Abruzzo, 1944. Fascistello diventa gerarca proprio quando il fascismo sta per cadere e fa un viaggio in sidecar con professore antifascista, da lui arrestato, che cerca di educarlo alla libertà. Per la prima volta dopo 43 film, Tognazzi lascia le macchiette per un personaggio a tutto tondo. Film di ottimo brio satirico, scritto da Castellano & Pipolo in vena e diretto con garbo da Salce.
Onesto travet si occupa, come componente della commissione interna di un’azienda farmaceutica (composta in prevalenza di donne), di problemi sindacali e viene scambiato per uno sfruttatore di donnine degli amori a pagamento. È diffusa nel film un’aria misogina che potrebbe anche incuriosire se non fosse assolutamente immotivata ed espressa in modi triviali da mediocre teatro di rivista. Trito esordio di U. Tognazzi nella regia con una sceneggiatura scritta da troppi.
Un giovane intellettuale romano va in crisi. Inutilmente la madre cerca di risollevarlo spingendogli donne facili fra le braccia. Lui si scuote solo quando si innamora sul serio di una piccante ragazzina. Ma questa ha un passato burrascoso con uomini anziani. Quando il protagonista lo viene a sapere, si disamora.
Dal breve romanzo Ai cavalli si spara (1935) di Horace McCoy, pubblicato (1956) in Italia da Einaudi con Avrei dovuto restare a casa nel volume Le luci di Hollywood , e sceneggiato da James Poe e Robert E. Thompson. Nel 1932, durante la grande depressione, a Los Angeles si svolge una maratona di danza dov’è in palio un premio di 1500 dollari. Sagra di sadomasochismo, claustrofobica fino all’angoscia, impressionante ricostruzione d’epoca con dialoghi crepitanti, è una sola, grande metafora sull’America amara che si slarga ad allegoria sul destino. Ottimo gioco di squadra tra gli attori. Ebbe 6 nomination ai premi Oscar (regia, sceneggiatura, Fonda, York, musiche) e una statuetta a Young come attore non protagonista.
Un giovane rappresentante scontento e arrivista ha un’amante. Un giorno la uccide e involontaria testimone è una tredicenne che si innamora del giovane. Costui riesce in un primo tempo a far sì che la piccola non parli. Ma il commissario (Germi) ha capito tutto, fa parlare la bambina e va ad arrestare l’assassino a casa della sua ricca fidanzata.
Rosa, infermiera a Rio de Janeiro, ha sette amanti ai quali è equamente legata. Quando uno di questi, il barista italiano, comincia a dimostrarsi eccessivamente geloso, lo lascia. La donna inizia poi un rapporto con un dottore, anch’esso italiano (Manfredi), che, con discorsi persuasivi, le dà un certo equilibrio. Ma le successive incertezze del dottore la risospingono gradatamente al suo precedente sistema di vita.
Protagoniste sono due amiche, una bonacciona e sentimentale, l’altra calcolatrice e furbetta. La seconda spesso e volentieri ruba gli uomini alla prima. Un giorno la sentimentale si sposa con un giovane e gentile arredatore…
Negli anni della depressione una ragazza del Sud fa la civetta con tutti, controllata dall’avida madre che vuole sposarla a un ricco. S’innamora di un agente delle ferrovie. Film alla Kazan, tratto da un atto unico (1941) di Tennessee Williams. Alla sceneggiatura misero mano in 14 tra cui F.F. Coppola. Abbastanza banale la storia, ma non lo stile, che è personale e rivelò in S. Pollack, al suo 2° film, un regista di merito. Magnifica fotografia di J. Wong Howe.
Laureando nero in psicologia che lavora a “Voce amica”, centro psicosociale, riceve la telefonata di una donna disperata che in una stanza d’albergo vuole suicidarsi. Alle prese con una materia a rischio per il suo sentimentalismo, l’esordiente Pollack riesce a conciliare melodramma con scavo psicologico. Impeccabile direzione di attori. Scritta da Stirling Silliphant.
