Nel ragazzetto Gigetto si scopre un’eccezionale voce di baritono. Rimasto solo per l’arresto del padre, è affidato a un maestrino disoccupato che sfrutta l’occasione. Arriva la celebrità, seguita da parenti avidi. Film d’esordio del nipote di Silvio D’Amico, su sceneggiatura scritta con Age e Scarpelli. Commedia piacevole, in bilico tra umorismo e sentimento, ricca di delicate annotazioni d’ambiente con risvolti di un grottesco graffiante. Sordi ci dà dentro senz’argini come il Po in piena, in una affiatata compagnia di caratteristi. Azzeccata colonna sonora di A.F. Lavagnino, elaborata da A. Trovajoli.
Un telegramma dal Sud Africa riunisce e movimenta la vita di cinque fratelli: un vecchio zio è morto e la sua vedova è in arrivo. Tutti, ad eccezione di uno, cercano di evitare la zia che suppongono vecchia. Sorpresa: arriva una giovane in Cadillac accompagnata da un’altra giovane. Anche il testamento dello zio prende in contropiede i fratelli.
Macabro (Macabre) è un film del 1958, diretto dal regista William Castle.
Il dottor Barrett vive con la figlia Marge di tre anni e la sua tata Miss Kushins. La città ha perso fiducia in lui e solo la sua assistente gli rimane fedele, l’infermiera Polly Baron, la quale cerca di convincerlo a lasciare la città, ma Barrett non vede l’ora di sposare Sylvia. A un certo punto, Marge scompare da casa, dove è stata vista l’ultima volta mentre giocava con il suo orsacchiotto. Il dottore riceve una misteriosa telefonata in cui l’interlocutore afferma di aver rapito Marge e di averla sepolta viva aggiungendo che si trova in compagnia dei morti e che gli restano soltanto 4-5 ore per ritrovarla. Così il dottor Barrett, insieme a Polly, inizia la ricerca della piccola partendo dal cimitero locale.
Timido, goffo e petulante, Alberto cerca in ogni modo di fare colpo su Margherita. Con la speranza di vincere il primo premio, partecipa a una corsa. Da un soggetto di Sordi sceneggiato dall’attore con Cesare Zavattini e Vittorio De Sica (che si dice abbia diretto gran parte del film), un filmetto un po’ melenso ma interessante come specchio della Roma postbellica. Nel suo primo film da protagonista Sordi ha voluto portare sullo schermo i temi, i modi e l’umorismo di un suo popolare programma radiofonico.
Cencio, rampollo di una famiglia di ladri di borgata, è assecondato dalla bella Cesira, finché prende di mira un commerciante di cui lei s’innamora. Vicenda disarticolata resa credibile e omogenea dalla bravura di Sordi.
Sembra che fosse proprio Bonnard, attore e regista, a ispirare una delle più famose macchiette di Ettore Petrolini (“Ogni cuor si accende e arde, perché ci ho gli occhioni belli, le basette a la Bonnard…”). Toccava a lui di dirigere questo film, e a Sordi di interpretarlo, bravissimo nel far sentire l’amaro sotto il fatuo. Con qualche sforzo in più questa commedia che diverte e tira al patetico senza mezze misure poteva essere un’efficace satira di costume degli anni ’20. Petroliniano a metà. Nastro d’argento 1961 per i costumi (Maria De Matteis).
Rodolfo vive alle spalle della famiglia della moglie e trascorre le giornate studiando canto con un maestro di musica spiantato e imbroglione almeno quanto lui. Quando il suocero gli dà l’ultimatum, Rodolfo è costretto a darsi da fare per avere una particina in un’opera lirica allestita nel teatro cittadino. Convinti di assistere all’inizio di una folgorante carriera, i parenti di Rodolfo gli concedono di continuare a vivere come sempre.
Nerone tenta in ogni modo di far uccidere la madre Agrippina, unica persona che riesca a tenergli testa complicandogli la vita con continue sollecitudini alla guerra. Anche Seneca e Poppea si danno da fare per eliminare la vecchia imperatrice, che però sembra avere cento vite. Alla fine Nerone ce la fa, e insieme alla madre fa uccidere tutti quelli che lo hanno aiutato e che gli sono venuti a noia, moglie compresa.
Nel 1898 ai tempi della corsa all’oro, nello Yukon, un cowboy accompagnato da un amico conduce una mandria per gli affamati minatori, ma un prepotente vorrebbe fargli pagare un esoso pedaggio. Dopo alterne vicende il nostro eroe riuscirà vincitore e sposerà una ragazza del luogo.
