà: la nascita di un bambino fortemente voluta da una madre, e l’abbraccio silenzioso tra due sopravvissuti sulla polvere di quella che un tempo era stata una casa.Prodotto per la televisione, il film ha riscosso grande successo presso il pubblico americano, ma non altrettanto presso la critica – specialmente europea – che ne ha fatto un piccolo “caso”, condannando l’intera operazione come una delle più astute spettacolarizzazioni dell’orrore, secondo un deprecabile gusto tipicamente hollywoodiano.
Los Angeles, ribattezzata Lost Angeles (angeli perduti), fa da sfondo e contenitore a un universo di sconfitti, dementi, dannati dove si aggira Charles Serking (Gazzara), scrittore, bevitore, scopatore. È la storia delle sue esperienze etiliche e sessuali, ma anche del suo amore per Cass (Muti), puttana bellissima e disperata con una vocazione autodistruttiva più forte della sua. Dall’incontro tra due poeti scellerati, l’americano Charles Bukowski (1920-94) e l’italiano Ferreri (1928-97), è nato un film tenero, struggente, tristissimo: il primo film d’amore di un romantico che negava di esserlo, il suo più semplice e trasparente, pur con punte grottesche e crudeli. Scritto con Sergio Amidei, è tratto dalla raccolta di racconti (1972) di Bukowski, da quello di apertura ( La più bella donna della città ), rimpolpato da spunti, situazioni, personaggi di altri cinque.
La vicenda ruota intorno ad un delitto che tutto il paese passivamente si aspetta senza poterlo sventare o senza volere. Cristo Bedoya ritorna, ormai vecchio, nel villaggio in Colombia, che l’aveva visto giovane medico. I ricordi si affollano dolorosamente: il giovane amico Santiago Nasar fu accoltellato dai fratelli Vicario che volevano vendicare l’onore della sorella Angela, poi ripudiata dal marito, Bayardo San Roman. Bedoya, nella sua tardiva ricostruzione, non trova nessuna prova che dimostri la colpevolezza di Angela e Santiago. Angela, ormai vecchia, vittima inerme dell’accaduto, ha passato la sua vita scrivendo lettere al marito, fin quando un giorno egli ritorna pentito.
Vita dura di un emigrato italiano negli anni Venti in Usa. Bandini, muratore, lavora solo nella bella stagione. D’inverno fa fatica a tirare avanti con la sua numerosa famiglia. Una calorosa vedova gli offre lavoro. Ma anche il suo letto.
A taxing woman (マルサの女, Marusa no onna) è un film giapponese del 1987 scritto e diretto da Juzo Itami. Ha vinto numerosi premi, inclusi sei importanti riconoscimenti agli Academy Awards giapponesi. La protagonista del film, interpretata da Nobuko Miyamoto, è un’ispettrice fiscale dell’Agenzia Nazionale delle Entrate giapponese, che utilizza varie tecniche per scoprire gli evasori fiscali. Si dice che il regista sia stato ispirato a realizzare il film dopo essere passato a una fascia fiscale molto più alta in seguito al successo del suo film The Funeral. Un sequel, A Taxing Woman 2, che presenta alcuni degli stessi personaggi ma con un tono più cupo, è stato distribuito nel 1988.
Una revisora fiscale, Ryōko Itakura, analizza i conti di diverse aziende giapponesi, scoprendo redditi nascosti e recuperando tasse non pagate.
Negli anni Trenta i contadini di Fontamara, un paesino della Marsica, sono sfruttati dagli agrari e dai loro alleati fascisti. Un giovane capisce e si ribella.
The Terrorizers (恐怖分子S, Kǒngbù fènzǐP) è un film taiwanese del 1986 diretto da Edward Yang.
Un mistero metafisico sulla vita di tre coppie a Taipei che continuamente si intersecano in un arco di diverse settimane.Il film mette in scena una Taiwan emergente, manipolata dalle forze del denaro e dalla globalizzazione. Apre la scena nel 1986, quando il Giappone era ad un soffio dalla bolla economica e gli affari andavano bene a Taipei. Ma in entrambe le città, Tokyo e Taipei, molti giovani erano disillusi nei confronti di un futuro che sembrava grossolanamente materialista. Yang in questo film raccoglie tali situazioni sociali e le inserisce in una misteriosa narrazione poetica.
Regia di Mamoru Oshii. Un film Titolo originale: Urusei Yatsura Beautiful Dreamer. Genere Animazione1984, durata 84 minuti.
Come mai i partecipanti alla festa annuale del liceo Tomobiki ne perdono memoria la mattina dopo? La responsabilità è del folletto Mujaki che ha il potere di realizzare i sogni. L’ha fatto anche con uno in cui Lamù aveva espresso il desiderio di vivere per sempre con l’amato Ataru e i suoi amici. Per farli tornare alla realtà bisogna risvegliare con una tromba un leggendario animale che si nutre di sogni. Caso raro di film di animazione in chiave onirica: la vicenda si svolge in due universi paralleli che non obbediscono alla logica spazio-temporale. Oltre ai tipici temi dell’adolescenza (amore, gelosia, solitudine, noia ecc.), c’è una riflessione sulla relatività soggettiva del tempo.
