Ritrovatisi a commemorare la scomparsa dell’amico Miwa, tre uomini si preoccupano dei destini della vedova Akiko e della figlia Ayako e decidono di proporre loro dei buoni partiti affinché si sposino. Ayako, pur trovando gradevole la compagnia del pretendente Goto, si rifiuta di sposarlo per non lasciare da sola la madre. Quando però viene a sapere che anche Akiko potrebbe risposarsi, Ayako va su tutte le furie, convinta che la memoria del padre sia stata tradita. Il terzultimo film del maestro giapponese è anche il compendio del suo ultimo periodo, quello dell’Ozu a colori, caratterizzato da toni da commedia, che ha inizio con Fiori d’equinozio. Ogni situazione, discordia, evento affrontato in Tardo autunno rimanda ad almeno un’altra opera dell’autore, così come il cast, popolato da tutti i volti che hanno contraddistinto le opere precedenti.
Mentre tenta di organizzare il secondo matrimonio della sua ex nuora Akiko, vedova, e della figlia minore Norito, Manbei Kohayagawa riceve visite clandestine da parte della sua ex amante Tsune e della figlia illegittima Yuriko.
Ha come protagonista il regolare Chishū Ryū di Ozunei panni del patriarca della famiglia Hirayama che alla fine si rende conto di avere il dovere di organizzare un matrimonio per sua figlia Michiko ( Shima Iwashita ). Era l’ultimo film di Ozu; morì l’anno successivo il giorno in cui compì 60 anni.
Oggi, An Autumn Afternoon è considerato da molti uno dei migliori lavori di Ozu.
Doveva essere un concerto dedicato all’amore dei vent’anni. Purtroppo alcuni suonatori, tra cui Renzo Rossellini, non sapevano leggere la musica. Si salvano in due, Truffaut e Wajda.
“Antoine e Colette” di Truffaut: Episodio Girato a Parigi, l’episodio diretto da François Truffaut costituisce il secondo capitolo del ciclo dedicato ad Antoine Doinel, interpretato da Jean-Pierre Léaud, dopo I 400 colpi. Antoine è innamorato di Colette, una ragazza parigina di buona famiglia, che però non è interessata al suo amore, nel corso dell’episodio, finalmente rivede il suo amico Renè che non vedeva da tanto tempo.
Nota bene: La versione 1080p è del solo episodio “Antoine e Colette” di Truffaut. I subita li ho tradotti dai subeng con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
Pierre Lachenay è direttore di una rivista letteraria e gode di una certa notorietà. Ha una bella moglie, Franca, e una bambina. Un giorno si reca a Lisbona per tenere una conferenza e conosce Nicole, una giovane hostess. Tra i due inizia in breve tempo una relazione inframezzata dai reciproci impegni. Invitato a Reims per presentare un film di Yves Allegret su André Gide, Pierre porta con sé Nicole ma è poi costretto a starle lontano non potendo rendere palese la sua presenza. Sarà però proprio questo viaggio a far scoprire a sua moglie che lui le mente e questo spingerà i due a decidere di separarsi. Ma la vicenda avrà ben altro epilogo. Truffaut scrive con Jean-Louis Richard questo film in attesa di poter realizzare Fahrenheit 451 ma ciò non significa che ci troviamo di fronte ad un’opera intermedia. Anche se la critica lo trattò severamente in occasione della sua proiezione al Festival di Cannes La peau douce (dimentichiamo l’assurdo e del tutto non corrispondente titolo datogli dalla distribuzione italiana) è un’opera importante all’interno della filmografia del regista. Truffaut decide di continuare a sperimentare sul cinema e, al contempo, su se stesso. Sul cinema perché dopo aver raccontato la vitalità del triangolo amoroso in Jules e Jim qui ribalta la situazione.Non solo per quanto riguarda il sesso dei protagonisti (là due uomini e una donna, qui due donne e un uomo) ma anche e soprattutto per il segno decisamente opposto che viene dato alla materia. Rispetto agli stereotipi narrativi dell’epoca (e non solo) la moglie si rivela più interessante dell’amante e l’uomo è di una mediocrità imbarazzante anche per se stesso. Qui Truffaut si prende anche gioco degli intellettuali del suo tempo: Lachenay è noto (è stato in televisione) sa tenere dotte conferenze su Balzac e Gide, dirige una rivista letteraria importante. Avrebbe potuto essere un burocrate, un funzionario governativo con quel suo modo di vestire tanto anonimo quanto abitudinario. Invece no. L’ambito in cui il regista decide di collocarlo è quello dello sfoggio di una cultura che sicuramente (almeno in questo caso) non accresce la qualità dell’esperienza