S’alternano, in montaggio parallelo con convergenza finale, 2 storie, l’una a far da specchio all’altra: l'”apocalittica” o arcaica e la “tedesca” o moderna. In una un giovane (P. Clementi), disperato divoratore di farfalle, serpenti e carne umana che vaga per i campi desolati di un vulcano (l’Etna) è gettato dalla società in pasto alle belve; nell’altra il malinconico erede (J.-P. Léaud) di una dinastia industriale che non vuole obbedire, ma non sa disobbedire, è divorato dai porci per i quali prova un’attrazione fisica. La 1ª ha il cupo e chiuso orrore di una saga di tensione epico-lirica; la 2ª è in chiave ironico-satirica con cadenze di operetta morale. L’una è consegnata a un violento silenzio, rotto da grida, lamenti, rumori; l’altra s’affida alla parola in un fitto e caustico dialogo, persino in couplets dalle rime baciate. Morale della favola: la società organizzata è un porcile in cui si ripete storicamente la tendenza (necessità) a distruggere i propri figli ribelli o indifferenti che si rifiutano di accettare l’ordine costituito.
Una notte, uno zingaro fa irruzione nell’accampamento di un circo itinerante. L’uomo è agonizzante. Mormora qualche frase sconnessa a proposito di una vendetta di Gwangi e muore lasciando cadere un sacco in cui si agita qualcosa di vivo. Il sacco contiene un heoippus, un minuscolo cavallo preistorico incredibilmente vivo e vegeto, e gli uomini del circo pensano subito di farne l’attrazione principale per i loro spettacoli. Alcuni zingari, spaventati da una maledizione che incomberebbe sulla valle dalla quale l’animale è stato sottratto, lo rapiscono con l’intenzione di liberarlo. Kirby ed i suoi cowboys si mettono sulle sue tracce, si addentrano nella valle proibita e scoprono che è abitata da gigantesche creature preistoriche. Dopo avere assististo ad una tremenda lotta fra due giganteschi animali, i cowboys manovrano con abilità i lazos e fanno prigioniero un dinosauro-tirannosauro, già pregustando il momento in cui lo esibiranno nel loro spettacolo. Ma Gwangi – questo è il nome del mostro preistorico – al momento di “debuttare” sulla scena, fugge dalla gabbia e scatena paura e caos tra gli abitanti della cittadina accorsi a vederlo. Gwangi è una vera e propria furia: nulla sembra fermarlo. Insegue i fuggitivi in lungo e in largo fino a restare prigioniero all’interno di una chiesa in riparazione. Nell’edificio Kirby cerca di abbatterlo. Nell’impari lotta l’uomo sembra avere la peggio, ma cadendo sulla tastiera di un organo scopre che il suono stordisce l’animale. Approfittando della circostanza, il cowboy ferisce Gwangi e mentre l’animale urlante e furioso cerca una via d’uscita, dà fuoco all’edificio. Il film nasce da un progetto accarezzato da Willis O’Brien nel 1942 e che nel 1950 aveva trovato forma, con la collaborazione di Harryhausen, nel soggetto “The Valley of the Mist”. In questo senso, la pellicola è un omaggio al grande maestro della stop-motion. Il Gwangi di O’Brien doveva essere una sorta di gigantesco scorpione. Harryhausen preferice trasformarlo in un dinosauro per giocare più liberamente con i trucchi e per rendere più movimentata la storia. Il film è spesso considerato minore e convenzionale, ma ad un esame più attento ci si accorge che questo giudizio è poco fondato. La sceneggiatura presenta i personaggi e il mostro come simboli della eterna lotta tra l’eroe, la bella e la furia cieca del male primordiale: una caratterizzazione che volutamente trascura il ritratto psicologico dei protagonisti. Anche l’uso del colore è concepito per avvalorare il significato della favola, con una predominante del rosso a significare di volta in volta il mistero (gli zingari), la sensualità (una scatenata danzatrice), la vittoria del bene (le fiamme che bruciano la bestia). Una impostazione lineare che viene imprevedibilmente ribaltata nella sequenza finale dove un bambino piange la morte del mostro e che suggella, in definitiva, il trionfo dell’ordine sulla libertà della natura, e quindi della fredda razionalità sulla spontanea innocenza della fantasia. Nonostante la qualità del lavoro di Harryhausen, La vendetta di Gwangi non riscosse il successo sperato. Forse perché già estraneo in un cinema che cominciava ad essere permeato dalla contestazione giovanile o forse perché anacronistico in un genere, proprio in quell’anno, segnato dalle riflessioni filosofiche e dalle sbalorditive soluzioni di 2001: Odissea nello spazio.
