Grazie a un’operazione neurochirurgica un giovane ritardato mentale diventa superintelligente, ma poi regredisce. Dal racconto Fiori per Algernon di Daniel Keyes, Stirling Silliphant ha tratto una sagace sceneggiatura, un po’ troppo incline al sentimentalismo, che servì a Robertson, attore medio, per vincere un Oscar. Musiche di Ravi Shankar. Lo stesso racconto diede origine a un teledramma e a un musical di scarso successo.
Il giornalista Fandor pubblica una falsa intervista con l’inafferrabile ladro che, indignato, lo sequestra e poi mette a segno un colpo clamoroso sotto le sue sembianze, facendolo finire in carcere. Duello comico-avventuroso tra lo stagionato, sempre prestante Marais nei panni del supercriminale, tratto dai romanzi (1911-14) di P. Souvestre e M. Allain e il buffo, sempre gabbato de Funès. È il 1° di 3 film con la stessa squadra. Seguito da Fantomas minaccia il mondo.
Il Tenente Sheridan ha quarantotto ore di tempo per scagionare una donna, condannata a morte, dall’accusa di assassinio. Il marito di costei viene trovato morto, e accanto al suo cadavere c’è una lettera di autoaccusa.
Un film di Claude Sautet. Con Jean-Paul Belmondo, Sandra Milo, Lino Ventura Titolo originale Classe tous risques. Giallo, b/n durata 110 min. – Italia, Francia 1960. MYMONETROAsfalto che scotta valutazione media: 2,50 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Un criminale internazionale condannato a morte cerca di sfuggire alla cattura. Con moglie, due figli e un amico sbarca a Mentone, ma ha uno scontro a fuoco con la polizia. Si salva con i figli e cerca rifugio e protezione a Parigi da vecchi amici del mestiere. Rimane solo, disperato e aumenta la serie di delitti, finché stanco della lotta e della fuga si lascia catturare.
La vita privata del violinista Sergio Masini è complicata: ha moglie con tre figli e due amanti. Il tremendo carosello di prove d’amore e di conti da pagare lo stronca. Dopo Signore e signori (1965), Germi inaugura la serie delle commedie della bontà. Lontanamente ispirato alle vicende di Vittorio De Sica, il suo è il ritratto di un santo della poligamia che vorrebbe benedetta dalla Chiesa e dallo Stato. Commedia troppo compassata, senza artigli, priva di un vero finale, con un Tognazzi bravo come al solito ma fuori parte.
1925. Un milionario si annoia nella sua immensa dimora. Il crack del 1929 in USA scompone l’economia mondiale. Arriva un circo con un’acrobata cavallerizza in cui il milionario riconosce una donna già amata, e scopre che gli ha dato il figlio Yoyo. La famigliola si riunisce e va in giro per la Francia. Finita la 2ª Guerra Mondiale, il piccolo Yoyo, diventato un clown ricco e famoso, ricompra la dimora, ma decide di andarsene sul vecchio elefante della sua infanzia. Almeno nel cinema francese sonoro, Étaix è il caso unico di un comico che non trovò un pubblico in patria (cinecritici divisi in 2 fazioni) e non fu mai distribuito all’estero. Scritto con Jean-Claude Carrière, è il 2°, e il migliore, degli 8 lungometraggi diretti tra il 1962 e il 1988. Inutile contare le sue gag, più di 100, soprattutto sonore, quasi mai nei dialoghi. Fanno sorridere, raramente ridere, qua e là inteneriscono. Restaurato dalla Cineteca di Bologna, distribuito nella primavera 2013 in edizione originale con (pochi) sottotitoli italiani.
È un film d’avventuraitaliano con Rory Calhoun nel ruolo di Marco Polo, avventuriero ed esploratore del XIII secolo. Il film è conosciuto anche in Italia anche con i sottotitoli La grande avventura di un italiano in Cina e L’avventura di un italiano in Cina.
Nel terrore dell’atto sessuale, indotto da un trauma infantile, il direttore di un istituto filantropico si è fatto seviziatore periodico (una volta alla settimana) di donne a pagamento. Ripete gli esercizi sadici sulla segretaria. Mal gliene incoglie. 1° film di fiction di Schivazappa, documentarista e regista TV. Insolito apologo di ironica eleganza e di sana cattiveria misogina che, senza darlo troppo a vedere, prende per i fondelli le mode sadomaso. Sequestrato, assolto in appello, ridistribuito. “La morale della favola è che se in particolari circostanze l’uomo può diventare un mostro, la donna lo è già per sua natura” (T. Kezich). È lei che ride per ultima.