A Dodge City nel 1873 il cowboy Lin McAdam vince in una gara di tiro un fucile Winchester, ultimo modello, che gli viene rubato dall’assassino di suo padre. Molte peripezie per riaverlo mentre la preziosa arma passa di mano in mano. Uno dei 3 western che Mann diresse nel 1950 e il 1° dei 5 con Stewart: anche grazie a lui il genere entra nella sua maturità. Di impeccabile costruzione narrativa, il film ha una forza suggestiva sul piano visivo e i suoi personaggi sono già ben approfonditi anche se non come nei western successivi. Da notare Rock Hudson (come pellerossa) e Tony Curtis in piccole parti. Rifatto per la TV nel 1967.
Glyn, un bandito pentito, guida una carovana dal Missouri all’Oregon. Salva la vita a McCole (Kennedy), che sta per essere impiccato. Insieme i due conducono la carovana salvandola dagli indiani. I coloni acquistano i viveri per l’inverno pagandoli in anticipo, ma al momento della consegna i prezzi sono decuplicati perché nella zona è scoppiata la febbre dell’oro. Glyn, aiutato da McCole, recupera le provviste, ma durante il viaggio quest’ultimo decide di renderle ai minatori ad un prezzo maggiore. Neutralizza Glyn e lo abbandona sui monti ferito. Ma questi insegue McCole e i suoi complici, li raggiunge e rimette le cose a posto. L’antico bandito è proprio diventato un eroe, premiato anche con l’amore. Il più significativo dei western che compongono la serie diretta da Mann e interpretata da Stewart (gli altri titoli sono Winchester ’73, Terra lontana, L’uomo di Laramie, Lo sperone nudo). Questi film rappresentavano un’evoluzione nei temi western, anche se la chiave morale era semplice e monolitica, e proponevano soluzioni anticipatrici, come il ricorso a una certa violenza dolorosa e reale, e all’uso degli esterni. James Stewart non era John Wayne, nemmeno fisicamente, le sue azioni erano più complesse, gli ostacoli meno prevedibili e l’eroismo non così manifesto, sempre che ci fosse. Stewart aveva più ironia e difetti di Wayne, dunque suggeriva maggiore identificazione. I suoi personaggi erano risolutori, ma solo alla fine, e con grande fatica. Nei primi anni Cinquanta, dunque nella più preziosa stagione del western ( Mezzogiorno di fuoco, Il cavaliere della valle solitaria, Il grande cielo, Rio Bravo, L’amante indiana), le storie di James Stewart e Anthony Mann emersero proponendo una via del west forte e nuova, di qualità popolare e di più profonde implicazioni. Cinema grandissimo.
Per risarcirsi di aver perduto quanto aveva di più caro, Owie Kemp (Stewart) dà la caccia a Ben Vandergroat (Ryan) sul quale pende una taglia di 5000 dollari. Lo cattura insieme alla sua ragazza Lina (Leigh) in una zona delle Montagne Rocciose, ma per scortarlo ad Abilene deve prendere con sé due infidi compagni, un cercatore d’oro (Mitchell) e un ufficiale disertore (Meeker). Durante il viaggio Ben gioca d’astuzia per seminare discordia tra i tre. 3° dei 5 western di J. Stewart con la regia di A. Mann e il 1° non scritto da Borden Chase, sostituito da S. Rolfe e H.J. Bloom. Il che purtroppo si sente, anche nel personaggio di Stewart, pur così sfaccettato nel suo impasto di dirittura morale e cinismo amaro. Il vilain R. Ryan gli ruba più di una volta la scena. La suggestione del paesaggio montagnoso, esplorato nei minimi anfratti dalla cinepresa di William Mellor; il rapporto tra personaggi e natura; l’insolita importanza drammatica del personaggio femminile; uno splendido duello finale ne fanno un western da non perdere. Girato nel Colorado. Nomination all’Oscar per la sceneggiatura.
Capitano americano si finge mercante e va in Messico per scoprire chi vende fucili agli Apaches. Il suo compito è duramente ostacolato dal figlio di un ricco proprietario. 5° e ultimo film di Mann con Stewart, scritto da Philip Yordan e Frank Burt che gli hanno dato una struttura da tragedia classica sulla fine di una potente e corrotta famiglia. Una dose di violenza maggiore del solito, dialoghi piccanti, un ottimo uso dei paesaggi del New Mexico. Il sapiente gioco dei conflitti psicologici in un mondo primitivo ha un’insolita attendibilità storica. 1° film in Cinemascope di Mann. Restaurato.
