Nell’Oregon dei fratelli tagliaboschi giovani e prestanti hanno difficoltà a trovar moglie. Per risolvere la situazione compiono una specie di moderno ratto delle Sabine. Canzoni di Johnny Mercer e Gene de Paul. Oscar per la direzione musicale di A. Deutsch e S. Chaplin. Uno dei vertici della musical comedy con targa M-G-M e raro caso di musical che non deriva dal palcoscenico e che, anzi, diede origine a una versione teatrale, portata in giro per mezzo mondo. Ammirevole fusione di canto e danza, eleganza, ritmo, scatto. Un appropriato uso del Cinemascope per le ariose coreografie in esterni di Michael Kidd.
Da un racconto (1883) di Camillo Boito: sullo sfondo della guerra italo-austriaca del 1866 una contessa veneta tradisce, per amore di un vile ufficiale austriaco, la causa della liberazione nazionale. Uno dei capolavori di Visconti che vi riesce a conciliare visione critica della storia e gusto del melodramma, passione estetica e chiarezza razionale, Verdi e Bruckner, innata vocazione decadentistica e ideali progressisti. Al di là di alcune forzature ideologiche e psicologiche, scandito da un’ammirevole coesione cromatica e scenografica (fotografia di G.R. Aldo, che morì durante le riprese e vinse un Nastro d’argento postumo, e R. Krasker), è un dramma di lussuria e di morte che si sviluppa con l’implacabile necessità di una tragedia romantica che trova nell’epilogo l’impietosa sconfessione del proprio romanticismo.
Harry Powell, pastore protestante, uccide alcune vedove per denaro. Uccide anche Willa Harper, ma i suoi due figlioletti gli danno filo da torcere. Riescono a fuggire da lui allontanandosi sul fiume con una barca. In loro soccorso giunge una cara vecchietta, Rachel, che dà rifugio ai bambini abbandonati. Grande fiaba orrorifica, più per atmosfera che per scene violente, resa convincente da una regia secca e originale. Harry come orco, Rachel come fata e i due fratelli come Hansel e Gretel. La fotografia in bianco e nero di Stanley Cortez è una festa per gli occhi. Le inquadrature grazie alle luci maniacalmente posizionate sono una rilettura dell’espressionismo. Stupenda la sequenza in cui il vecchio scopre il cadavere di Willa, interpretata volutamente sopra le righe da Shelley Winters. La donna è legata alla guida dell’auto sul fondo del fiume e i suoi capelli lunghi si confondono con le alghe. Prima e unica regia dell’attore Charles Laughton che, con grande misoginia, mostra quasi tutte le figure femminili come ingenue e stupide. Si salva solo Rachel, interpretata da una grande Lillian Gish. Atto d’accusa contro il fanatismo nella religione cristiana e i falsi profeti, con riferimento al sud degli Stati Uniti. Forse la più grande e sfaccettata interpretazione di Mitchum, che sette anni dopo, ne Il promontorio della paura, si calerà in un personaggio molto simile. Tratto dal romanzo di Davis Grubb e girato in poco più di un mese. Laughton, a causa dell’insuccesso commerciale, non poté realizzare la sua trasposizione de Il nudo e il morto di Mailer. Oggetto di culto di molti cinefili è citato apertamente da Neil Jordan nel suo In compagnia dei lupi
Shane, solitario giramondo, arriva in una fattoria e si trattiene a proteggere una coppia di contadini dai soprusi dei prepotenti, idoleggiato dal loro figlioletto. Dopo il duello finale il salvatore Shane se ne va a cavallo, verso l’orizzonte. Prodotto da Stevens per la Paramount, unico suo western, fu esaltato negli anni ’50 dalla critica europea, nonostante la lentezza e l’ottica dal basso, quella del 10enne Joey. Giudicato poi troppo accademico, segna l’incontro tra il mito del West e i temi della letteratura epica bretone. Scritto Da A. B. Guthrie Jr. da un romanzo di Jack Schaefer, ebbe 6 candidature agli Oscar, ma ne vinse solo 1 la fotografia di Loyal Griggs, notevole per l’incanto dei paesaggi.
