Durante la seconda guerra mondiale un gruppo di prigionieri angloamericani, rinchiusi in un campo speciale, organizzano un’evasione di massa attraverso gallerie sotterranee scavate faticosamente. Un po’ prolisso nei suoi 168 minuti (durata dell’edizione originale), è però un eccitante film di guerra tratto da una storia vera. Toglie il respiro. Molto ben fotografato da Daniel Fapp in località della Germania. McQueen in moto sopra tutti. Musiche di Elmer Bernstein. Sceneggiato da James Clavell e W.R. Burnett da un libro di Paul Brickhill.
Nel 1917 un soldato britannico è processato per diserzione. Lo difende un capitano che non riesce a sottrarlo al plotone d’esecuzione. Sarà lui a dargli il colpo di grazia. È considerato, con Orizzonti di gloria (1957), il capolavoro del cinema antimilitarista del dopoguerra. Dramma-dibattito, è un film che oscilla tra l’opera a tesi alla Brecht e la ricerca visiva di Losey. Tratto dal dramma Hamp di John Wilson e sceneggiato da Evan Jones.
Dopo l’8 settembre 1943 un sottotenente ligio ai superiori (Sordi), in mancanza di ordini non riesce a tenere unito il suo reparto che, spinto dal desiderio di tornare a casa, se la svigna. Restano con lui il sergente Fornaciari (Balsam) che vuole raggiungere la sua casa poco distante e il soldato semplice Ceccarelli (Reggiani) che non se la sente di fuggire da solo dovendo raggiungere Napoli. La traversata da nord a sud dell’Italia, flagellata dalla guerra e in preda all’anarchia, lo fa maturare. Fusione ben temperata di comico, grottesco, drammatico e patetico: una storia corale con Sordi meno mattatore del solito. “Sotto le mentite spoglie di una commedia, il film è sostanzialmente un racconto a tesi … quello della scelta che ciascuno è chiamato a fare almeno una volta nella sua vita” (G. Gosetti). È forse il miglior film di L. Comencini, una delle rare mediazioni felici tra neorealismo e commedia italiana, grazie all’apporto di Age & Scarpelli (più Marcello Fondato) in sceneggiatura. Il ministro Giulio Andreotti rifiutò di mettere a disposizione 2 carri armati (furono costruiti in compensato). Prodotto da Dino De Laurentiis. Grande successo: più di 1 miliardo di incasso del 1960.
Dopo sei anni passati in cima a una colonna alta venti metri, nei pressi di Aleppo (Siria), il monaco Simone è trasportato dal Maligno, in jet, dal V al XX secolo e lasciato in una discoteca di New York. Film breve, perché incompiuto, ma non minore, compendia le qualità di Buñuel. Trasparenza della forma, limpidità dell’aneddoto, densità dei temi. È il suo film più settecentesco. Grande ricchezza fantastica e grottesca. Le metamorfosi del Diavolo (meglio: i travestimenti di Silvia Pinal), personaggio di esplicita carica blasfema, sono la vera novità del film che non fu terminato per colpa del suo produttore Gustavo Alatriste che, pentito, poi cercò di finirlo, proponendolo a Kawalerowicz, Rocha, Truffaut, Bellocchio, Kubrick. Tutti rifiutarono. Pur così incompiuto, ebbe un Leone d’argento e il premio Fipresci a Venezia.
Interviste di M. Ophüls, André Harris e Alain Sedouy con canzoni di Maurice Chevalier. Cronaca del periodo 1940-44 nella città di Clermont-Ferrand, non lontana da Vichy, sede del governo di Pétain, ma anche uno dei centri della resistenza antitedesca. È un’inchiesta di 4 ore sul comportamento del francese medio durante la guerra e l’occupazione. A poco a poco il quadro si allarga alla Francia intera. Uomini politici, capi militari, modesti cittadini, ex combattenti, partigiani e collaborazionisti si succedono, rievocando gli avvenimenti cui parteciparono o di cui furono testimoni. Con obiettività smantella più di un mito, a cominciare da quello di una Francia unanime nel suo martirio di nazione antinazista travolta dalla potenza tecnico-militare germanica. Pone sul tappeto diversi temi: la contestazione dell’eredità culturale e storica proposta dalla classe dirigente; il rifiuto della dicotomia tra resistenti e collaborazionisti; il ruolo dei mezzi di comunicazione e propaganda. “È una vera opera cinematografica che s’impone per la struttura, la progressione drammatica, il ritmo e la potenza delle immagini. Gli autori hanno letteralmente ‘messo in scena’ il materiale storico di cui disponevano e l’hanno reso caldo e vivo. Questo film rigoroso che smuove tanta cenere diventa tra le loro mani una fosca epopea” (J. de Baroncelli). Realizzato per la TV di stato francese (ORTE), che si rifiutò di metterlo in onda, fu proiettato nell’aprile 1971 nel cinema d’essai parigino Studio Saint-Severin (200 posti) e poi al Paramount-Elysées e rimase in cartellone per diversi mesi. Finanziato dalla TV tedesca e dall’editrice Rencontre di Losanna, in Italia fu messo in onda alla fine degli anni ’70. In Francia fu trasmesso soltanto nel 1981. Nel 1988 Marcel Ophüls, figlio del celebre Max, realizzò un programma analogo: Hôtel Terminus – Klaus Barbie, sa vie et son temps , su un criminale di guerra delle SS.
