Sposata la figlia di un boia, un impiegatucolo delle pompe funebri è indotto dal suocero a diventare il suo successore. In cambio avrà un appartamento. Scritta da Rafael Azcona, Ennio Flaiano e il regista, all’insegna di uno humour nero, soffice e beffardo, ritmato dal rumore sinistro della garrote è un’efficace metafora satirica della Spagna franchista e una forte, non retorica, requisitoria contro la pena di morte che decenni dopo conserva la sua forza, compreso il suo straziato finale. Presentato alla Mostra di Venezia, suscitando le ire della delegazione spagnola, ebbe il premio Fipresci della critica internazionale. Distribuito in Spagna in ritardo con alcuni tagli. Fu più volte votato dai critici ispanici come il miglior film spagnolo di tutti i tempi. Mutilato anche in Italia.
1° episodio “Cocaina di domenica” (con N. Manfredi e A.M. Ferrero): coppia di giovani sposi prova per scherzo la cocaina; 2° episodio “Il professore” (con un memorabile U. Tognazzi): professore feticista installa in un armadio dell’aula un gabinetto per impedire alle allieve di uscire durante le lezioni; 3° episodio “Una donna d’affari” (con N. Manfredi e D. Wettach): musicista corteggia donna d’affari che lo fa sempre andare in bianco. Il 1° e il 3° sono novellette potabili, ma il 2°, scritto da M. Ferreri col vecchio complice Raphael Azcona, è un trattatello all’acido solforico sulla perversione.
Da un romanzo (1897) di Georges Darien. Francia, 1880: rispettabile borghese scopre il furto come strumento di rivolta contro la società corrotta e contenta di sé cui appartiene. È una scelta di vita che sfocia nella solitudine. Un Belmondo sorprendente in un film insolito.
È la storia – da Cronache italiane (1829) di Stendhal – dell’amore tra il carbonaro Pietro Missirilli e la principessa Vanini nella Roma del 1823 sullo sfondo del malgoverno papalino, dei primi fermenti liberali, della vita quotidiana del popolo. Per averlo tutto per sé, lei denuncia i suoi compagni che lo accusano di tradimento. Pietro si costituisce e, condannato alla ghigliottina, respinge l’aiuto di lei che si chiude in convento. Il dissidio tra melodramma e cronaca, finzione e documento, spettacolo e intenti didattici non è risolto; è, in negativo, il film più viscontiano di Rossellini, che non riconobbe il montaggio, ma meriterebbe una rivisitazione. Scritto da F. Solinas, A. Trombadori e troppi altri.
Alcuni amici, ognuno dei quali ha trovato il suo posto nella vita, si ritrovano per passare una serata in allegria e libertà che ricordi la loro spensierata giovinezza. Ma il tempo passato crea un distacco fra di loro e si lasciano con la convinzione non manifesta, ma sentita, di non rivedersi più.
Èun atto d’accusa contro la pena di morte. Un operaio, sposato e con figli, è affetto da un complesso di origine sessuale che lo ha spinto a uccidere tre prostitute. Quando viene identificato e arrestato, confessa ed è condannato alla pena capitale, benché al momento dei tre delitti non fosse in grado di intendere e volere.
Una roboante voce misteriosa annuncia a Napoli l’imminente giudizio universale. Ciascuno reagisce nella maniera più impensata dimostrando di volersi pentire dei propri peccati.
Guerra tra i romani e i popoli d’Oriente che si ribellano al dominio sempre più iniquo dell’imperatore Commodo, succeduto al padre Marco Aurelio (un ottimo Alec Guinness). Persino il re d’Armenia che ha sposato Lucilla, sorella di Commodo, insorge, ma viene sconfitto e ucciso. Lucilla si trasferisce a Roma con Livio, comandante romano di cui si è innamorata. A Livio, vincitore in duello di Commodo, i soldati offrono l’impero, ma egli rifiuta, disgustato dalla dilagante corruzione.
