Si rimettono insieme i balordi romani per tentare, in trasferta a Milano, una rapina al furgone del Totocalcio. Fiacco ma non spregevole seguito di I soliti ignoti. Svanita ogni intenzione critica, tutto si riduce a uno scherzoso e lamentoso appello alla comprensione per i poveri diavoli costretti a rubare.
Unico film dello sceneggiatore M. Kaufman, tratto dall’autobiografia di John Resko ( Reprieve , cioè commutazione della pena capitale), è la storia di un detenuto per omicidio, prima condannato a morte e poi all’ergastolo, che, grazie all’aiuto di un comprensivo funzionario, coltiva in carcere il suo talento artistico, si afferma come pittore e viene graziato dopo vent’anni. Film carcerario con la sordina sulla violenza, pulito, corretto, edificante e monocorde. Altro titolo originale: Reprieve .
Un film di Jerry Lewis. Con Jerry Lewis, Bob Clayton, Alex Jerry Titolo originale The Bellboy. Comico, b/n durata 72 min. – USA 1960. MYMONETRO Ragazzo tuttofare valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Il film punta sull’abilità mimica di Jerry Lewis in veste di lift d’albergo, un pasticcione pieno di buone intenzioni, cui tocca venire incontro ai capricci dei clienti, portare a spasso cagnolini eccetera. La trama è debole.
Verso la fine del secolo scorso la proprietaria di un night-club di Parigi è incriminata per attentato alla pubblica decenza a causa di un nuovo e audace ballo, il can-can. Tolta la celebre “I love Paris”, questo musical di Cole Porter non splendeva nemmeno a teatro. L’adattamento l’ha reso più fiacco. Buone le coreografie di Hermes Pan, attori simpatici. Piacevole ma tiepido. Scandalizzò Krusciov in visita negli USA.
Middle West, 1870 circa, dopo la guerra civile. Un orfanello maltrattato fa amicizia con un mistico e allucinato vagabondo delle praterie, che il ragazzo identifica col “Fool Killer”, gigante con la scure che uccide gli sciocchi, personaggio di una truce favola. Gli “sciocchi” sono coloro che, in nome del Cristo, predicano istericamente contro i peccati della carne. Scritto da David Friedkin e Morton Fine, da un romanzo di Helen Eustis, e diretto da un regista messicano, è un insolito film intessuto di tipici temi della frontiera, con qualche eco di La morte corre sul fiume . Virtuosismo figurativo, lirismo troppo premeditato. Bianconero: Alex Phillips.
Joey (William Dix) è un bambino di dieci anni piuttosto difficile e dopo un fallito tentativo di recupero in un severo istituto viene riportato a casa dal padre Bill (James Villiers), sempre indaffarato. A casa trova la mamma Virginia (Wendy Craig), ansiosa e depressa, non ancora ripresasi dalla morte della figlioletta, avvenuta anni prima in seguito a un gioco (con Joey) finito male. La governante di casa (Bette Davis) si mostra premurosa e gentile, ma Joey la odia e non fa nulla per nasconderlo. Una giovane vicina di casa, Bobbie (Pamela Franklin), cerca di confortare Joey, sempre più turbato, ma l’orrore è solo agli inizi. Il migliore psycho thriler della Hammer. La sceneggiatura di Jimmy Sangster è sicuramente “furba”, ma sa tratteggiare personaggi sfaccettati e interessanti. La regia di Seth Holt (1923-1971), ottimo autore morto prematuramente d’infarto, è raffinatissima e ricercata, capace di cogliere le sfumature psicologiche, visivamente rese con grande efficacia con un bianco e nero ricco di atmosfera (la fotografia è di Harry Waxman). Interpretazioni perfette di un cast ottimo, con Bette Davis misurata e incisiva in primo piano, e una grande Jill Bennett nella parte della zia “scapestrata”, costretta ad assumersi responsabilità non sue e a pagarne le conseguenze. Moglie per parecchi anni del commediografo britannico John Osborne (1929-1994), la Bennet, nata nel 1931, si è suicidata il 5 ottobre 1990. Il suo ultimo film è Il tè nel deserto di Bertolucci
Sono in cinque – una donna per la DC, quattro uomini per il PCI, PLI, MSI e monarchici – a presentarsi candidati alle elezioni. Ciascuno ha i suoi trucchi, fa le sue promesse, ma tutti falliscono. Film a episodi camuffato. La satira è di grana qualunquista, ma certe stoccate arrivano al bersaglio. Totò si candida per il Partito della Restaurazione (monarchica).