Napoleone trasforma la Repubblica di Francia in Impero poco dopo aver dichiarato guerra all’Inghilterra che a sua volta ha chiesto aiuto all’Austria e alla Russia. La gigantesca armata austriaca e russa affronta l’esercito francese sicura di vincere, ma l’abilità strategica di Napoleone capovolge la situazione.
Nella Kyoto del tardo medioevo, un giovane samurai, trovatosi in povertà, accetta di prendere servizio presso un signore di una lontana provincia e abbandona l’addolorata moglie. Passano alcuni anni e il samurai, dopo aver fatto carriera, si sposa con la giovane figlia del signore. Ma in lui comincia a riaffiorare, dopo il secondo matrimonio, il ricordo della sua prima moglie.
In quattro episodi ambientati in epoche diverse tutta la magnifica arte di un film che almeno agli occhi non può passare inosservato: la sontuosità delle carrellate, l’attenzione maniacale con cui sono studiate le inquadrature, la ricchezza delle scenografie e una fotografia straordinaria impreziosiscono ogni singolo fotogramma, vero trionfo della superba inclinazione orientale per il cinema dall’impatto visivo più stordente. Quattro episodi che si agganciano ad antichi racconti in cui la presenza di uno o più fantasmi o di eventi misteriosi e inspiegabili è sempre discreta, mai invadente, lontana dalla facile spettacolarizzazione cui Hollywood da anni ci ha abituato.
Un film di Milos Forman. Con Jana Brejchova, Vlamidir Pucholt Titolo originale Lásky jedné plavovlávsky. Commedia, b/n durata 82 min. – Cecoslovacchia 1965. MYMONETRO Gli amori di una bionda valutazione media: 3,71 su 10 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Durante una festa in una cittadina di provincia una ragazza, operaia in una fabbrica, conosce un giovanotto, pianista, originario di Praga. Fanno l’amore. Poi lui se ne va. Lei lo segue a Praga ma viene accolta tiepidamente dal pianista e freddamente addirittura dalla famiglia di lui. La bionda ritorna alla fabbrica, favoleggiando con le amiche delle sue avventure nella capitale.
Episodi della guerra civile tra guardie zariste e bolscevichi in Russia nell’estate del 1918. Il titolo originale sta per “Stellati, soldati”, le prime due parole dell’Internazionale in lingua magiara. Conosciuto anche come I rossi e i bianchi . Pur non privo di senso politico (sebbene la propaganda sia così controllata che le 2 parti si equivalgono moralmente sul piano della crudeltà), prevale il gusto dell’esercizio stilistico con belle invenzioni liriche, e una freddezza di fondo.
Dal romanzo di Vasco Pratolini. È la storia di due fratelli, dai primissimi anni dell’infanzia fino alla morte di Lorenzo, il minore, fra i due il più esposto, gracile e sfortunato.Enrico, il maggiore, giornalista faticosamente realizzatosi, rievoca gli sforzi per sostenere il fratello durante l’infanzia e l’adolescenza, la malattia di Lorenzo, l’ultimo penosissimo viaggio a Firenze, dove il poveretto va a morire.
Rosemary Woodhouse (Farrow) sospetta una congiura demoniaca contro la creatura che porta in grembo, organizzata con la complicità del marito attore (Cassavetes) dagli arzilli Castevet (Gordon e Blackmer), coinquilini-stregoni mimetizzati negli abiti della borghesia di New York. Realtà o psicosi? Il polacco R. Polanski – al suo 1° film made in USA dopo 3 britannici – affascinato dal senso di mistero che serpeggia nel romanzo di Ira Levin, ne cava un memorabile esempio di cinema della minaccia e ripropone il tema dell’ambiguità fino a farne la struttura portante della narrazione. È “un incubo cinematografico dove la possibilità di orientarsi tra fantastico e reale è persa sempre, mentre resta a dominare la scena la sensazione di angoscia ridotta al grado zero e perciò ancor più inquietante” (S. Rulli). Oscar per R. Gordon. Prodotto da William Castle per la Paramount, nel 1976 ebbe un seguito TV di nessun interesse.
Un film minore di Kurosawa, girato in mezzo a due capolavori ( La fortezza nascosta e La sfida del samurai). Minore, ma più ambizioso e moralista. Toshiro Mifune è il figlio bastardo di un magnate, che non indietreggia davanti a nulla pur di far carriera. Né mancano le sue vendette (il padre venne ucciso)
Nel XVII secolo un samurai vagabondo arriva in un villaggio insanguinato dalla guerra tra due clan e, con machiavellica strategia, diventa l’ago della bilancia mettendo gli uni contro gli altri. Splendido film d’azione in chiave ironica e di ritmo snello, ma anche limpida parabola sulla cupidigia del denaro con risvolti ironici e una lontana parentela con Goldoni (Arlecchino servitore di due padroni). Yojimbo (che significa “guardia del corpo”) è il modello su cui Sergio Leone ricalcò Per un pugno di dollari e Walter Hill Ancora vivo. Ma, forse, all’origine di tutto c’è Red Harvest (Piombo e sangue, 1929) di Dashiell Hammett.
