Texas, 1859. In assenza del padre, Travis (Parker) deve accudire alla fattoria e badare al fratellino (Kirk) che si affeziona a un giallo cane randagio. Dovrà ucciderlo quando si ammala di rabbia. L’infanzia è finita. La Disney cominciò nel 1950 a produrre lungometraggi per ragazzi con attori. Questo è il 1° imperniato su un bambino e un cane. Tratto da un romanzo di Fred Gipson, è uno dei migliori e dei meno zuccherosi. Seguito da Sam il selvaggio (1963).
3 episodi: in Francia giovani studenti compiono un delitto gratuito; in Italia un ragazzo ricco e annoiato si unisce a un gruppo di contrabbandieri e rimane vittima di una retata; in Inghilterra un giovane paranoico commette un delitto perfetto perché senza movente. Antonioni tocca con concretezza il problema della gioventù deviante nei cui crimini si coagulano moventi oscuri e assurdi, peculiari di un clima sociale, ben resi soprattutto nella fusione di humour nero e sotterraneo sadismo dell’episodio inglese. Tartassato dalla censura, l’episodio italiano non è giudicabile.
Parigi, 1944: due amici studenti sono alle prime armi con esperienze sentimentali e malavita. Con il traffico della borsa nera sono gratificati dai primi guadagni. Da lì a colpi grossi il passo è breve. Tratto da un romanzo di M. Aymé e sceneggiato da Aurenche e Bost, grazie anche a un’efficace scelta di attori (Delon, Brialy, Milo), è uno dei migliori film francesi sull’Occupazione, di una grazia acidula che qualche eccesso caricaturale non guasta.
Un playboy, indirettamente responsabile della morte di un medico e della cecità di sua moglie, diventa un chirurgo, la opera, le restituisce la vista e la sposa. Rifacimento di Al di là delle tenebre (1935) di J.M. Stahl. Sirk è un maestro del melodramma stilizzato. Attori, messinscena, fotografia impeccabili. “Un misto di Kitsch, follia e letteratura dozzinale” (D. Sirk), riferendosi al romanzo di Lloyd C. Douglas. “È il primo mélo in cui prende corpo l’estetica sirkiana… esemplare per la tensione intellettuale, che elude le trappole del fotoromanzo… e la complessità linguistica che ne deriva” (A. Castellano).
In un’isola delle Antille gli odi razziali sono particolarmente accentuati. David, il “capo” ideologico dei neri, si innamora di una donna bianca. Maxwell, il più acceso sostenitore della supremazia bianca, nasconde un infamante segreto: nella sua famiglia c’è del sangue nero. Sua figlia teme di dover rinunciare per questo al matrimonio con il figlio del governatore, ma scopre di essere una illegittima e si sposa senza problemi.
Ex cronista sportivo si fa coinvolgere in un’impresa disonesta da un’organizzatore per lanciare un pugile con una serie di incontri combinati. Poi si pente. Ultimo film interpretato da H. Bogart (1899-1957) che aveva già firmato per girare The God Shepherd, ma non ebbe il tempo di farlo. Un quadro realistico dell’ambiente pugilistico senza concessioni sentimentali e romantiche. Sceneggiato da Philip Yordan sulla base di un romanzo di Budd Schulberg, liberamente ispirato alla vita di Primo Carnera.
Poveri in canna, Felice e Pasquale vengono assunti, con le rispettive famiglie, da un marchesino che vuole sposare la figlia di un cuoco arricchito. Devono fingersi i suoi parenti aristocratici in casa del suocero. Teatro filmato, ma dichiarato, esplicito. Con le leggere modifiche di Ruggero Maccari e dello stesso regista, la commedia di Scarpetta funziona ancora benissimo. Totò è grande, la Faldini bella.
Bella mugnaia dai rustici vezzi accende le voglie di un governatore potente e babbeo. Ne derivano insidie all’onore coniugale e alla domestica pace. Remake di Il cappello a tre punte , realizzato nel ’34 dallo stesso Camerini con i De Filippo. Minestra riscaldata. E più gaglioffa. La Loren e la Sanson, per una volta insieme, gareggiano in scollature.
Sembra che fosse proprio Bonnard, attore e regista, a ispirare una delle più famose macchiette di Ettore Petrolini (“Ogni cuor si accende e arde, perché ci ho gli occhioni belli, le basette a la Bonnard…”). Toccava a lui di dirigere questo film, e a Sordi di interpretarlo, bravissimo nel far sentire l’amaro sotto il fatuo. Con qualche sforzo in più questa commedia che diverte e tira al patetico senza mezze misure poteva essere un’efficace satira di costume degli anni ’20. Petroliniano a metà. Nastro d’argento 1961 per i costumi (Maria De Matteis).
Un film di Tom Graeff. Con David Love, Dawn Bender, Bryan Grant, Harvey B. Dunn, Tom Graeff, King Moody, Helen Sage, Frederick Welch, Carl Dickensen, Sonia Torgeson, Billy Bridges, James Conklin, Gene Sterling, Ralph Lowe, Bill DeLand, Ursula Hansen, Bob Williams, Don DeClue, Don Chambers, Jim MacGeorge, Kent Rogers, Sol Resnick, Bob Regas, Horst Ehrhardt Fantascienza, b/n durata 86 min. – USA 1959.