Un autoritario barone terriero del Mississippi malato di cancro festeggia il 65° compleanno insoddisfatto dei due figli, uno dei quali è un avido bruto e l’altro un ex atleta nevrotico che rifiuta di dormire con la bella moglie. È l’adattamento, purgato e ripulito, di un dramma (1955) di Tennessee Williams, grande successo di critica e pubblico a Broadway. Sotto la guida di Brooks si recita benissimo. Ebbe 6 nomination ai premi Oscar e non ne vinse nessuno. Almeno Newman lo meritava, più di Niven in Tavole separate .
Quel che accadde prima, durante e dopo uno di quegli attacchi frontali che si risolsero in veri massacri sul fronte franco-tedesco durante la guerra 1914-18: un colonnello liberale contro un generale mascalzone. Da un romanzo di Humphrey Cobb, sceneggiato dal regista con C. Willingham e J. Thompson. Un capolavoro del cinema antimilitarista, e il solo film hollywoodiano che analizzi la guerra e il militarismo in termini di classe. Racconto di suspense ideologica, è anche un pamphlet satirico in cui il furore della denuncia e un certo schematismo ideologico sono quasi interamente assorbiti nella forza dello stile. Conta il rapporto tra il settecentesco castello dove gli ufficiali dello Stato Maggiore predispongono sulla carta (sulla scacchiera) le mosse dell’azione, rispondendo alle proprie ambizioni, e il caos del “formicaio” in trincea dove l’azione veramente si svolge. Fu distribuito in Francia soltanto nel 1975. Quando si toccano i generali, i censori hanno una memoria storica di ferro. Suzanne Christian, la ragazza che canta con i soldati la struggente canzone finale, diventerà la moglie di Kubrick.
Dopo un litigio con una donna sposata con la quale conviveva da sette anni, un operaio si allontana da casa con la figlioletta, compiendo un doloroso vagabondaggio, apparentemente senza meta, in Padania. Gli incontri che fa non lo aiutano. “Il passato preme e chiude e il futuro non esiste: esiste soltanto il presente con l’impossibilità di dare coerenza ai sentimenti, di conciliarsi col tempo e col luogo” (G. Tinazzi). È, forse, il capolavoro del primo Antonioni, un’odissea straziante che racconta l’impossibilità di ricondurre nel pubblico e nel collettivo la crisi profonda del privato. Il paesaggio diventa il riflesso dell’anima. Gran Premio della critica al Festival di Locarno. Scritto con Elio Bartolini e Ennio De Concini. Nastro d’argento alla fotografia di Gianni De Venanzo. D. Gray con la voce di Monica Vitti.
Con Luci della ribalta Chaplin intese narrare una storia individuale, la storia di un declino e di una morte, e forse prefigurava se stesso, o voleva esorcizzare. Aveva sessantatré anni, pensava alla poesia e al sentimento e aveva finalmente accettato la parola nei film. Aveva capito che la parola non sarebbe servita, come nel Grande dittatore, a enunciare i grandi temi: il cinema non aveva necessariamente quel dovere e Chaplin non aveva quella capacità.
Nel 1927 a Hollywood un famoso attore che fa coppia sullo schermo con un’attrice antipatica supera il difficile passaggio dal muto al parlato con l’aiuto di un amico e l’amore di una cantante. Una delle migliori commedie musicali nella storia di Hollywood, meno pretenziosa di Un americano a Parigi e meno spettacolare di Un giorno a New York, ma superiore a entrambi per vivacità, umorismo, armonia tra le parti. Grande classe a livello coreografico, molte invenzioni a quello registico, memorabili numeri comici di D. O’Connor. Nemmeno un Oscar.