di vita e non rende migliori. La sequenza del viaggio a Reims rende con chirurgica abilità la dimensione di una personalità che in pubblico riesce ad occultare il proprio grigiore esistenziale. L’idea che costituisce la fonte d’ispirazione per Truffaut è quella di due persone viste baciarsi in un taxi (mentre il finale si riferisce a un fatto di cronaca che lo aveva colpito per la sua dinamica).. La scena del taxi nel film non c’è così come viene rapidamente abbandonata l’intenzione di trattare, in fase di sceneggiatura, tutti e tre i personaggi allo stesso modo, senza giudicarli. Il giudizio invece c’è ed è severo in un’opera in cui la dimensione temporale si fa stile narrativo e dichiarazione di stati d’animo. Si pensi, a puro titolo d’esempio, alla salita in ascensore in hotel con la presenza di Nicole e alla discesa dopo che la donna ne è uscita. Per quanto riguarda invece la dimensione di vita personale di Truffaut va tenuto presente che tutte le scene di casa Lachenay sono state girate non in studio ma nell’appartamento che all’epoca il regista abitava con la moglie Madeleine e le due figlie. Alla fine delle riprese Truffaut scrive ad Helen Scott: “Madeleine e io ci separiamo. Girare La peau douce è stato duro, e adesso, a causa della storia stessa che il film racconta ho orrore dell’ipocrisia coniugale: è un momento in cui sono davvero esasperato”. Nel corso delle riprese era iniziata una relazione con Françoise Dorleac. Questo non è gossip. Per Truffaut era l’inestricabile rapporto tra la vita e il cinema.
Da Gli anni della Fenice (1953) di Ray Bradbury: in una società del Medioevo prossimo venturo, condannata all’ignoranza da un potere dispotico che condanna i libri al rogo, il pompiere incendiario Montag incontra Clarissa che ama la lettura, comincia a leggere per curiosità e non smette più, diventando un fuorilegge. Drammaturgicamente fiacco, poco convincente come ambientazione, fredda meditazione sulla passione del fuoco e sulla contrapposizione tra gli uomini schiavi del Moloch televisivo e i liberi uomini-libro, è il film poco riuscito di un F. Truffaut che cerca di forzare i propri limiti, ma, comunque, un commosso omaggio ai libri, alla letteratura, al potere della scrittura
Coltivatore di tabacco sull’isola di Reunion, Louis Mahé (Jean-Paul Belmondo) è un giovane che non sa nulla delle vicende della vita e dell’amore. Una volta conosciuta la bella Julie (Catherine Deneuve) tramite un annuncio su un giornale e dopo una fitta corrispondenza, i due decidono di sposarsi. Il giorno del fatidico incontro, però, all’appuntamento si presenta una Julie diversa, più bella, più affascinante, cui Louis non sa resistere. Dopo un’iniziale idilliaca convivenza, appena segnata da qualche piccola perplessità che ogni tanto turba il sentimento puro di Louis, Julie finirà per rivelarsi una persona diversa. Tratto dal romanzo “La sirène du Mississipi” di William Irish (edito in Italia con il titolo di Vertigine senza fine) e preannunciato nel film precedente, Baci rubati, quando Jean-Pierre Léaud tiene in mano una copia di questo libro, Truffaut realizza un giallo che strizza l’occhio alle atmosfere e alle figure hitchockiane e omaggia Jean Renoir (cui il film è dedicato) citando nella sequenza iniziale La Marsigliese. La mia droga si chiama Julie è un film sulla conoscenza della realtà attraverso l’amore. Una realtà che per il sognatore Louis si rivela più dura di quanto avesse immaginato e per Julie una piacevole scoperta di un sentimento che forse non avrebbe mai pensato di poter provare. Ma i due, per poter vivere la loro storia d’amore, devono lasciarsi alle spalle le loro vite precedenti, fatta di falsità e abitudini piccolo- borghesi per Louis, di truffe e bugie per Louis/Marion. Un giallo ottimamente costruito nella prima mezz’ora in cui gli indizi e i dettagli si accumulano fin dal momento in cui Luis/Marion, vera e propria Sirena che ammalia l’ingenuo Louis, scende dalla nave (la Mississipi) facendo insinuare il sospetto che dietro una relazione apparentemente perfetta si nasconda un mistero che aspetta soltanto di essere disvelato. Un giallo che perde di tensione quando, nella seconda parte, al mistero si sostituisce il bisogno l’uno dell’altra, il desiderio totalizzante di stare insieme, contro tutto e contro tutti, che finisce per trasformare il loro rapporto in una vera e propria vertigine senza fine.