Un film di David Miller. Con Susan Hayward, Vera Miles, John Gavin Titolo originale Back Street. Drammatico, b/n durata 107 min. – USA 1961. MYMONETRO Il sentiero degli amanti valutazione media: 2,63 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Rita e Paul si innamorano, ma lui è sposato con una donna che non intende concedergli il divorzio e che quando viene a sapere della relazione affronta la rivale in pubblico e dà in escandescenze. Paul tenta un’ultima volta di convincere la consorte, ma nella discussione che avviene in automobile perde il controllo della guida e finisce contro un albero.
Napoli, primi Anni Sessanta. Crolla un palazzo a causa di un cantiere limitrofo di proprietà di un certo Nottola, speculatore edilizio appoggiato dalla maggioranza che guida l’amministrazione della città. Viene aperta una commissione d’inchiesta dalla quale emerge che le pratiche per la concessione sono state corrette dal punto di vista formale. Nottola è però diventato ‘scomodo’ e non è possibile garantirgli il posto da assessore che egli pretende in seguito alle ormai imminenti elezioni. Ci sono film, anche di valore, che con il passare degli anni perdono la presa che ebbero al momento della loro uscita e restano lì a farsi ammirare come un prezioso utensile del passato di cui riconosciamo la perfezione ma che può solo restare chiuso in una teca. Altri invece (e il film di Rosi è fra questi) che invece conservano una loro inattaccabile attualità. Verrebbe da dire: purtroppo. Purtroppo perché quei problemi, quel malcostume, quel modo di intendere l’amministrazione della cosa pubblica perdurano. È sicuramente anche questo uno dei motivi della tenuta di Le mani sulla città ma quello che lo distacca dalla cronaca politica è lo stile narrativo. Rosi non fa un ‘film di denuncia’, va oltre. Sceglie un taglio da “cinema verité” quando riprende le sedute del Consiglio comunale offrendoci dei totali di un’aula in cui ci si prepara a una lotta di tutti contro tutti. Da questo magma fa emergere delle figure che sono rappresentative di posizioni e di interessi diversi che finiscono con il ruotare attorno a Nottola (interpretato da un Rod Steiger che domina l’inquadratura). Sarebbe facile definire ‘profetico’ un film in cui si agitano ‘mani pulite’ o in cui il conflitto di interessi diviene tanto palese quanto socialmente metabolizzato. Le mani sulla città è qualcosa di più e di diverso. È un film che va alle radici di uno dei cancri che hanno corroso e continuano a corrodere la nostra società e ne mette spietatamente in luce le metastasi. Divenendo un paradigma (anche se non del tutto compreso, al di là delle polemiche sul suo contenuto, al momento dell’uscita). Tanto che anche il cinema successivo gli ha reso omaggio in più occasioni. Due esempi per tutti. La voga da fermo di Nanni Moretti, protagonista de La seconda volta di Mimmo Calopresti, che richiama l’entrata in scena di Maglione e il politico non vedente in Baarìa che, dinanzi a un plastico di un nuovo complesso edilizio, mette, letteralmente, ‘le mani sulla città’.
Keiko, una geisha di mezza età, sogna di intraprendere un’attività per conto proprio rilevando la gestione di un bar. Deve però fare i conti con i costanti problemi finanziari ed i tre uomini che le girano intorno e rappresentano altrettante possibilità diverse per il suo futuro: la sicurezza economica, la sicurezza sociale, l’amore. Un ritratto della compassata ed “educata” società giapponese, dove raramente si dà voce ai propri pensieri e alle proprie aspirazioni. La costruzione della trama, inizialmente centrata sul quotidiano dei personaggi, ha allora un cambio di passo emotivo nel finale, quando Keiko si mette sentimentalmente a nudo di fronte a due dei personaggi maschili. Notevole il tema musicale per pianoforte, che con i suoi accenti jazz accompagna l’andamento delle relazioni tra la protagonista ed i suoi potenziali partners.