La vita di un avvocato romano scapolo è sconvolta dall’improvvisa passione per una formosa popolana che sotto un’apparente apatia nasconde le unghie di una rapacità programmata. Da un romanzo di Alba De Cèspedes il sottile Giraldi ha cavato una commedia di costume che, tra le righe di un intrigo beffardo, cela un’amarezza autentica. La Rei tiene testa a Tognazzi.
Impegnato e spesso riuscito tentativo di ricostruire la vita di Dante Alighieri evitando nel contempo le secche del «culturale» televisivo e anche quelle del teleromanzo facilone. Le puntate migliori sono quelle imperniate sulla vita politica di Dante (la battaglia di Campaldino, gli scontri con la fazione dei guelfi di Corso Donati, lo scontro personale con papa Bonifacio VIII impersonato da un torvo e nevrotico Claudio Gora).
Il pistolero Minnesota Clay (Mitchell) evade dal carcere dov’è detenuto per omicidio e va alla ricerca di Fox (Rivière), un fuorilegge che può scagionarlo ma che nel frattempo è diventato il disonesto sceriffo della cittadina messicana Mesa Encantada. 1° western italiano firmato da un regista che non si nasconde sotto uno pseudonimo all’americana. Corbucci con Django (1966) avrà enorme successo.
Kriminal e due avventurieri, ciascuno in possesso delle due diverse parti di una mappa, decidono di unire i loro sforzi per cercare il tesoro. I due avversari tentano di ingannare Kriminal.
Da un romanzo di Nicholas Mosley adattato da Harold Pinter: in un college dell’università di Oxford due docenti di mezz’età prendono una sbandata sentimentale per una studentessa, il cui boyfriend muore in auto.
È una lucida e perfida parabola che disegna, catalizzati dalla studentessa straniera, i conflitti di rara protervia che si nascondono dietro il silenzio operoso di un microcosmo universitario, dietro i riti più raffinati di una cultura. Pinter & Losey portano alle estreme conseguenze uno scavo dei comportamenti, negando con radicale impassibilità ogni catarsi e identificazione positiva. La fotografia di Jerry Fisher e gli interpreti fanno il resto.
Uno scienziato cieco registra quel che la moglie (che è innamorata del giovane avvocato di famiglia) dice quando fa strani sogni. Dopo la tragica morte del marito, lei potrebbe godersi denaro e libertà, ma gli strani sogni continuano. C’è sotto un complotto. Scritto da Robert Bloch, l’autore di Psycho, è un thriller a basso costo poco convincente a livello della logica narrativa, ma con un’atmosfera e almeno due svolte sorprendenti. Ultimo film per il cinema di B. Stanwick.
Diventato adulto, Bill parte alla ricerca dei cinque banditi che distrussero la sua famiglia. Pur seguendo gli schemi, vivace e di buon ritmo. Uno dei 58 “spaghetti-western” del 1967.
Un film di Jack Smight. Con Rod Steiger, George Segal, Lee Remick, Murray Hamilton, David Doyle Titolo originale No Way to Treat a Lady. Poliziesco, durata 108 min. – USA 1968. MYMONETRO Non si maltrattano così le signore valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Gara d’astuzia, venata d’umorismo, tra un poliziotto e uno strangolatore folle. Questi, sicuro della propria superiorità, tormenta il rivale con una serie di telefonate. Nell’ultima dichiara d’essere ormai imprendibile perché ha deciso di ritirarsi dal crimine. L’investigatore, allora, monta una trappola.
Un film di Frank Tashlin. Con Jill St John, Ray Walston, Jerry Lewis Titolo originale Who’s Minding the Store?. Comico, durata 90′ min. – USA 1963. MYMONETRO Dove vai sono guai valutazione media: 2,79 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Di mestiere accompagna i cani a passeggio, sentimentalmente è legato a una commessa che, in realtà, è ricchissima, ma lui non lo sa. È il settimo film di J. Lewis con la regia di Tashlin, e uno dei più squilibrati. Ma le sequenze buffe non mancano tra cui, buffissima, quella in cui Lewis cerca di vendere scarpe a una lottatrice. E i numeri di Tashlin, geniale coordinatore di disordini, non mancano: la macchina da scrivere, l’aspirapolvere, il golf.
