Uno sciocco assicuratore stipula una polizza sulla vita con un distinto signore che poi si rivela essere il terribile Jesse James. Mille acrobazie dello sciocco per tenere in vita il famoso bandito.
Un film di Henry Hathaway. Con Chill Wills, Diane Varsi, Don Murray Titolo originale From Hell to Texas. Western, durata 100 min. – USA 1958. MYMONETRO L’uomo che non voleva uccidere valutazione media: 2,75 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Un giovane cowboy quacchero uccide accidentalmente il figlio di un ricco ranchero e si trova addosso i familiari della vittima. Farebbe una brutta fine perché, per motivi religiosi, non può sparare addosso agli avversari, ma un atto di generosità gli salverà la vita
Durante la guerra di Corea, maggiore dell’aviazione USA sposa un’attrice giapponese. Ma c’è una seconda storia d’amore, delicata e triste che avrà una diversa conclusione. Tratta dal romanzo (1954) di James A. Michener, sceneggiato da Paul Osborn, è la versione riveduta, corretta e antirazzista di Madame Butterfly condotta su due binari. M. Brando (così, così) ha ceduto a un dramma strappalacrime con funzioni propagandistiche. 9 candidature e 4 Oscar: fotografia, scenografia e 2 attori non protagonisti (R. Buttons e M. Umeki).
Confuso melodramma su una ragazza costretta dalla povertà ad andare a lavorare in una salina. È insidiata dal sorvegliante, ma protetta da un bravo ragazzo.
Un film di Mauro Bolognini. Con Peppino De Filippo, Vittorio Caprioli, Giorgio Ardisson, Totò, Laura Adani. Commedia, b/n durata 107 min. – Italia 1959 Un buon padre di famiglia in cerca di alloggio, dopo mille tentativi trova una splendida dimora, ampia, confortevole, a buon mercato. Non sa che è un’ex casa di tolleranza (la chiusura per la legge Merlin è avvenuta solo qualche mese prima). Guai, equivoci a non finire, litigate giornaliere con ex clienti che sperano (vedendo le persiane spalancate) in un’inopinata riapertura.
Insieme a Il ritratto della signora Yukie La signora Musaschino questo film fa parte di una trilogia sul tema della sconfitta sentimentale di tre donne idealizzate. La signora Oyu narra la storia di un amore impossibile tra la vedova Oyu (che deve vivere nella casa del marito per crescere il figlio-erede) e il marito della sorella. Sensibile al valore della tradizione ma anche spinta dalle passioni (l’erotismo è una delle componenti fondamentali del cinema del maestro giapponese), Oyu vive una situazione di lacerazione e di incolmabile solitudine di una esistenza non desiderata, ma accettata.
Hamako entra a servizio presso la lussuosa villa di Atami della figlia del governatore della provincia, la signora Yuki, che Hamako, sin da piccola, aveva idealizzato come gran dama dalla vita felice. Ma è disillusa quando, al suo arrivo il giovane e simpatico, nonché pettegolo e ficcanaso servo Seitaro, le racconta che la vita della padrona non è poi tanto felice, dato che il marito di lei, Naoyuki, ha un amante, Ayako, con la quale vive a Kyoto, e che Yuki stessa, si vocifera, avrebbe come amante l’insegnante di musica Masaya.
Un film di William Castle. Con Vincent Price, Alan Marshall Titolo originale House on Haunted Hill. Horror, b/n durata 75 min. – USA 1958. MYMONETRO La casa dei fantasmi valutazione media: 2,40 su 9 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Loren, eccentrico proprietario di un castello isolato, offre una forte somma a chi trascorrerà un’intera notte in casa sua. Accettano due giovani bisognosi di denaro, una anziana giornalista in cerca di notizie e uno psicologo. Sarà una lunga notte di terrore: Loren è un pazzo omicida. All’alba si conteranno i morti.
La tela del ragno del titolo simboleggia la situazione ingarbugliata e piena di tensione instauratasi in una clinica per malattie nervose, dove anche una questione apparentemente banale (il cambio della tappezzeria) costituisce un vero e proprio trauma e coinvolge i ricoverati, il direttore, sua moglie, l’amministratrice. Dopo parecchi guai, il buon senso prevale e la vicenda si conclude in maniera positiva.
