Due maestri elementari, che non riescono ad avere un figlio, si rivolgono a un luminare della scienza che prescrive uno speciale regime di vita. Il marito si presta obbedientemente, ma non si arriva che a una gravidanza isterica. Consultano una chiromante che prescrive un rimedio specifico e ordina di fare all’amore nel plenilunio.
Vedova di un operaio ucciso dalla polizia durante una manifestazione s’innamora del suo nemico di classe, il padrone della ditta in cui lavora. La sorpresa di questa commedia a sfondo sociale è un Tognazzi che dà prova della sua inesauribile versatilità di attore straordinariamente padrone delle sue reazioni e dei suoi toni. Come operaia, R. Schneider convince meno. Il fico migliore nel bigoncio di Bevilacqua da Parma.
Tornato dal servizio nel corpo militare di stato, Laci è costretto a vivere con la moglie operaia Irén e la figlioletta nell’angusto appartamento dei suoi genitori, in attesa che il piano alloggi gliene fornisca uno. Il padre di Laci mal sopporta la nuora, imputandole l’incapacità tanto di educare la bambina quanto di mettere da parti soldi per far fronte alle spese comuni. Le incomprensioni crescenti porteranno all’inevitabile frattura del nucleo famigliare. Prodotto dai Béla Balázs Studio, l’esordio nel lungometraggio del giovane Béla Tarr affronta una problematica di stretto carattere politico-sociale, com’è la carenza di case nel sistema comunista ungherese, mediante il linguaggio di un cinéma-vérité aggressivamente polifonico. A conferma dell’interesse pubblico di quanto si vedrà sullo schermo, ad aprire è una didascalia inequivocabile nella sua chiarezza: «È una storia vera, non è accaduta ai personaggi del nostro film, ma sarebbe potuta accadere anche a loro».
L’effervescenza dell’impianto di un lavoro tanto fisico sta nell’impiego di attori non professionisti, nel suono in presa diretta, nella macchina a spalla orientata – come la lente di un microscopio – a focalizzare stralci di frasi, dialoghi sovrapposti, reazioni mimiche, spostamenti improvvisi dei corpi. Affine alle sperimentazioni di altre cinematografie, il primo metodo di Béla Tarr costituisce, invero, il punto d’incontro tra il vivo desiderio di ancorarsi alla realtà e la pochezza dei mezzi a disposizione, in un’intercambiabilità tra programma estetico e politico dove è già possibile scorgere quella deriva della condizione umana che sarà tema prediletto dei titoli maturi. Al di là del filtro di un “cassavetismo incolpevole”, allora Tarr non conosceva l’opera del cineasta americano, il dramma personale e ugualmente pubblico di Laci e Irén acquista sottigliezza psicologica caricandosi di credibilità ad ogni nuovo scontro-dialogo, fino alla resa dei conti delle due, splendide, confessioni finali in cui è palese il sapore schiacciante della sconfitta. Con un titolo che rimarca, per antifrasi, l’inferno della convivenza, Nido familiare costituisce, insieme a The Outsider, Rapporti prefabbricati e, in parte, Almanacco d’autunno, il periodo realista del regista prima della svolta stilistica segnata da Perdizione.
Hotel Magnezit Ungheria, Genere: Drammatico durata 12′ b/n Regia di Béla Tarr
Tibi Szepesi, un operaio ormai prossimo alla pensione, viene licenziato dalla fabbrica in seguito al furto di un motore. Dovrà abbandonare anche l’alloggio riservato ai dipendenti, ma lui, che è stato tenente dell’aeronautica e ha combattuto nell’ultima guerra, si oppone disperatamente alla decisione. Primo cortometraggio di Béla Tarr.