Un film di Peter Sykes. Musicale, durata 58 min. – Gran Bretagna 1968. MYMONETRO The Committee valutazione media: 3,00 su 1 recensione.
Un autostoppista uccide brutalmente l’uomo che gli ha dato un passaggio. Salvo ricucirgli la testa subito dopo. L’inesplicabile evento è in qualche modo in relazione con un fantomatico Comitato, che si riunisce in campagna per deliberare sull’accaduto. I tesori nascosti del free cinema britannico dei Sessanta rischiano di essere più di quanto si possa immaginare. The Committee ne è fulgido esempio, ingiustamente dimenticato dai più, se non per la presenza di qualche brano rarissimo e altrimenti inedito dei Pink Floyd dell’immediato post-Barrett. Ma è solo in chicche così peculiari e necessariamente minori che si può riscoprire la forza, anche nell’ingenuità, dell’espressività psicotica e psichedelica di quell’epoca. Con gli occhi fermamente puntati all’Antonioni di Blow Up, Peter Sykes dà vita a un’ora di surrealismo socio-politico con inattese punte di macabro che, per molti versi, pare un episodio lungo e in bianco e nero de Il prigioniero del compianto McGoohan, con il gusto di Edgar Allan Poe per il grottesco e l’esagerazione da grand guignol. Indimenticabili le sequenze della repentina ed efferata decapitazione nella foresta come pure del party con l’esibizione dei The Crazy World Of Arthur Brown, scheggia di follia sixties dominata dal ballo epilettico e in maschera del folle Arthur. Un ineluttabile senso di inquietudine permea il film tutto e si manifesta attraverso avvenimenti inesplicabili o discorsi che si arrampicano su concetti inesprimibili. Trovare un senso nei dialoghi tra i personaggi è forse esercizio specioso, ma aiuta a calarsi nell’atmosfera di un’epoca unica e non ripetibile, in cui la creatività – anche quando sregolata o fine a se stessa – era nell’aria stessa che si respirava. La comprensione dei Sessanta UK passa anche da The Committee.
Giovane divo della canzone pop, che manda in delirio il pubblico dei suoi fans con esibizioni canore impregnate di violenza masochistica, viene sfruttato da un governo di destra come parafulmine della protesta giovanile e poi trasformato in un pentito profeta religioso, adatto a spingere la gioventù verso un rientro nei ranghi di una normalità dove fede religiosa e obbedienza ai poteri costituiti sono tutt’uno. Sensibilizzato da una pittrice che l’ama, cerca di ribellarsi, ma è stritolato. Film di anticipazione politica di un regista della BBC che aveva acquisito fama internazionale con L’ultimo degli Stuart (1964) e Il gioco della guerra (1966, premio Oscar per il documentario), è un apologo troppo didascalico e piuttosto isterico che sostiene l’opinabile teoria di una contiguità e continuità tra fanatismo musicale e misticismo religioso.
Una meticolosa e geniale rapina viene commessa ai danni di una banca svizzera per opera di un gruppo di abilissimi malviventi. Riusciti a trafugare un forte quantitativo di lingotti e a portarlo a Napoli, l’organizzazione vedrà sfumare sotto i propri occhi, per un banale incidente, il faticato frutto dell’impresa.
Dal dramma (1964) del tedesco Peter Weiss (adattato da Adrien Mitchell) La persecuzione e l’assassinio di Jean-Paul Marat rappresentati dai ricoverati del manicomio di Charenton sotto la direzione del marchese de Sade . L’azione si svolge nel 1808. Teatro filmato? Sì, ma di alta classe. Nel trasferire la sua messinscena dal palcoscenico allo schermo Brook è ricorso a un linguaggio filmico di forza suggestiva (primi piani alla Goya, sfocature, sapienti movimenti di macchina, luci dure; la fotografia è di David Watkin) e una compagnia di attori eccezionale tra cui spicca, primo tra pari, Magee (Sade). Il dialettico testo di Weiss e ancor più lo spettacolo di Brook hanno due padri spirituali: Brecht e Antonin Artaud, teorico del teatro della crudeltà. Almeno due scene memorabili: la flagellazione di Sade con i capelli sciolti di Charlotte Corday e la rievocazione del supplizio pubblico di Damiens. Edizione originale con sottotitoli.