Omero viene creduto contaminato dalle radiazioni in maniera irreversibile e, per rendergli più piacevoli possibile gli ultimi giorni di vita, gli americani fanno a gara. Solo che Steve, il suo medico, ha sbagliato diagnosi e Omero è sanissimo. Alla giornalista che ha riempito pagine con lacrimevoli articoli sulla triste sorte del giovane non è possibile rimangiarsi tutto, perciò la ragazza obbliga Omero a “suicidarsi” gettandosi da un ponte: lui non muore, ma l’opinione pubblica non lo sa e la facciata è salva.
Non esiste dvd in italiano, non ho trovato altre versioni oltre questa in rete
Un western vecchio stile. Lo sceriffo salva il vecchio Pop che sta per essere linciato per un omicidio non commesso. Ha tutti contro, specie gli allevatori. Finale trionfo per i buoni.
Una bellissima ragazza si sente attratta da un misterioso personaggio che la rifiuta. Si tratta dell’Olandese volante, destinato a vagare nei mari per avere ucciso la moglie innocente fino a quando una donna morirà per lui. La ragazza raggiunge l’uomo il giorno del matrimonio e salpa con lui. Entrambi troveranno la morte, e lui la pace.
Un direttore d’orchestra rifiuta di pagare una tangente a un bandito per avere la possibilità di suonare in vari locali. Per costringerlo a cedere, il fuorilegge ammazza uno degli orchestrali e lui, scoraggiato, accetta le imposizioni. Un episodio di violenza contro una cantante lo spinge però a ribellarsi di nuovo. Durante una sparatoria, riesce ad avere la meglio sul bandito.
Un film di Budd Boetticher. Con Randolph Scott, Lee Marvin, Gail Russell Titolo originale Seven Men From Now. Western, durata 78′ min. – USA 1956. MYMONETRO I sette assassini valutazione media: 3,50 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Durante la rapina della banca di Silver Springs compiuta da sette fuorilegge, viene uccisa la moglie dello sceriffo Ben Stride che parte all’inseguimento. È il 1° dei 7 western con R. Scott di B. Boetticher, l’unico dei westerners del dopoguerra che si può ricollegare a Howard Hawks di cui non ricalca i temi, ma ne ritrova lo stile, l’intelligenza critica, la lucidità appassionata: “Poche peripezie esterne, pochi colpi di scena; in lui la drammaturgia conta meno dell’etica. E nessun alibi, nessuna tesi…” (B. Tavernier). I suoi sono western classici, spesso violenti come questo, ma narrati con un’asciuttezza e una manciata di compiacimenti che ne confermano la moralità profonda. Scritto da Burt Kennedy che passò alla regia nel 1961. Fotografia di W.H. Clothier.
In una guerra tra stati senza nome e senza caratteristiche particolari (l’inglese parlato dai personaggi, si spiega all’inizio, è solo una convenzione) i soldati di un fronte atterrano per errore oltre le linee nemiche e dovranno adoperarsi per arrivare sani e salvi nel loro territorio. Per farlo saranno costretti a prendere una ragazza prigioniera, dividersi, viaggiare lungo il fiume e ad un certo punto fermarsi per cercare di uccidere un generale e un capitano nemici. Invisibile per decenni per volontà dello stesso autore, che lo riteneva nulla più che un esercizio di gioventù, il primo lungometraggio di Stanley Kubrick ha cominciato a circolare clandestinamente dopo la sua morte fino a trovare recentemente una vera e propria edizione in Blu-Ray e l’uscita in sala. Non sorprende che siano proprio la guerra e le assurdità che la compongono le tematiche al centro dell’esordio di un regista che ha fatto dell’epopea militare la pietra fondante di una filmografia per il resto estremamente eterogenea (almeno un terzo dei film di Stanley Kubrick riguardano la guerra). A sorprendere semmai è come in Paura e desiderio si trovino già tutte le idee del regista riguardo il conflitto bellico con in più atmosfere esistenzialiste all’epoca sconosciute al cinema di guerra. C’è un nemico incombente ma quasi invisibile (come in Orizzonti di gloria), una totale identità tra i due fronti, la follia che sembra parte integrante della mentalità dei soldati (come in Full metal jacket) e una curiosa maniera di relazionare violenza e sessualità (come in Il dottor Stranamore e in Full metal jacket). Stanley Kubrick mostra di avere le idee chiarissime e una lucidità minimalista nel