Dal romanzo The Berlin Memorandum di Len Deighton: Harry Palmer, agente segreto britannico, deve far passare il muro di Berlino a un colonnello sovietico che intende disertare, ma c’è un altro agente inglese che fa il doppio gioco. 2° film della serie Harry Palmer, dopo Ipcress (1965) e prima di Il cervello da un miliardo di dollari (1967). Prima intrigante, poi sempre più confusa, la vicenda ha tante giravolte che persino Sherlock Holmes ne rimarrebbe spiazzato. C’è suspense, comunque, e alcuni colpi di scena sono ben piazzati.
Il dottor Génessier (Pierre Brasseur) è un chirurgo di eccezionale bravura, la cui vita è sconvolta dall’incidente d’auto che è costato la bellezza alla figlia Christiane (Edith Scob), costretta a vivere dietro una maschera bianca per celare a chiunque, anche a se stessa, il suo volto deturpato. Ma Génessier non si rassegna e con disperata determinazione cerca di restituire alla figlia la bellezza perduta servendosi dei volti di ragazze adescate grazie all’aiuto della fedele assistente Louise (Alida Valli). Capolavoro assoluto di uno dei registi più unici e interessanti del cinema francese. Affascinante melodramma orrorifico, girato con uno stile sublime in un bianco e nero allucinante che rende alla perfezione i chiaroscuri dell’anima, è un film di cui è facile innamorarsi e che dimostra come anche la materia più greve e potenzialmente effettistica come l’horror chirurgico – di cui questo film è una sorte di precursore – possa essere elevata ai massimi livelli artistici. La trama è semplice, ma è raccontata con qualità narrative e visuali uniche acquisendo significati e valori molteplici e profondi. I personaggi, lungi dall’essere le macchiette monodimensionali che caratterizzeranno il sia pur godibilissimo per altri versi sottogenere sadico-chirurgico, sono estremamente complessi e sfaccettati, resi con grande senso drammatico da ottimi interpreti tra cui una grande Alida Valli e un sofferto Pierre Brasseur. Su tutti però emerge la tragica figura di Edith Scob, la cui maschera bianca, simbolo di una purezza destinata a infrangersi, è un’icona che non si dimentica. Poco dopo, con #Vedi#Il diabolico dott. Satana, Jesus Franco avrebbe dato la versione pulp dell’argomento
Lo spregiudicato banchiere Thomas Crown, che ha fatto un grosso colpo nella sua stessa banca, viene scoperto da una bella e intelligente detective, con la quale instaura una relazione. La donna vuole però denunciarlo e quando lui, lanciandole una sfida, la informa del luogo dove ha progettato un nuovo colpo, lei avverte la polizia. Ma al posto della refurtiva viene trovato un biglietto con cui Crown…
Un giovanotto decide di vendicare il padre assassinato. Uno sceriffo dapprima gli mette i bastoni fra le ruote, poi gli dà una mano. L’omicida, un barone del bestiame, pagherà il fio dei suoi misfatti.
Nella Hollywood degli anni ’30 giovanissima star del cinema lascia la madre svanita che viene ricoverata in manicomio, e impara a vivere in un mondo ambiguo e spietato. Tratta da un romanzo del critico inglese Gavin Lambert, è una variazione divertente, graffiante, antirealista sul tema di È nata una stella. Discontinuo, qua e là un po’ isterico ma interessante.
Ospite nel castello della fidanzata in Inghilterra, si accorge che succedono cose terribili: le radiazioni di una meteorite trasformano in mostri piante e persone. Tratto da un bel racconto di H.P. Lovecraft The Color Out of Space, rifatto nel 1987 da David Keith (The Curse), è un horror che spreca una buona idea di partenza.
Una ragazza di provincia si trasferisce nella capitale americana e va ad abitare con un’amica in una pensione la cui proprietaria si arricchisce con la tratta delle bianche. Un ragazzo si innamora di lei ma la giovane, credendo che la tradisca con l’amica, cerca di conquistare il suo principale che a sua volta ha preso una cotta per la sua compagna. Questa un giorno scompare e i tre personaggi la cercano finché la trovano, smascherano il losco commercio e dichiarano reciprocamente i propri sentimenti.
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