Alcune storie che hanno come punto di partenza la morte di Togliatti. Protagonisti un comunista che lavora alla sede del partito e trova la moglie a letto con un’amica, un giovane che ribadisce la sua fedeltà al Pci mentre un amico si dimostra anticonformista, un profugo venezuelano che è richiamato in patria a sostituire un compagno caduto, un regista prossimo alla morte che sospende i lavori di un film e si mette a girare il mondo.
Dalla commedia (1956) di Diego Fabbri: bellina si fa passare per hostess in modo da comporre il mosaico della sua felicità alternando il suo amore fra tre uomini. Con l’aiuto di M. Fondato in sceneggiatura, il regista tenta inutilmente di cambiare senso alla programmatica pièce di Fabbri, ma l’operazione non gli riesce. Un aborto.
Il Servizio Segreto incarica Natalino, ex partigiano, ex detenuto di sinistra, ex idealista, di eliminare una spia ex nazista di passaggio a Roma. Scritto da due esperti sceneggiatori, Benvenuti e De Bernardi, il film è divertente, ha buon ritmo, ma è troppo pallottoloso e arruffato nella ricerca del finale giusto. Bravo Manfredi, ma anche il contorno dei caratteristi è saporito.
Benzinaro italiano attraversa l’Atlantico con rosee prospettive di ricchezza. Finirà come in Italia a una pompa di benzina del profondo Sud, dopo una lunga trasferta da New York alla California. Il simpatico tono parodistico-caricaturale che impregna la prima parte si stempera a poco a poco in divagazioni patetico-descrittive. De Sica e Sordi in forma.
Holly è una provinciale – ma molto sofisticata – che vive a New York. Ha frequentazioni di gente di ogni tipo: artisti, ricchi, malviventi. Paul è un giovane scrittore protetto… da un’amante più anziana di lui. Holly e Paul abitano nello stesso palazzo. Si conoscono, diventano amici. La ragazza, che mira a sposare un miliardario, passa da una festa all’altra, rincorre il tempo, è fragile, passa da depressioni profonde a esaltazioni sfrenate. Ma non manca mai, la mattina, rientrando da una festa, di far colazione davanti alle vetrine di Tiffany, la leggendaria gioielleria. Emergono, dal passato di Holly, scheletri e fantasmi, ma sono solo frutto della sua ingenuità. E comunque, sposare un ricchissimo messicano cancellerà tutto. Ma il magnate si tira indietro. A Holly rimane Paul, che l’ama davvero, e forse anche lei contraccambia.
Rimasto vedovo, console britannico a Firenze si trova impreparato ad avere un buon rapporto con i due figlioletti. Il più piccolo ha tutte le sue attenzioni, l’altro ne soffre. Dopo Vittorio De Sica, Comencini è in Italia il regista che meglio sa capire (e far recitare) i bambini e per far questo occorre conoscerli bene. Lo dimostra anche questo melodramma, tratto da un mediocre romanzo strappalacrime (1869) di Florence Montgomery che, in virtù di stile e di una lucida strutturazione dei fatti e delle emozioni, Comencini trasforma in un grave affresco dei sentimenti, delicato e coinvolgente. Incompreso in Italia, ebbe un grande seppur ritardato successo all’estero.
Durante la guerra 1914-18 il tenente Thomas Edward Lawrence (1888-1935), agente del servizio segreto britannico, trasforma in guerriglia la rivolta degli arabi contro i turchi, guida i beduini alla conquista di Damasco e poi si ritira nell’anonimato. In questo sontuoso megafilm epico su uno dei più affascinanti avventurieri del primo Novecento il vero protagonista è il deserto. Solida sceneggiatura di Robert Bolt, splendida fotografia, musica sovrabbondante, 7 premi Oscar (miglior film, regia, fotografia, colonna sonora, scenografia, montaggio e suono). All’epoca O’Toole fu una rivelazione.