metterle in scena per nulla comune nei registi giovani. Tuttavia Passione e desiderio lo stesso non è lontano da quel che l’autore diceva di esso. Indeciso su diversi registri, capace di trovate di indubbia efficacia (come la sorpresa dopo l’attentato al generale) ma anche in difficoltà nella gestione dei tempi e dell’equilibrio del racconto, l’esordio indipendente (i soldi per molti versi dovette metterceli anche Kubrick stesso) dopo qualche anno di lavoro come fotografo per la rivista Look, appare oggi come un film anticonvenzionale e molto audace per gli standard del 1954 ma anche un passo più lungo della gamba. Kubrick fa quasi tutto: il regista, il direttore della fotografia e il montatore, mentre la sceneggiatura è dell’amico Howard Sackler (anche scrittore del successivo Il bacio dell’assassino), eppure il film sembra capace di trovare un senso solo grazie al lavoro sulle immagini. Mentre il montaggio non è sempre fluido, sperimentando eccessivamente senza la capacità di mantenere un ritmo e una comprensibilità coerenti, il regista sembra appoggiarsi alla sua più grande abilità dell’epoca, concependo le inquadrature come foto, con i soggetti spesso immobili. Passione e desiderio infatti, meglio ancora dei capolavori da venire, riesce e puntare il riflettore sull’abilità di Kubrick di concepire immagini in grado di parlare più e meglio qualsiasi parola o prova d’attore. Senza sofisticazioni particolari ma con una chiara visione di quello che importa in ogni momento e di cosa in ogni scena sia in grado di colpire, Kubrick mette in scena sequenze audaci come l’approccio alla prigioniera da parte del soldato matto o altre di pura tensione, navigando nell’indecisione fino a che non sopraggiunge un’idea visiva di assoluto livello a risolverle. Idee filmiche e gesti registici di una complessità e di un’inventiva non comuni per un esordiente di 24 anni eppure non sufficienti a sorreggere un film debole dal punto di vista della struttura e dello storytelling.
Un gruppo di gangster, su commissione di un avvocato in cattive acque, compie una rapina in una gioielleria. Qualcosa non funziona. La banda, malgrado uno dei suoi componenti resti gravemente ferito, porta a termine il colpo. Ma uno degli organizzatori, messo sotto torchio dalla polizia, finisce col confessare. L’avvocato preferirà il suicidio all’infamante arresto. Ad uno ad uno gli uomini della banda vengono catturati o uccisi. Probabilmente il miglior film di gangster mai realizzato, cinematograficamente perfetto. Una visione livida e lucida di una comunità di emarginati, che ha un suo codice e che accetta la propria esistenza senza illusioni. Ogni personaggio ha una logica, anche il più marginale, nel disegno corale di una società che il regista mostra senza il fastidioso realismo poetico di stampo francese. Persino il personaggio del “professore”, il cervello della banda, è disegnato con precisione e senza coloriture dal grande caratterista Sam Jaffe. La perfetta esecuzione tecnica è dovuta probabilmente, oltre che al talento di Huston, al fatto che a produrre il film fosse la M.G.M, garante di una professionalità spesso travisata e giudicata un limite, senza la quale si può essere geni quanto si vuole, ma si finisce irrimediabilmente nella sciateria. Quasi sempre. Un film d’autore resta sempre tale, purché non si abbia la pretesa che ogni essere vivente abbia l’obbligo morale di assistervi e compiacersene. Giungla d’asfalto è un raro esempio di impegno artistico e professionale in perfetto equilibrio di valori. Uno stuolo di caratteristi, quali solo il cinema americano è in grado di sfornare, compongono la galleria di vincitori e vinti. Un gioco delle parti non privo di romanticismo, quello autentico, che scaturisce dalla mancanza di ferocia; un elemento ben presente nella società odierna. Sterling Hayden, che in seguito confermerà di essere come attore un perdente di successo, nel ruolo di Dix Handley ha una ruvidezza che nulla aveva a che fare con lo star system di allora. Né gli è da meno l’elegante e fatalista Louis Calhern, nel ruolo dell’avvocato. E Marilyn Monroe è inconsapevolmente la perfetta incarnazione di tutti i personaggi che avrebbe interpretato in seguito.