È l’8 settembre 1943. Mentre un maresciallo dei Carabinieri (De Sica) si traveste da prete, un falso prete (Totò) indossa la sua divisa. Equivoci e disavventure a catena. Il difetto di questa commedia grottesca sta nella sceneggiatura. Per due terzi sta in piedi, in chiave di farsa, per merito di un ottimo Totò e di un funzionale De Sica nel suo flautato gigionismo, ma verso la fine si appesantisce nel patetico. Si ride, ma spesso a spese del buon gusto e del buon senso
Ispirato a un racconto dell’ucraino Michail Kocjiubinskji di cui nel 1965 si festeggiò nell’URSS il centenario della nascita, è il film che rivelò all’estero, specialmente nell’area di lingua inglese, il talento visionario dell’armeno Parad82 anov. Gli avi dimenticati sono quelli che vivevano sui monti Carpazi all’inizio del Novecento, i Gutzul, poco conosciuta minoranza etnica di pastori poveri ma ricchi di riti, arte e canti popolari. Lo schema dell’azione è classico: l’amore-passione dei giovani Ivan e Maricka che si sposano, nonostante l’odio antico che divide le loro famiglie. Dopo varie peripezie si ritrovano uniti nella morte. Scandito in 12 capitoli, il racconto leggendario ha come base un’esplorazione antropologica del folclore nazionale minore nella quale sono coinvolti artisti e storici locali che il regista trasfigura con fantastica potenza. La storia d’amore si sfrena in un eros dilagante e morboso, travolta da incubi e sogni, da un oscuro senso del fato, dal panico rapporto con una natura misteriosa, interpretata da maghi e stregoni. Il dinamismo acrobatico della cinepresa e la straordinaria fotografia del giovane Jurij Il’enko sono di un formalismo vertiginoso che la colonna sonora trasforma in poesia barbara e tragica. Scritto da Parad82 anov e Ivan Cendej. 1° premio al Festival del Mar del Plata, selezionato ai Festival di San Francisco 1965 e Montréal 1966.
Giovane cow-boy impiega molti anni per vendicarsi dei tre rapinatori che gli hanno ucciso i genitori. Arriva persino a fingersi bandito. Il dolce sapore della vendetta è il succo di questo robusto western violento. Scritta da J.M. Hayes e basata su un personaggio del romanzo The Carpetbaggers (L’uomo che non sapeva amare) di Harold Robbins, la sceneggiatura convenzionale è migliorata da una regia competente e da una buona squadra di attori.
Nel 1980 il minuscolo pianeta Rhethon, abitato da esseri simili a lillipuziani in guerra contro i solariti, loro acerrimi nemici, entra nel sistema solare e, incrociando l’astronave Pegasus del capitano Frank Chapman, la costringe ad un atterraggio di fortuna. L’uomo, la cui statura a contatto con l’atmosfera dell’asteroide si è rimpicciolita, cade prigioniero dei rhethoniani.
La tormentata esistenza dei soldati in uno sperduto forte nella pampa argentina del primo Ottocento. Indigeni e disertori complicano la vita quando un convoglio di donne si mette in viaggio verso il forte. Efficace nell’ambientazione e nella ricerca dei motivi che portano alla disperazione gente allo sbando e mal guidata. È il remake di Pampa bárbara (1945), il 1° film dell’argentino H. Fregonese che lavorò a Hollywood e in Europa. Altro titolo originale: Savage pampas.
«Morire gratis è morire per niente ma io non ho paura della morte… artista delegato, impotente, alcolizzato». Sono le parole di Franco Angeli, nella vita come nel film artista romano di piazza del Popolo, in viaggio on the road da Roma a Parigi in compagnia della sua ultima creazione artistica: una lupa capitolina. In netto anticipo rispetto a Easy Rider (la droga viene nascosta nel ventre della scultura, nel film statunitense veniva collocata nel serbatoio delle motociclette), Morire gratis è l’unico lungometraggio, mai distribuito, di Sandro Franchina, rosselliniano nell’ascendenza (interpretò il bambino di Europa ’51), amico di Jean Rouch, di Bellocchio e di Rohmer, collaboratore di Langlois alla Cinémathèque Française. Il film è uscito solo di recente dall’ oblio.
Dopo la chiusura delle case di tolleranza (Legge Merlin: 20-09-1958) 4 prostitute si associano per aprire una trattoria in campagna. Ma l’ex cliente borghese che le ha aiutate le ricatta, obbligandole a riprendere il vecchio mestiere. Scritto con Ruggero Maccari, Ettore Scola e Tullio Pinelli, il 5° film di Pietrangeli ha 3 componenti che non sono ben fuse, lo rendono turgido e, insieme, fragile: il verismo della 1ª parte, la commedia di costume, l’istanza sociale e moralistica. Le parti più deboli sono la 1ª e la 3ª in cui si accavallano più finali per ribadire lo stesso concetto. Le doti del regista/sceneggiatore risaltano nella parte centrale col graduale trapasso psicologico delle 4 donne. Con una sorpresa nella recitazione: la Milo e la Rovere sono meno brave delle due francesi, ma più vere.