In un istituto che produce previsioni sull’avvenire attraverso il computer Simulacron-3 il direttore si suicida in circostanze misteriose. Il suo vice inizia un’indagine, tra l’incomprensione di tutti, esclusa la figlia del morto che lo aiuta. Scopre che il mondo in cui crede di vivere è la proiezione di un altro calcolatore. Dal romanzo Simulacron-3 (1964) di Daniel F. Galouye, è un film TV in 2 puntate, uno dei 4 che Fassbinder diresse nel 1973. Ispirato a Il grande sonno (1946) per l’aggrovigliato intrigo, ad Alphaville (1965) per l’uso di scenografie in esterni contemporanei, è fassbinderiano per il sofisticato gioco dei ruoli e delle apparenze e per il riscatto finale in nome dell’amore e della speranza che lo distacca dal pessimismo del romanzo. Trasmesso in Italia da RAI2 nel settembre 1979.
Un melodramma poliziesco del primo Fassbinder. Ci sono quasi tutti i suoi attori preferiti. Franz è stato in carcere. Una volta in libertà decide di riprendere i rapporti con l’assassino di suo fratello. Quest’ultimo aveva tradito e ora Franz ha un piano.
Zombi 2 è un cult movie per eccellenza come dice Marco Giusti in “Stracult”. Un film che lo stesso Fulci amava così tanto da definirlo “un horror artaudiano”, prendendo a prestito le sue notevoli Poesie della crudeltà. Però aggiungeva che era “un horror senza crudeltà ma con molta presupposizione della crudeltà”. La partenza è subito inquietante con una misteriosa barca a vela alla deriva nella baia di Hudson. La polizia interviene e un agente che si spinge all’interno scopre mosche, vermi e una mano mozzata in putrefazione. Una musica intensa realizzata con il sintetizzatore conduce lo spettatore verso l’inizio dell’incubo. Esce fuori uno zombi da una cabina e si divora l’agente a morsi in un trionfo di splatter, mentre l’altro poliziotto spara a ripetizione e riesce a far cadere in mare lo zombi.
Considerato un buono a nulla, vessato dalla madre e dalla moglie che lo tradisce, fruttivendolo ambulante si dà all’alcol, va alla ricerca della ragazza amata in gioventù, ora ricca e insoddisfatta, e si suicida bevendo. Ritratto di un patetico perdente, irrecuperabile ai valori della sua classe e ossessionato dal senso di colpa. Percorso da flashback, è un melodramma in cui Fassbinder trasforma in linguaggio personale la lezione di Douglas Sirk.
Uno straccivendolo romano e la moglie si battono ogni anno a scopone con una vecchia e dispotica miliardaria americana in coppia con il suo segretario. In un primo tempo la posta in palio è fittizia, ma poi si fa sul serio: si giocano tutti i risparmi della borgata. Scritta da Rodolfo Sonego, è una vetta della commedia italiana, basata sulla dialettica denaro-potere. E la morale è amara: a giocare con i ricchi (con chi tiene il banco) si perde sempre. Non c’è divisione tra buoni (poveri) e cattivi (ricchi): la linea di separazione è segnata dalla classe sociale e dall’obbligata scelta di campo. Film appassionante, interpretabile a vari livelli e recitato da attori infallibili.
Un film di Rainer Werner Fassbinder. Con Ingrid Caven, Margit Carstensen Titolo originale Satansbraten. Drammatico, durata 112′ min. – Germania 1976. MYMONETRO Nessuna festa per la morte del cane di Satana valutazione media: 2,75 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Walter Kranz, scrittore fallito, sognando di reincarnare un famoso poeta suo compatriota, spende la vita tra amori prezzolati e devozioni pidocchiose. Qua e là questa irridente commedia nera sgangherata fa ghignare, ma più spesso lega i denti e, soprattutto nella 2ª parte, è indifendibile. L’onnivoro e prolifico Fassbinder non fa mai un film eguale all’altro. Si può detestarlo, ma è lui.