Giovane commissario di polizia compromette la sua carriera indagando sulla morte violenta di noto uomo politico. Scopre il colpevole, ma è costretto a ritrattare tutto al processo. Scritto da Age & Scarpelli, principi della commedia italiana, è sostenuto da uno scattante brio satirico con graffianti spunti di critica di costume. Un buon Sordi tenuto a briglia corta.
Il ventenne Marc lavora come assistente parrucchiere in un grande salone frequentato da facoltose signore, nutrendo il sogno di diventare pilota da corsa. Per essere ammesso all’imminente competizione deve, tuttavia, procurarsi una Porsche 911 S: tenterà di ottenerla con ogni mezzo a sua disposizione, anche impegnando i capelli di una ragazza, forse, innamorata di lui. Nello stesso anno di Mani in alto!, il suo quarto lungometraggio bloccato dalla censura polacca, Jerzy Skolimowski gira in Belgio Il vergine, attirando su su di sé l’attenzione della critica internazionale. In breve, si tratta di un nuovo debutto, di una rinascita benedetta dal sole abbagliante della Nouvelle Vague, non soltanto per la presenza fisica di Jean-Pierre Léaud, perfettamente capace di comunicare insicurezza e determinazione, timidezza e una vena di sana follia.
Nella concitazione, nelle stranezze, nei bronci e nei sorrisi dell’attore prediletto da Truffaut, infatti, si specchia l’ombra lunga delle tecniche e delle teorie di “cinema diretto” del movimento francese, la volontà di rottura verso i metodi tradizionali, la rivoluzione del Godard più anarchico, con i suoi giochi da cinema muto, l’esuberanza e l’assurdità di una libertà ripetuta 24 volte al secondo. L’ansia di espressione del cineasta polacco, di fatto impossibilitato a continuare il proprio percorso in patria, pervade ogni sequenza, insegue i corpi e esplode nelle gag con il fine di raccontare l’apprendistato alla maturità, la “partenza” (come indica il titolo originale) verso l’età adulta di un ragazzo che non sa, o non vuole sapere, di essere già uomo: il sogno di Marc, così fortemente desiderato e ad un passo dall’essere realizzato, si rivelerà in tutta la sua inconsistenza in un dolce-amaro risveglio che ha il sapore dell’inevitabile cambiamento. Vitale e articolato impasto di profondità psicologiche e vezzi d’auteur con un velo di calibrata malinconia, Il vergine vale anche come documento di un’epoca, costituendo la punta di diamante della reazione diretta della Nouvelle Vague sulle cinematografie di Stato dei Paesi dell’Est da cui proviene il regista. Anche attraverso il corpo-icona di Léaud, dopotutto, Skolimowski continua – e forse qui conclude – quella strada di autobiografismo generazionale affrontata nei precedenti Segni particolari: nessuno, Walkower e Barriera. Vinse l’Orso d’oro al Festival di Berlino.
Quattro apologhi sulla degradazione del matrimonio: “Prime nozze”, “Il dovere coniugale”, “Igiene coniugale”, “La famiglia felice”. Si parte da uno scherzo per arrivare a una beffarda anticipazione avveniristica. Quasi un compendio del primo Ferreri, sceneggiato con Diego Fabbri e Rafael Azcona, intento a descrivere con feroce precisione le aberrazioni causate dall’uso rituale e strumentale di un istituto, come il matrimonio, di cui non si sanno più perseguire i fini. Ridotto alla durata attuale dalla censura che impose 8 minuti di tagli.
Uno scapolo impenitente affitta per le scappatelle di tre amici sposati un appartamento nel quale s’installa una bella sociologa che si fa passare per donnina di facili costumi e, tenendoli a bada, li studia. Commedia che vorrebbe essere pepata e cerca in affanno di diventare maliziosa senza riuscirci per colpa di un’inerte e prolissa sceneggiatura contro la quale gli interpreti lottano invano.
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