Ritratto di un pastore abruzzese, contestatore inconsapevole, idealista semianalfabeta che i familiari vorrebbero far passare per matto. Ruzzolone senza riscatto di P. Germi che si propone di contrapporre la sanità della vita di campagna contro lo stress della città e battersi per l’individuo contro le costrizioni e le ipocrisie sociali. “Avrebbe potuto essere un’ottima commedia della cattiveria e finì invece per diventare una mediocre commedia della bontà” (E. Giacovelli). Anarchismo da parrocchia, pastoraleggiante e annacquato. Anche Celentano ha l’aria di uno scavezzacollo di città che s’è travestito da burino per farsi gabbo dei villani.
Un film di George Blair. Con Merry Anders, Jacques Bergerac, Fred Demara, Guy Prescott Titolo originale Hypnotic Eye. Giallo, b/n durata 79 min. – USA 1960. MYMONETRO L’occhio ipnotico valutazione media: 2,00 su 1 recensione.
Truculenta storia di uno sfregiato che, attraverso l’ipnosi, obbliga un certo numero di belle a sfregiarsi a loro volta.
Un film di John Boorman. Con Keenan Wynn, Lee Marvin, Angie Dickinson Titolo originale Point Blank. Poliziesco, durata 92′ min. – USA 1967. MYMONETRO Senza un attimo di tregua valutazione media: 3,25 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Truffato da un compagno di galera che gli ha portato via la moglie e 93000 dollari, un malvivente si vendica in modo raffinato. 2° film di J. Boorman, e quasi un culto per i cinefili europei a causa della scelta insolita degli ambienti (dintorni di Los Angeles, la prigione di Alcatraz), il virtuosismo delle riprese, del montaggio, delle sequenze di azione violenta, l’alta tensione dell’intrigo a puzzle, il carisma dinamico di L. Marvin in uno dei migliori personaggi della sua carriera. Dal romanzo The Hunter di Donald E. Westlake che l’ha firmato con lo pseudonimo Richard Stark, rifatto nel 1998 con Payback – La rivincita di Porter.
Accanto alla violenza, la sessualità costituisce un tema ricorrente nelle opere di Vancini. Desunto da un romanzo di Quarantotti Gambini (su di un’isola deserta, una adolescente desiderata da due coetanei si concederà ad un uomo maturo), il film risulta però epidermico, a causa del mancato approfondimento imputabile ad una censura non ancora liberalizzante.
Una giovane infermiera cura un’anziana signora paralizzata alle gambe che vive con Warren, una specie di nipote adottivo. Tra il giovane e la ragazza nasce una torbida attrazione, immediatamente avvertita da Miriam, sorella di Warren. Miriam sa che l’infermiera ha già ucciso un uomo e teme che voglia fare lo stesso con lei e con l’anziana signora. Racconta i suoi sospetti a Warren, ma improvvisamente accade qualcosa che accresce i suoi timori.
Per vendicare il marito, impiccato da ricco allevatore, assolda ex pistolero che sequestra la figlia del ras per ottenere in cambio solenni funerali. Carneficina finale. Anomalo “spaghetti-western” in salsa francese tra i cui sceneggiatori figura anche Dario Argento. La vicenda è aggrovigliata, ma messa in scena con una certa eleganza.
Un’altra versione (stavolta sovietica) della tragedia di Shakespeare. Kozincev abbandona ogni tentazione psicanalitica (che invece era alla base del lavoro di Olivier) per fare un Amleto eroico, romantico, un ribelle che non si batte contro gli usurpatori per vendicare il padre (o peggio, per vendicarsi della madre), ma mosso da un insopportabile anelito di libertà. La maggior parte degli appassionati ritiene che il lavoro di Kozincev sia, nel complesso, inferiore a quello di Olivier, ma i pregi sono tanti (dagli attori alle inquadrature del castello battuto dal vento, alla musica dirompente di Sciostakovic).
Documentario drammatico di Francesco Rosi sulla corrida, manifestazione che lo affascina e al tempo stesso lo ripugna. Il mondo dei tori e dei toreri gli consente di riprendere la sua consueta tematica meridionalistica. Miguel Mateo Miguelin (un autentico matador che interpreta se stesso) è una specie di “picciotto” andaluso. Morirà nell’arena.
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