Lione 1953. Sposata a un uomo più vecchio, gretto e malato, Teresa s’innamora di Laurent, camionista italiano che in un diverbio con il marito ne provoca la morte. Un testimone della scena li ricatta. Carné tradisce il romanzo (1867) di Émile Zola, riducendolo a un meccanismo di cronaca nera, seppur dominato dall’onnipotente presenza del destino. Sul piano della scrittura, però, la sua maestria raggiunge una spoglia perfezione. Il romanzo fu portato sullo schermo da J. Feyder nel 1928 e in TV nel 1958 con la regia di J. Stelli. Uno dei 6 Leoni d’argento a Venezia 1953, quando non fu assegnato il Leone d’oro.
Ritratto corale della fauna giovanile del Quartiere Latino e di St. Germain-des-Près a Parigi, ragazzi che barano con la vita, l’amore, i sentimenti; si pascono di auto sprint, libertà sessuale e surprise-parties e dichiarano di fregarsi dei vecchi valori (patria, famiglia, lavoro). “Ma che cosa hanno?”, domanda un personaggio. Risponde un operaio: “Cinquant’anni di bordello alle spalle e altri cinquant’anni di confusione davanti a sé”. Riconosciute al film, scritto con Jacques Sigurd, l’efficace solidità della costruzione drammatica, la direzione dei giovani attori, la coerenza col tema del destino, c’è da dire che M. Carné spaccia, sotto una vernice efficace e persin troppo scaltra, vecchi trucchi melodrammatici, una storia e personaggi convenzionali. Come certi film di Cayatte di cui condivide virtù e difetti, suscitò molte discussioni. Colonna sonora jazz (Brown, Eldridge, Getz, Gillespie, Hawkins, Petterson, ecc.), fotografia di Claude Renoir.
Cencio, rampollo di una famiglia di ladri di borgata, è assecondato dalla bella Cesira, finché prende di mira un commerciante di cui lei s’innamora. Vicenda disarticolata resa credibile e omogenea dalla bravura di Sordi.
Dopo una delusione d’amore, Adriana si dà alla prostituzione. La salva un giovane antifascista che, arrestato, fa la spia e s’uccide. Adriana, incinta, si ritrova sola. Del torbido e denso romanzo (1937) di A. Moravia è rimasto un digest drammatico, a volte melodrammatico, ora sciatto ora languido, incerto nei toni, con personaggi sfocati. Manca l’aria dell’epoca.
Un professore (lo scrittore G. Bassani, doppiato) assiste dalla celebre piazza romana ai casi malinconici di tre ragazze di borgata che lavorano in una grande sartoria. Scritto da S. Amidei, è il 3° film di Emmer, campione (milanese) del neorealismo rosa in salsa romana. Grazioso, garbato, con qualche pungente notazione sociologica, ma già sull’orlo dell’Arcadia neorealistica. Mastroianni è doppiato da N. Manfredi. Rifatto per la TV nel 1998.
Disavventure di un piazzista, sposino novello, nel quale una mitomane riconosce il proprio consorte fuggiasco. Nonostante le firme di S. Amidei (soggetto), V. Talarico e F. Rosi, inclina alla farsa più che alla commedia. Mastroianni sprecato, Valeri infallibile, De Sica strepitoso come smemorato principe del foro.
Bimbetta di 10 anni arriva dalla provincia a Parigi e scopre la città, i suoi strani abitanti, il suo traffico folle. Ma il suo sogno è un viaggio in metropolitana. Nello spericolato tentativo di trasformare la comicità verbale del romanzo (1959) di Raymond Queneau in buffoneria visiva, Malle casca in piedi. Da godere a frammenti, in mezzo a un disordine premeditato e a molte invenzioni.
Una borghese di provincia, sposata a un proprietario di giornali e amante di un dandy parigino, si innamora di un giovane e abbandona per lui il tetto coniugale. Nonostante la fonte libertina del Settecento che influenza la 1ª parte e una famosa scena erotica – che scandalizzò i benpensanti – è un film neoromantico acre, di sorprendente sicurezza narrativa. Oggi può risultare un po’ datato. Dal racconto Pont de Lendemain di Dominique Vivant-Denon.
Nei quartieri popolari dell’East End londinese due operai sordomuti si fanno compagnia, vivendo insieme e condividendo quasi ogni momento della giornata. Ma in una società che opera costantemente la marginalizzazione del diverso, il destino di questi personaggi sembra stretto fra le morse arrugginite delle gru che scaricano la terra sui barconi del Tamigi.
Ex procuratore, dedito all’alcol per dimenticare un fatale errore, riprende a lavorare come avvocato ed è coinvolto involontariamente in un losco giro. Dramma criminale di vecchio stampo in cui gli attori valgono più della vicenda che ha il fiato corto. È il rifacimento di The Mouthpiece (1932) di J. Flood e E. Nugent con Warren William.
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