La dura vita di una povera e decaduta famiglia bengalese, di casta bramina, all’inizio del Novecento, vista con gli occhi del piccolo Apu (S. Bannerjee), l’ultimo nato, e di Durga (Gupta), la sorella più grande che muore mentre un violento monsone spazza il villaggio. Il padre (Kanu Bannerjee), tornato a casa dopo una lunga assenza per lavoro, decide di trasferirsi con la famiglia a Benares. Finanziato con pochi mezzi dal governo del Bengala dell’Ovest, è lo straordinario esordio di Ray che diventerà il n. 1 del cinema indiano, dopo aver continuato questa cronaca familiare con Aparajito (1956) e Il mondo di Apu (1959). Trepida, sommessa, commossa elegia delle piccole grandi cose che costituiscono e riempiono la giornata di una famiglia contadina qualsiasi. Il suo ritmo lento si confà alla natura della storia e dei personaggi; la georgica bellezza delle immagini non è quasi mai un pretesto per l’evasione da una dura condizione umana anche se la povertà, persino la miseria, è rappresentata in quel che può avere di dignitoso e di rispettabile. La musica di Ravi Shankar è controcorrente con le tradizioni del cinema indiano. Premio del Documento Umano a Cannes 1956.
Un film di John Huston. Con Robert Mitchum, Deborah Kerr Titolo originale Heaven Knows, Mr. Hallison. Avventura, Ratings: Kids+16, b/n durata 107′ min. – USA 1957. MYMONETRO L’anima e la carne valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Rimasti soli su un’isoletta durante la 2ª guerra mondiale, rude marine e gentile suora resistono al clima, ai giapponesi ma soprattutto alle tentazioni dell’amore. Umorismo ben mescolato alla tenerezza in un clima di sterilizzata audacia erotica. Bella coppia. C’è uno spogliarello “teologico”. Tratta da un romanzo di Charles Shaw, la sceneggiatura di John Lee Mahin, ritoccata dal regista, ebbe una candidatura all’Oscar come la Kerr.
Un film di Robert Wise. Con James Mason, Robert Newton, Richard Burton Titolo originale The Desert Rats. Guerra, Ratings: Kids+13, b/n durata 88 min. – USA 1953. MYMONETRO I topi del deserto valutazione media: 2,75 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Le truppe alleate sono impegnate a difendere la fortezza di Tobruk, unico serio ostacolo dell’avanzata dell’esercito tedesco nell’Africa settentrionale. Un ufficiale si distingue per una serie di coraggiose imprese, riuscendo a tenere a bada i nemici fino all’arrivo dei rinforzi.
Un film di John Huston. Con John Wayne, So Yamamura, Eiko Ando, Sam Jaffe Titolo originale The Barbarian and the Geisha. Avventura, Ratings: Kids+13, b/n durata 105′ min. – USA 1958. MYMONETRO Il barbaro e la geisha valutazione media: 2,50 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
1856: Townsend Harris è il primo diplomatico USA mandato in Giappone. Accolto con ostilità, conquista la riconoscenza degli abitanti durante un’epidemia di colera. Intanto la geisha Okichi, messa al suo servizio a far la spia, s’innamora. Scritto da Charles Grayson, da un romanzo di Ellis St. Joseph, è il 2° e il peggiore dei 3 film diretti da Huston per la Fox nel triennio 1956-58. “Prima di diventare un brutto film, era un bel film” (J. Huston). Lo divenne per colpa di J. Wayne che impose al montaggio le sue esigenze divistiche, trascurate durante le riprese dal regista, tra attriti e bisticci.
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