Il film, tratto dalla famosa memoria del medico parigino Jean Itard, è palesemente ispirato al pensiero pedagogico del filosofo ginevrino Rousseau. Nella Francia di fine 700 alcuni contadini scoprono nei boschi dell’Aveyron un ragazzo che vive allo stato brado, semianimalesco. Lo catturano e lo affidano agli scienziati di Parigi. Tutto nel ragazzo è bestiale: ha gli artigli, si esprime a grugniti ed è mordace. In dottor Itard, figlio dei Lumi, non dispera di riuscire a “civilizzarlo” e lo conduce nella sua villa di campagna. Con metodo e pazienza inizia la sua “cura” che si protrae per settimane e settimane, registrando progressi insignificanti. Una notte, il ragazzo fugge per tornare libero nei boschi, ma imprevedibilmente ritorna e il dottore può riprendere la cura, questa volta con significativi risultati. Film di grande lirismo che testimonia dell’amore del regista per l’infanzia e della sua fredda disapprovazione dei metodi educativi invasivi.
Storia di un pianista dalla doppia identità (Edouard Saroyan/Charlie Kohler) che cerca di sfuggire alle sue “catene della colpa” e rimane intrappolato da un destino tragico in cui ha qualche responsabilità a causa della timidezza che diventa dissociazione psichica e della passività rispetto alle due donne amate. Sconvolto dal successo internazionale di pubblico del suo esordio, Truffaut fa un 2° film deliberatamente molto diverso, ispirato all’eccentrico romanzo noir di David Goodis Down There (1956 – poi Shoot the Piano Player – in italiano Non sparate sul pianista e nel 1989 Profondo nero ). Nel film, sostanzialmente fedele al libro (con l’aggiunta di Fido, il fratellino di Charlie), Truffaut pratica – seguendo la lezione di Jean Renoir, e quando non era ancora di moda – la mescolanza dei generi e dei toni con digressioni, spostamenti a sorpresa, sfasamento tra banda visiva e banda sonora, ricorso alla voce over con i pensieri di Charlie, dissolvenze incrociate, espedienti del cinema muto. Ne consegue un intreccio troppo complicato che allontanò il pubblico e spiazzò il più dei critici. Già il romanzo di Goodis non rispettava le regole del genere criminale. Truffaut gli fa fare qualche passo avanti, ma non dimentica mai il suo vero nucleo: l’amore legato alla morte. Mezzo secolo dopo rimane un film “di grande e ambiguo fascino, ironicamente e disperatamente vitalistico… di una malinconia luttuosa rara” (P. Malanga). Scritto, come I 400 colpi , con Marcel Moussy. Fotografia (Dyaliscope): Raoul Coutard. Musica: Georges Delerue.
Berry Berry è l’idolo del fratello minore: qualsiasi cosa faccia, viene considerata dal ragazzino un’impresa mirabolante. Ma quando il più piccolo prende una cotta per Sally e quest’ultima viene abbandonata incinta da Berry Berry, il mito cade e il fratellino diventa finalmente uomo.