Cecil Blount De Mille è un regista che ha firmato opere di grandissima popolarità che, paradossalmente, non sono le sue migliori. Tutti ricordano i suoi “colossi” come Sansone e Dalila, ma personalmente ritengo che De Mille abbia dato il meglio nei western, dove aveva una sua misura particolare e grande riconoscibilità. Basta ricordare La conquista del West, un western del ’36 già perfettamente adulto, tre anni prima di Ombre rosse, e poi La via dei giganti, Giubbe rosse e Gli invincibili, quasi tutti con Gary Cooper. Tuttavia dicendo De Mille si dice Dieci comandamenti, che è un’opera meritevolissima, beninteso, un titolo che non ha mai trovato posto in nessuna delle classifiche nobili, proprio per le sue caratteristiche di troppa spettacolarità, popolarità, artificio. De Mille voleva soltanto piacere al pubblico, dargli ciò che voleva. John Ford riconosceva questa sua capacità, e in un certo senso gliela invidiava. Nei Dieci comandamenti tutto è perfetto: l’aspetto degli attori, i costumi, le armi, la natura, gli edifici, i trucchi, la musica, le inquadrature. È tutto così stilizzato e calligrafico da far invidia al più avanzato dei registi pubblicitari.
Dal romanzo di Ernest Hemingway. Durante la prima guerra mondiale, sul fronte italo-austriaco, un volontario americano s’innamora di un’infermiera inglese. Arriva Caporetto. Lui diserta e scappa con lei. Si rifugiano in Svizzera. Rifacimento del film di Frank Borzage (1932) con Gary Cooper (che in Italia non venne mai perché, sulla scorta del libro di Hemingway, osava fare dei rilievi sul comportamento delle truppe italiane a Caporetto). Questo invece fu fatto con il concorso dell’esercito nostrano (unica contropartita: un pistolotto iniziale sulle virtù guerriere italiche). Però è venuto peggio, un polpettone asmatico privo di bravura con una primattrice troppo anziana e leziosa, e poche emozioni anche per gli spettatori di bocca buona. Davide Selznick, che voleva farne il Via col vento degli anni Cinquanta, ne uscì stremato (appena recuperate le spese si ritirò a vita privata). Tra le ragioni dello stremo, le furiose litigate con il primo regista designato, John Huston, che non legava con la moglie-diva di Selznick, Jennifer Jones, e fu esonerato dopo poche settimane.
Giornata molto laboriosa per un attempato commissiario napoletano: due sposini che litigano, un giovane sfruttatore, una compagnia di riviste derubata dall’impresario, ecc.
Dal romanzo di Isa Mari Via delle Mantellate . Galleria di donne in un carcere romano: Egle, prostituta incallita; Lina, servetta spaurita accusata ingiustamente di complicità in un furto; una ragazzina già pentita e innamorata di un ragazzo che vede dalla finestra. Egle insegna come farsi furba a Lina che impara anche troppo bene. Sceneggiato con Suso Cecchi D’Amico, è più un film d’attori (anzi di attrici) che d’autore, ma contraddistinto, come quasi sempre in Castellani, da un sapiente ritmo narrativo: una macchina che funziona come un orologio, nonostante l’intelaiatura.
Un film di Nathan Juran. Con William Hopper, Joan Taylor Titolo originale 20 Million Miles to Earth. Fantascienza, b/n durata 82′ min. – USA 1957. MYMONETRO A 30 milioni di km dalla Terra valutazione media: 2,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Di ritorno dal pianeta Venere un’astronave USA sprofonda nel mar di Sicilia. Si salvano il col. Calder e un rettile venusiano di aspetto antropomorfo che, trasferito nello zoo di Roma, per effetto dell’atmosfera terrestre assume proporzioni gigantesche ed evade. Affrontato un elefante dello zoo e ridotto in rovina mezza Roma, è abbattuto a cannonate sulla sommità del Colosseo. Prodotto dalla Columbia e scritto da Bob William e Chris Knopf, è un film di SF come tanti degli anni ’50, ma più fantasioso e, almeno per gli spettatori italiani, più divertente della media. Conta soprattutto per gli effetti di animazione in stop motion di Ray Harryhausen: la povera creatura venusiana, nota col nome di Ymir, è cara ai fans del genere.