In un villaggio bavarese torna Abram, malvisto dai compaesani per la sua fama di omosessuale. Le circostanze lo portano a uccidere in un impeto d’ira Hannelore, domestica del borgomastro e ritenuta di dubbia moralità (sessuale), l’unica adulta che s’è comportata con lui amichevolmente. Gli danno la caccia e lo catturano. Il giorno dopo è la festa del patrono, tutto è scordato. Dal dramma di Martin Sperr, collaboratore alla sceneggiatura e interprete principale, un duro, asciutto Heimatfilm di taglio naturalistico che diventa apologo sul “fascismo ordinario”, il farisaismo, l’intolleranza, l’ignoranza della gente di campagna. Girato in dialetto bavarese, contribuì alla nascita del Nuovo Cinema Tedesco. Fu visto e apprezzato all’estero più che in patria. In Baviera ebbe precaria distribuzione.
Molti di noi sono stati affascinati durante l’infanzia dai film horror con Boris Karloff. Sì, parliamo della generazione del bianco e nero, quando l’attore feticcio dei primordi del cinema sonoro, faceva tremare le folle. Oggi, probabilmente, il terrore è un’altra cosa. E’ nel mistero della normalità, della quoidianità, quando qualcuno perde il senno, sebbene per un attimo, e compie una strage. Bersagli di Peter Bogdanovich è un bridge fra i due livelli della paura. Costruito in modo classico, si sviluppa su due strade parallele. La storia di un attore ormai obsoleto (Boris Karloff) convinto ad abbandonare la professione, nonostante un copione interessante propostogli; la vicenda di un figlio di papà, deciso a far incetta di armi per fare fuori una selva di innocenti. E’ lo scontro fra l’orrore fantastico e quello reale. Ciò che vive nella mente e quello che leggiamo quotidianamente sui giornali. Cosa può farci più paura? Bogdanovich crea un link fra passato e futuro, dichiarando l’insostenibilità della società contemporanea e ciò che è nascosto al suo interno. E’ finita l’era dei mostri di fantasia, è iniziata l’era dei mostri reali. Magistrale la sequenza del buio nella stanza di Karloff e in quella del killer (Bobby Thompson). Il terrore oggi, ci dice il regista, è alla luce del giorno, sotto i nostri occhi.
Nei giorni drammatici precedenti la liberazione di Parigi, alla fine dell’ultima guerra, il generale tedesco Dietrich Choltitz che presidia la città si ribella all’ordine di Hitler di distruggere la capitale col fuoco.
Una banda rapisce a scopo di estorsione la figlia di un magnate. Dopo il colpo, i complici litigano e si fanno fuori. Rimane vivo Francis, alquanto distrutto dall’accaduto, a cui non rimane che liberare la giovane.
Due coppie cominciano ad annoiarsi e scoprono che si possono fare giochi birichini a 4. Buon esordio nella regia dell’attore Mazursky con una commedia simpatica che mette alla berlina con intelligenza e mano leggera i luoghi comuni della libertà sessuale degli anni ’60. Originò una serie TV.
Un film di Jan Kadar, Elmar Klos. Con Ida Kaminska, Josef Kroner Titolo originale Obchod na korze. Drammatico, b/n durata 128 min. – Cecoslovacchia 1965. MYMONETRO Il negozio al corso valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Dramma della paura. Siamo nella Praga occupata dai nazisti e un uomo timoroso di tutto è pagato per gestire un negozio sulla strada principale e custodire la proprietaria, una vecchia ebrea malandata in salute. Per un caso disgraziato la vecchia muore e il protagonista quasi impazzisce nel timore di venire accusato della sua dipartita.
Un film di Michael Armstrong. Con Herbert Lom, Udo Kier, Herbert Fux, Olivera Vugo Titolo originale Hexen. Erotico, durata 90 min. – Germania 1969. MYMONETRO La tortura delle vergini valutazione media: 1,00 su 1 recensione. Con la scusa della caccia alle streghe, un giudice inglese imprigiona molte ragazze per appagare i propri vizi. Il suo assistente apre gli occhi e libera l’innamorata; la folla non crede alla sua buona fede e lo lincia.
Un film di Norman Jewison. Con Brian Keith, Alan Arkin, Carl Reiner, Eva Marie Saint Titolo originale The Russian Are Coming! The Russian Are Coming!. Commedia, durata 126 min. – USA 1966.MYMONETRO Arrivano i russi, arrivano i russi valutazione media: 2,50 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Un gruppo di marinai russi, sbarcato in un porticciolo americano in cerca d’aiuti per disincagliare il sottomarino insabbiato, crea un pandemonio. Ma il comune sforzo, dei marinai e degli abitanti, per salvare un bimbo in pericolo porterà la pace.
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