Il dottor Henry Jekyll (Paul Massie) sta compiendo esperimenti sulla natura umana, la moglie Kitty (Dawn Addams) è rassegnata a essere trascurata dal marito e l’amico Paul Allen (Christopher Lee) si fa vivo solo per bussare a quattrini. Tutto cambia quando Jekyll sperimenta su se stesso la sua nuova invenzione, diventando Mr. Hyde (sempre Paul Massie). Punto di partenza è ovviamente l’opera letteraria di Robert Louis Stevenson, ma Fisher, invece di presentare un Jekyll buono e un Hyde orrido e scimmiesco, ribalta ambiguamente le carte dipingendo un Jekyll gretto e imbelle in contrasto con un Hyde bello, con solamente una strana luce negli occhi azzurri a testimoniare la sua diversità (un procedimento simile verrà seguito da Jerry Lewis per il suo divertente #Vedi#Le foli notti del dottor Jerryl). Il Male non viene più rappresentato dal brutto e dall’animalesco, ma dal bello e dall’aristocratico, e il Bene, in fondo, non esiste. La prediletta ambientazione vittoriana fornisce a Fisher il pretesto per una precisa rappresentazione dell’aristocrazia inglese da lui spesso raffigurata, anche in altri film, come corrotta e crudele. Purtroppo, non è possibile definire questo film un capolavoro perché la geniale intuizione che ne è alla base viene in parte sprecata da una trama sviluppata in modo banale. Buona l’interpretazione di Paul Massie nel doppio ruolo
È un bozzetto della vita in un paese del Meridione disegnato attraverso la figura di due ragazzi, uno studente svogliato e un ragioniere. I due trascorrono le giornate negli stessi luoghi, facendo i medesimi discorsi, preferendo la monotonia quotidiana a qualunque altro possibile sbocco. Primo lungometraggio della brava regista televisiva che dimostra mano sicura e approfondisce l’indagine psicologica e sociale della realtà meridionale. La Wertmüller era partita bene, piena di rigore e di propensione alla verità. Non ha poi mantenuto le promesse, anche lei catturata dalla tentazione del cinema dai grandissimi mezzi.
Un film di Russ Meyer. Con Tura Satana, Haji, Lori Williams Erotico, durata 83 min. – USA 1966. MYMONETRO Faster, Pussycat! Kill! Kill! valutazione media: 2,96 su 9 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Tre spogliarelliste, alla fine del loro turno di lavoro, si lanciano in un travolgente viaggio notturno verso il deserto. Troveranno le avventure che si aspettano e anche qualcosa di più. Uno dei film più trasgressivi, a prescindere dal contenuto, del re del silicone. Nel 1994 è stato rimesso in circolazione nelle sale cinematografiche americane.
Grecia, 1942. Un tenente italiano riceve a malincuore l’incarico di accompagnare un gruppo di prostitute, destinate ai soldati. Durante il viaggio impara a conoscerle. Tratto da un romanzo di Ugo Pirro sceneggiato da V. Zurlini, Leo Benvenuti, Piero De Bernardi e Franco Solinas, è un film diseguale e parzialmente riuscito, ma pur sempre uno sguardo lucido sui peggiori anni della nostra vita. Ha due meriti: è un film su 15 prostitute che può essere visto anche da un bambino; è autenticamente antifascista perché denuncia senza mezzi termini le responsabilità e le repressioni italiane in quella guerra d’occupazione.
In un ospedale per bambini handicappati c’è chi vorrebbe curarli con l’amore e chi invece con il metodo energico. La contaminazione tra l’apostolato sociale e lo spettacolo, con un occhio al messaggio e l’altro alla cassetta, dà risultati stridenti e contraddittori. È uno dei 2 tentativi che, dopo Ombre (1959), Cassavetes fece per mettersi in riga con Hollywood. Col successivo Volti (1968) riprese la sua libertà creativa.
Dal romanzo (1952) di Howard Fast: nel 73 a.C. il gladiatore trace Spartaco promuove una rivolta di schiavi contro il governo di Roma, sconfigge una legione e si dirige verso il sud. È sconfitto dall’armata di Crasso che fa crocifiggere seimila schiavi sulla via Appia. Come film di S. Kubrick è un ibrido: troppe paternità (lo sceneggiatore Dalton Trumbo e soprattutto il produttore-attore K. Douglas che in un primo tempo aveva ingaggiato il regista Anthony Mann) e una certa eterogeneità stilistica. È poco kubrickiano il richiamo a una nozione di progresso di cui la vicenda del “primo rivoluzionario della storia” è simbolica portatrice. Gli appartiene per le scene di battaglia e di violenza (cui collaborò il grafico Saul Bass), la mescolanza di ragione e passione nei personaggi principali, la splendida direzione degli attori tra cui spiccano L. Olivier e C. Laughton. È, comunque, il migliore – e il più adulto – dei colossi storici di Hollywood. Ridistribuito nel 1991 in un’edizione restaurata con l’aggiunta di una quindicina di minuti. 4 Oscar: fotografia (Technirama 70) di Russell Matty, Ustinov attore non protagonista, scene e costumi.