Mentre sta finendo il progetto di una potentissima arma segreta, uno scienziato sparisce e ricompare… cadavere. 077 indaga. I film di spionaggio italiani non superano mai un certo livello, ma non si può negare che questo di Grieco (alias Terence Hathaway) ha una sua dignità: abbastanza spettacolare e movimentato, ligio agli elementi convenzionali del filone.
Il professor Abel ha inventato il “siero Z” che può mantenere in vita organi di animali morti collegandoli ad una macchina avveniristica. Sofferente di crisi cardiache, l’uomo ordina al dottor Ood di trapiantare il suo cuore in caso di un attacco mortale e quando il temuto evento si verifica, l’assistente segue scrupolosamente le indicazioni del maestro, ma con intenti “leggermente” diversi: di Abel sopravvivono, infatti, soltanto il cervello e la testa amputata. Reso folle dall’ebbrezza del successo e sapendo di poter costringere quanto resta di Abel (…la parte più geniale) a collaborare, il dottore continua altri spaventosi esperimenti che culminano nel trapianto della testa di Irene – infermiera dal viso bellissimo ma dal corpo sgraziato – sulle membra perfette di Lilly, splendida spogliarellista. Come è prevedibile, le sparizioni delle ragazze insospettiranno ben presto la polizia che non tarderà a ricollegarle al laboratorio del dottor Ood. La presenza del “mostro sacro” Michel Simon (nel ruolo del professor Abel) e le scenografie di Hermann Warm (che al suo attivo ha il celebre Gabinetto del dottor Caligari) conferiscono al film le giuste atmosfere per farlo apprezzare. Il personaggio di Irene richiama, forse, la figura di Nina, infermiera bella ma deforme nel corpo, di House of Dracula (da noi giunto con il titolo La casa degli orrori).Ultimo film di Victor Trivas (già sceneggiatore di El Moderno Barba Azul), conosciuto negli Stati Uniti con i titoli: A Head for the Devil, The Head, The Screaming Head.
Un uomo accetta di fare da cavia per un esperimento scientifico che lo riporta indietro nel tempo. Rivive l’esperienza dolorosa di un amore tragicamente finito e tornato nel presente avverte ancora più forte il vuoto nella propria vita. Il grande regista di Hiroshima mon amour rielebora, con la collaborazione del romanziere Jacques Sternberg, il pretesto fantascientifico del viaggio nel tempo per realizzare un film che sul tempo riflette e sulla memoria. Un’esemplare esercizio di stravolgimento del senso della realtà, soffuso di malinconia, tutto racchiuso nella solitudine e nel rimpianto del protagonista. Uscito a ridosso della tempesta sessantottina, il film venne praticamente ignorato o, al più, contestato come sintomo di scarsa sensibilità ai temi civili e sociali da parte di un celebrato maestro della nouvelle vague.
Affidato alle cure di una zia dottoressa, rampollo degenere di una famiglia di industriali veneti la coinvolge nella propria nevrosi. Più che al sesso punta alla morte. La propria. Esordio del padovano Samperi sulla scia di Pugni in tasca (1965) di Marco Bellocchio, in linea con Escalation di Roberto Faenza uscito nello stesso anno. “Incerto e poco efficace nella prima parte… prende quota nel procedere dei rapporti tra zia e nipote” (T. Kezich). Furbetto.
Ambizioni da romanzo nella sceneggiatura di Gianfranco Calligarich in cui accenti di mesta elegia stingono nelle cadenze risentite della polemica antiborghese: è sotto assedio la ricca ma declinante borghesia di Trieste. Faticosa educazione sentimentale di un ventenne bennato (Carrière): morboso rapporto con madre possessiva (Domergue) e disprezzo per padre intrallazzatore (Centa); relazione con vedova inquieta (Collins) e fascinazione per un antiquario estetizzante (Serato). C’è anche il suicidio di un ingegnere lacerato dalla lotta di classe. Troppa carne al fuoco per un cuoco che ha i toni del comiziante e la pedanteria di un sociologo approssimativo. Civetterie culturali e scolastici esercizi visivi. 1° lungometraggio regolarmente distribuito del fiumano R. Scavolini. Esposto a Venezia col titolo L’amore breve .
Una mattina a Roma in tram Cesare, idraulico di 55 anni, vede morire un uomo e va in tilt. Smette di lavorare, deciso a godersi la vita, ma anche questa svolta si rivela una sconfitta. Il 2° film di Petri, e uno dei suoi migliori in assoluto, nasce da un’insolita contaminazione: un tema esistenziale inserito in un contesto neorealistico con un linguaggio che risente della lezione di Rossellini, ma anche di Antonioni e del primo Godard. Un racconto di dolente verità, uno straordinario Randone. Scritto con Tonino Guerra. 1° premio al Festival di Mar del Plata.
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