Un poliziotto messicano, Vargas, affianca un ispettore americano, Quinlan, nelle indagini sull’uccisione di un ricco proprietario terriero. Ben presto Vargas scopre che Quinlan ha un’idea tutta sua della giustizia e che non esita a falsificare le prove pur di far combaciare la realtà con le sue convinzioni. La verità alla fine trionfa, ma non senza difficoltà. Da un “giallo” di Whit Masterson. Questo titolo è diventato, nel tempo, un vero culto per gli appassionati. Pur non essendo considerato una delle opere fondamentali del regista, contiene alcune soluzioni di linguaggio richiamate anche nelle scuole di cinema. Molto citato è il piano sequenza di dodici minuti dell’inizio. E anche le acrobazie di Charlton Heston nel finale quando pedina Quinlan cercando di registrare la sua voce per incastrarlo. L’aneddotica racconta di Marlene Dietrich, che non era prevista nella sceneggiatura, in visita casuale sul set, inserita estemporaneamente nella parte della zingara. La produzione impose al regista alcune scelte non gradite. Welles disse: “mi hanno dato Heston, biondo di un metro e novanta, per fare un poliziotto messicano”. Nel 2001 il film è stato rimasterizzato e ricomposto nella colonna sonora. È stato distribuito nel grande circuito in edizione originale sottotitolato. Il pubblico, soprattutto giovane, ha risposto bene.
La storia, tratta da un romanzo di Clinton Twiss, si impernia sui disastri in serie cui va incontro una coppia, non più giovanissima, che decide di comprare un’enorme roulotte per farci il viaggio di nozze. Mica comoda la vita on the road. Frivola, deliziosa, buffissima commedia che, sotto le apparenze della farsa (l’unica nella carriera di Minnelli), nasconde i suoi veleni satirici. Una critica impietosa della classe media americana. Da vedere.
Da un romanzo di Ernest K. Gann. A causa di una violenta bufera di neve, aereo da trasporto atterra nel nord della Groenlandia. In attesa dei soccorsi la sopravvivenza è dura. Girato nelle sierre della California, è un dramma a suspense che riserva poche sorprese. Prodotto da Wayne, è un film d’andazzo, ma con gli aerei Wellman ci sa fare.
Un orfano è adottato dalla stravagante e dinamica zia Mame che dopo avergli insegnato a vivere, arricchendo la sua memoria dei ricordi degli ultimi anni ’20 e primi anni ’30, gli trova anche la moglie giusta. All’origine c’è il romanzo Auntie Mame (1955) di Patrick Dennis che, rifiutato da 19 editori, vendette 2 milioni di copie, rimase in classifica per 122 settimane e diede origine a una versione teatrale di Jerome Lawrence e Robert E. Lee, recitata per 639 repliche dalla Russell. L’adattamento di Betty Comden e Adolphe Green per la Warner fa evaporare la poliforme comicità del romanzo. La convenzionale regia di M. da Costa fa il resto. Fortunatamente c’è la 50enne Russell, insaziabile chiacchierona, a tenerlo in piedi. Ebbe 6 candidature agli Oscar tra cui quelle della fotografia (Harry Stradling) e dell’attrice protagonista. Anni dopo ne fu tratto il musical Mame, a sua volta trasformato in film (1974) con la regia di Gene Saks e Lucille Ball protagonista. Il libro fu ripubblicato con rinnovato successo da Adelphi nel 2009.
Nella Napoli del 1821, Alphonse, un giovane poeta appartenente a una nobile famiglia francese, si avventura su una lampara con dei pescatori locali. Una tempesta li investe; riescono fortunosamente ad arrivare alle rive di Procida, dove il giovane viene accolto nella famiglia di Andrea, uno dei pescatori. Qui incontra Graziella, giovane e bella ragazza con cui nasce subito un bel rapporto di amicizia, e si conquista la simpatia di tutta la famiglia.
Movimentata storia d’amore tra uno spericolato corridore automobilistico e una giornalista d’assalto. Azione senza affettazione, ma dopo 30 anni di lavoro alla M-G-M Brown era stanco. Si ritirò 2 anni dopo.
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