Pregiudicato decide di rapinare in una gioielleria sulla Croisette di Cannes. S’innamora di un’antiquaria e si camuffa da vecchio e ricco uomo d’affari. Ventura e la Fabian hanno preso un premio per il miglior attore e attrice al Festival di San Sebastian. È uno dei film più maturi e completi di Lelouch proprio perché non ha troppe pretese: una storia d’amore movimentata da un pizzico di giallo.
La vicenda si svolge in Italia, d’estate, sulla penisola sorrentina. Jeff, un giovane e tormentato regista, sta cercando di girare un film. La situazione non è delle migliori, claustrofobia e nevrosi avanzano. È un film umorale fatto con le viscere, cui mancano il calore del cuore e la lucidità della testa. Si ha l’impressione di un largo margine concesso all’improvvisazione che accentua i risultati d’impotenza narrativa e di disordine.
Negli anni Venti e Trenta andava di moda in America una sorta di pugilato sulla strada. Questa è la storia di Shaney, un anziano pugile che vive grazie ai suoi pugni. Ha un impresario disonesto che gliene combina di tutti i colori. Alla fine Shaney si dimostra un vero uomo, generoso e forte, al di là della forza fisica.
Da un romanzo di Michael Crichton: un satellite artificiale precipita in un villaggio del Messico, provocando un’epidemia che uccide quasi tutti tranne un vecchio e un bambino. Buon film di fantascienza con effetti speciali, rumori speciali, parole speciali e l’intento di fare una piccola lezione di morale. Film solenne, attento ai dettagli, efficace nel sostenere la suspense.
Narra di un anarchico che guida una sommossa fallita ed è per questo condannato a morte. La pena gli viene commutata in prigione a vita e lui, per non abbattersi, immagina di essere l’interlocutore di dibattiti politici e sogna che la rivoluzione trionfi. Anni dopo, durante un trasferimento, ha uno scambio di idee con altri “ribelli” e capisce di essere completamente estraneo ai loro sistemi di lotta.
L’onorevole democristiano Giacinto Puppis (L. Buzzanca, truccato da on. Emilio Colombo) fa sogni erotici dove gli appare una donna ignuda (E. Czemerys) in un’alternanza di immagini che mostrano le sue rotondità abbinate ai monumenti di piazza San Pietro. Intanto, in un intreccio di manovre e patti segreti tra Vaticano, mafia, servizi segreti e alte gerarchie militari, il Puppis diventa Presidente della Repubblica. Anche un manipolo di suore finisce in pasto alle ossessioni erotiche di un L. Buzzanca senza freni. Proiettato al Viminale in una proiezione riservata ai parlamentari, fu bloccato dalla censura e messo in circolazione dopo una provvidenziale mutilazione. Scritto da L. Fulci con Sandro Continenza e Ottavio Jemma. Distribuito in Francia come Obsédé malgré lui . “Folgorante (e unico) caso di satira politica in cui il rapporto freudiano tra potere e piacere trova un’originalissima e piccante messa in scena.” (C. Avondola-M. Garofalo).
In una villa di campagna si trovano in otto, divisi in due squadre, a giocare alla roulette cinese: un crudele massacro verbale. Nel finale uno sparo. Non importa chi muore. Lo meriterebbero tutti. Comincia come una pochade, passa alla ferocia di Strindberg, termina come un dramma filosofico di Sartre. Tagliente commedia antiborghese dalla recitazione raffreddata. Non è tra i Fassbinder più felici: greve e manieristico.
Un commissario governativo e scrittore si reca con il fratello a Dawson City per documentarsi sui cercatori d’oro nel Klondike. I due sono accompagnati da una guida indiana che ha con sé il figlioletto e il lupo Zanna Bianca. Un losco avventuriero, notate le straordinarie qualità dell’animale, non esita a uccidere la guida indiana per impadronirsene, facendo poi anche altre vittime. Nella lotta contro il malvivente, alla fine comunque avrà la meglio il commissario.
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