A un’americana che vive a Parigi, assassinano il marito. È tampinata da 3 loschi tipi e da un agente della CIA che vogliono sapere dove il marito abbia nascosto una ingente somma e un affascinante compatriota le viene in aiuto. In altalena tra la commedia romantica nera e la farsa macabra, uno scintillante thriller alla maniera di Hitchcock, ma senza risvolti metafisici, garbato, sorridente, piacevole, elegantissimo. Scritto da Peter Stone: la prima e la migliore delle sue sceneggiature. Musiche garbate di Henry Mancini.
Il padre di una sedicenne sicula costringe il seduttore di lei a sposarla, anche se era già promesso a un’altra figlia che ripiega su un barone squattrinato. La commedia più violenta e congestionata, ai limiti dell’isterismo, della trilogia barocca di P. Germi, aperta da Divorzio all’italiana (1961) e chiusa da Signore e signori (1965). “È una farsa tragica con qualche vertigine grottesca, una tarantella macabra che accompagna con forzata allegria i funerali della ragione” (E. Giacovelli). Non esiste, forse, un film più antimeridionale e antisiciliano nel suo tiro al bersaglio contro la concezione insulare dell’onore. Galleria di personaggi brutti sporchi e cattivi su cui il regista s’accanisce con zoom e obiettivi deformanti, con le armi della natura incattivita e della farsa acida. Scritto dal regista con Age, Scarpelli e Luciano Vincenzoni che ebbero un Nastro d’argento come S. Urzì (attore protagonista, premiato anche al Festival di Cannes) e L. Trieste.
Il giorno di Ferragosto due occasionali amici, uno studente universitario un po’ timido e un quarantenne immaturo, passano assieme la giornata spostandosi con l’auto. Le ore passano veloci in un susseguirsi di episodi tragicomici, fino all’epilogo inatteso e drammatico: la morte dello studente causata dall’incoscienza dell’altro. Si tratta di un autentico cult movie, tra i pochi che può vantare il cinema italiano del dopoguerra. Un’intuizione geniale è all’origine del film, che può essere definito un road movie; il confronto di due generazioni nel territorio neutro di una giornata di vacanza. La complementarietà dei caratteri dei due protagonisti è un supporto dalle solide basi. La sceneggiatura di Scola, Risi e Maccari è in perfetto equilibrio tra la commedia all’italiana e il dramma sociale, questo appena accennato con alcune allarmanti sequenze disseminate nel film e concluso nell’impietoso finale. Il cialtronesco Gassman, finalmente libero, come lui stesso ammette, dai vincoli delle caratterizzazioni, dai ghigni classicheggianti, esprime in alcune sequenze la sua dirompente fisicità. Distrugge con l’intuizione del superficiale i luoghi comuni che lo studente Trintignant si era costruito in un’intera vita, sui suoi parenti. Libera lo charme opaco di una zia del suo amico. In ogni spostamento, dalla Roma deserta del mattino di Ferragosto e lungo le strade della Versilia fino alla Costa Azzurra, si gioca la sua dignità e persino la figura di padre. La partita a ping-pong con Gora è al riguardo esemplare. L’attonito Trintignant in quesa scuola dei dritti è infatti l’unico a soccombere, emblematicamente. Non pochi hanno lamentato il cambio di rotta mostrato all’epilogo. Un risveglio dalla partitura scoppiettante di una pellicola che sembrava dover dispensare un eclettico piacere a fior di pelle. Come ne La grande guerra e Una vita difficile il cinema italiano aveva trovato, se non un vero e proprio stile, un equilibrio che poggiava su una precisa rappresentazione della società italiana, senza dover ricorrere ai macchiettoni che il depravato cinema d’oggi mostra con lugubre allegria. Il rimpianto di quel cinema è presente in ogni spettatore che abbia solo visto quei film pur non facendo parte di quella generazione. Ed ecco allora la Lancia Aurelia Sport diventare un oggetto mitico. Così come alcune battute di questi film vengono tramandate con puntuale approssimazione, ma con sincera partecipazione. Il sorpasso, al suo apparire quasi snobbato dalla critica, si è ritagliato col tempo uno spazio che appartiene di diritto alle grandi memorie del cinema centenario.
Il cameriere di un giovane, ricco ma debole di carattere, fa in modo che il padrone si innamori di una prostituta che presenta come sua sorella. Scoperta la verità l’uomo li caccia, ma poco dopo, solo e infelice, riassume l’uomo. Il cameriere prende sempre più potere su di lui, fino a ridurlo ad una semplice presenza.
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