Un film di Akira Kurosawa. Con Kyôko Kagawa, Toshiro Mifune, Takeshi Kato Titolo originale Warvi yatsui hodo yoku nemuru. Drammatico, b/n durata 150 min. – Giappone 1960. MYMONETRO I cattivi dormono in pace valutazione media: 3,17 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Il fulcro della vicenda è la vendetta di Nishi, il cui padre è stato licenziato da una società. Nishi si fa assumere senza che nessuno sospetti e dopo essere diventato dirigente sposa la figlia del capo. Ma non riuscirà a portare a termine la vendetta, causa un suicidio. Un buon film dal grande regista giapponese.
Un film di Akira Kurosawa. Con Toshiro Mifune, Tatsuya Nakadai Titolo originale Tengoku to jigoku. Giallo, b/n durata 142 min. – Giappone 1963. MYMONETRO Anatomia di un rapimento valutazione media: 3,63 su 12 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Dal romanzo Due colpi in uno (1959) di Ed McBain. Credendo di rapire il figlio di un grande industriale, uno studente sequestra quello del suo autista. L’industriale paga egualmente il riscatto. Un commissario di polizia ricerca il rapitore: la sua è una discesa all’inferno. Dall’intreccio di un romanzo “nero” americano A. Kurosawa cava una profonda riflessione etica sull’esistenza del male, i misteriosi legami tra i destini umani (e tra vittima e carnefice), contrapponendo l’alto (il cielo) della lussuosa villa dell’industriale con il basso (l’inferno) di una metropoli dove regnano il delitto, la prostituzione, la droga.
Un medico di nobili sentimenti è a capo di un ospedale per povera gente. Il suo assistente imparerà da lui a stabilire un contatto umano, prima che professionale, con i pazienti.
Cresciuta in una famiglia di miserabili contadini del Nord, dov’è sfruttata sul lavoro e sul piano sessuale (anche in un rapporto incestuoso dal padre), Tome trova la sua autonomia in città, passando da operaia a cameriera, poi prostituta e tenutaria di un giro di “squillo”, irriducibile nella sua lotta per sottrarsi alla sottomissione. Un’altra impietosa eppur appassionata incursione di S. Imamura nella storia del Giappone “basso”, povero, emarginato del Novecento con uno svolgimento cronologico frammentato in una dozzina di capitoli dal 1918 al 1962. Scritto con Keiji Hasebe e fotografato magnificamente in Scope (imposto dalla Nikkatsu) da Shinsaku Imeda, anche con uso di obiettivi anomali (210 mm e persino 700 mm), è un’importante tappa di un cinema corporale ed eterodosso che non fa concessioni al populismo. Il titolo originale significa “Giappone l’insetto”. Proclamato migliore film giapponese del 1963.
Il dottor Mabuse è sparito dalla circolazione, eppure molti gli attribuiscono la responsabilità di alcuni delitti e di un tentato suicidio. Le indagini della polizia convergono su un hotel. Altri omicidi avvengono prima della scoperta del colpevole.
Drammatica storia dell’amore di Enrico VIII, re d’Inghilterra, per Anna Bolena. Amore che durò dal gennaio del 1533 al 18 maggio 1536 quando il re la rinnegò per sposare Jane Seymour. Pur essendo svincolato dall’opera teatrale di Maxwell Anderson da cui è tratto, ha i suoi pregi nei dialoghi, nella spettacolarità delle scene e nel disegno dei personaggi. Polpettone in costume che ebbe ben 10 nomination agli Oscar vincendone uno per i costumi.
Un architetto inglese e sua moglie rievocano, durante un viaggio in auto verso il Sud della Francia, i dodici anni del loro matrimonio. Schermaglie, incomprensioni, conflitti e la tristezza del tempo che passa. Un film di culto almeno per una generazione di spettatori romantici. Tutto concorre a un risultato felice: la sceneggiatura e i dialoghi di F. Raphael che sa miscelare bene commedia, dramma, sentimento; l’eleganza inventiva e matematica della regia; la direzione degli attori (Finney eccellente, Hepburn straordinaria); la fotografia di C. Challis che è un’elegia del sole; la musica di H. Mancini. C’è un paradosso in questa storia divisa in tre viaggi: più diventano ricchi, meno sono felici. Le tre auto sono una vecchia MG, una Triumph Herald e una lussuosa Mercedes. Era dai tempi di William Powell-Myrna Loy che sullo schermo un matrimonio non veniva raccontato in modo così eccitante. Qualche virtuosismo tecnico di troppo.
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