Il decenne Krishna arriva da solo a Bombay e vive per la strada, come migliaia di altri bambini, guadagnandosi da vivere come portatore di tè o di pane e imparando la dura legge della metropoli. Ammirevole 1° film (premiato a Cannes con la Camera d’or) che, come ogni opera neorealistica seria, nasce da un meticoloso lavoro di ricerca e documentazione. Evita quasi sempre le trappole del patetico.
Lola è l’attrazione di un bordello di provincia il cui padrone è il ricco costruttore Schuckert. Seduce un incorruttibile funzionario, lo sposa e rileva il bordello. Scritto dagli stessi sceneggiatori di Il matrimonio di Maria Braun, è meno riuscito, ma più divertente. Morale: sesso e denaro, strettamente legati, determinano la vita degli uomini. Come in Balzac.
L’archeologo George Hacker compie importanti scavi in Egitto, riportando alla luce antichi reperti. Nel frattempo la moglie fotografa Emily e la piccola figlia Susie si godono le bellezze della zona. Ma una misteriosa mendicante cieca dà a Susie un amuleto, accompagnandolo con una frase minacciosa: “Le tombe sono dei morti”. George invece penetra in un’antica tomba dove, precipitato in un trabocchetto, entra in contatto con qualcosa di soprannaturale rimanendone accecato sia pure solo, prevede l’oculista, per alcuni mesi. Tornati a casa a New York, dove c’è anche il figlio più piccolo Tommy, la vita familiare comincia presto a complicarsi: George è seccato per la sua temporanea cecità e Susie si comporta stranamente, coinvolgendo il fratellino.
George sorprendentemente torna a vedere prima del tempo e, preoccupato, decide di scoprire la verità su ciò che ha visto nella tomba maledetta, che è quella di Abnubenor, il dio del male. Ma le cose precipitano in un vortice di orrore con la stanza dei ragazzi che sembra essere diventata una misteriosa porta di collegamento spazio-temporale con l’Egitto. Forse solo l’intervento dell’occultista Adrian Marcato può risolvere il problema. La possessione demoniaca sprigionata da scavi archeologici e trasportata in una metropoli americana richiama L’esorcista e il titolo (oltre che il nome di uno dei personaggi) richiama Rosemary’s Baby, ma la storia più che all’horror demoniaco guarda a quello cosmico lovecraftiano, come denota anche la citazione che apre il film. Ci sono aspetti promettenti e originali, ma la vicenda si incarta in uno sviluppo di maniera nel quale gli spunti migliori – i “viaggi”, il collegamento nello spaziotempo – sono sottoutilizzati. Il ritmo è inoltre piuttosto lento e poco coinvolgente. Gli avvenimenti si accumulano in modo programmatico senza generare sufficiente suspense, alla ricerca di facili effetti momentanei. Fulci, in una prova decisamente minore, non riesce a dare vita e tensione agli avvenimenti. Il suo stile resta inconfondibile, ma qui il regista è poco ispirato: per generare apprensione infila una serie smisurata di primissimi piani di occhi preoccupati e per scuotere gli spettatori utilizza a profusione urla raccapriccianti. I risultati sono modesti. Il talento visionario di Fulci si sprigiona solo raramente, trovando immagini adeguatamente suggestive solo nel truculento assalto finale. La sceneggiatura pone più enigmi e quesiti di quanti ami risolvere e l’insieme è, per un film di Fulci, insolitamente fiacco. La musica di Fabio Frizzi è sin troppo preponderante anche in momenti in cui non sarebbe necessaria, ma era lo stile del momento. Nel cast più che il monolitico e monocorde Christopher Connelly si fa apprezzare la sensibile Martha Taylor (alias Laura Lenzi). La piccola posseduta è Brigitta Boccoli, futura star televisiva.
Giancarlo (Marconi) e Fernanda (Di Lazzaro) si sono conosciuti e innamorati nel ’68, subito è arrivata una gravidanza e la decisione di tenere questo bambino, poi l’amore è finito e il piccolo Eugenio (Bonelli, nipote del regista) è amato, ma ingombrante, sballottato tra i nonni, sempre più solo e legato al suo cane. La 1ª parte – in continua altalena tra tenerezza e furbizia, comico e drammatico – gira a pieno regime. Poi il film s’ingolfa. La responsabilità è degli attori, ma anche dell’impaccio di Comencini con questi figli del ’68 che sembrano a lui estranei e indecifrabili. Buone caratterizzazioni di M. Perlini e dei nonni, Gisella Sofio, Blier e Dina Sassoli.
Giornalista incontra una donna spaurita, scoprendo che si tratta di una famosa attrice dell’UFA ormai dimenticata, morfinomane e prigioniera di una donna senza scrupoli. Ispirato ai casi dell’attrice Sybille Schmitz, suicida nel 1955, è il penultimo film di Fassbinder, Orso d’oro a Berlino 1982. Calato in un clima neoespressionista che scenografia e fotografia (ora abbagliante di bianco, ora appoggiata a forti contrasti) sottolineano, è una storia malinconica dove si confondono stereotipi, fantasmi, ombre del passato, paure del presente, echi del cinema muto, tenebre del cinema noir. Chiude la tetralogia sulla Germania postbellica attraverso quattro destini di donne ( Maria Braun , Lili Marleen , Lola ).
Le richieste di reupload di film,serie tv, fumetti devono essere fatte SOLO ED ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.