Ex cronista sportivo si fa coinvolgere in un’impresa disonesta da un’organizzatore per lanciare un pugile con una serie di incontri combinati. Poi si pente. Ultimo film interpretato da H. Bogart (1899-1957) che aveva già firmato per girare The God Shepherd, ma non ebbe il tempo di farlo. Un quadro realistico dell’ambiente pugilistico senza concessioni sentimentali e romantiche. Sceneggiato da Philip Yordan sulla base di un romanzo di Budd Schulberg, liberamente ispirato alla vita di Primo Carnera.
Alla ricerca dell’uccisore della sua fidanzata, cowboy capita al “Mulino d’oro”, quartier generale di una banda capeggiata da un giocatore di professione e dalla cantante Ambra. Girato a basso costo, fondali ed esterni di cartapesta esibiti nella loro falsità, rozzo Technicolor RKO, è uno dei più fascinosi film del Lang americano, impregnato di un romanticismo struggente sui temi della ruota, del destino, della colpa, intorno alla figura mitica di Marlene. Western barocco da mettere vicino a Johnny Guitar (1953). Scritto da Daniel Taradash.
Un uomo d’affari ritorna alla villa dove trascorreva le vacanze estive e incontra una vecchia fiamma. Intanto nasce un idillio tra la figlia di lui e il figlio di lei. Ambo secco. Da un romanzo di Sloan Wilson sceneggiato dal regista per la Warner un melodramma peccaminoso in puro stile hollywoodiano anni ’50 scene di sesso che, almeno in Italia, diedero scandalo e con risvolti di ipocrisia puritana. Ma D. Daves sa dirigere gli attori e la fotografia di Stradling è superba. Musica di Max Steiner.
Parigi, 1944: due amici studenti sono alle prime armi con esperienze sentimentali e malavita. Con il traffico della borsa nera sono gratificati dai primi guadagni. Da lì a colpi grossi il passo è breve. Tratto da un romanzo di M. Aymé e sceneggiato da Aurenche e Bost, grazie anche a un’efficace scelta di attori (Delon, Brialy, Milo), è uno dei migliori film francesi sull’Occupazione, di una grazia acidula che qualche eccesso caricaturale non guasta.
Una prostituta, la moglie di un disoccupato, l’amica ricca di un pittore squattrinato, una ragazza incinta, una servetta e altre venti donne, richiamate da un annuncio che promette un lavoro, s’affollano su una scala che crolla. Forse il miglior film del diseguale e ambizioso De Santis e un’opera chiave dell’ultimo neorealismo. Da un fatto di cronaca nasce una ricca galleria di personaggi femminili in fertile equilibrio tra passione e ideologia. Sostenuto da una sapiente sceneggiatura cui collaborarono, tra gli altri, Zavattini e Sonego. Nastro d’argento per le musiche (M. Nascimbene). Allo stesso fatto di cronaca è ispirato Tre storie proibite.
Bimbetta di 10 anni arriva dalla provincia a Parigi e scopre la città, i suoi strani abitanti, il suo traffico folle. Ma il suo sogno è un viaggio in metropolitana. Nello spericolato tentativo di trasformare la comicità verbale del romanzo (1959) di Raymond Queneau in buffoneria visiva, Malle casca in piedi. Da godere a frammenti, in mezzo a un disordine premeditato e a molte invenzioni.
Il ragioniere Anselmi (Alberto Sordi) è uno scapolo impenitente. Quando il suo amico Armando si sposa, è costretto a far da testimone ma disprezza l’idea del matrimonio. Avendo lasciato all’amico e alla moglie l’appartamento, va a vivere in una pensione dove conosce Gabriella, una giovane hostess con cui intreccia una relazione. La ragazza ben presto si innamora, ma lui si defila e lei si fa trasferire a Milano. Riconquistata la libertà, dà sfogo alla sua vocazione da “don giovanni”, ma ben presto la solitudine lo attanaglia. Consigliato anche dalla madre, decide di trovare una compagna di vita. Ma l’obiettivo si rivela arduo. Capirà alla fine che è la signorina Carla, con la quale ha avuto furiosi litigi, a fargli battere il cuore. Sarà lei a portarlo all’altare.
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