La storia riguarda i tentativi fatti per salvare l’equipaggio di un sommergibile italiano, rimasto imprigionato sul fondo nel corso di un esercitazione.
Secondo una profezia, Macbeth è destinato a diventare re di Scozia. Sobillato dalla moglie, uccide re Duncan e ne prende il posto; elimina anche Banquo. Sopraffatta dal rimorso, Lady Macbeth si suicida. Il protagonista verrà ucciso a sua volta da Macduff. Il film è noto quale estremo esercizio di cinema in povertà. Una vera scommessa di Welles, grande appassionato di Shakespeare, col sistema hollywoodiano che non lo amava. La Republic prestò gli studi al “genio” che si destreggiò con un budget di soli sessantamila dollari. Tutto povero, appunto: dalla scenografia ai costumi a gran parte dei caratteristi. Giocando su contrasti e luci scure, il regista riuscì, facendo di necessità virtù, a dare la sensazione di un linguaggio buio (per nascondere le magagne) e di grande espressività.
Nel 1946 in una Vienna devastata dalla guerra e divisa in quattro zone di occupazione, lo scrittore americano di western Holly Martins (Cotten) assiste ai funerali dell’amico Harry Lime (Welles), ma è veramente morto? Inseguimento finale nelle fogne della città. Scritto da Graham Greene che dalla sceneggiatura trasse un romanzo (1950), è uno di quei film – ormai un classico del cinema britannico – che nascono da uno straordinario concorso di circostanze: un bel copione, un regista quarantenne nella sua stagione di grazia, una tela di fondo – Vienna – di grande suggestione grazie al bianconero di taglio espressionistico di Robert Krasker, il romantico commento musicale su cetra di Anton Karas, interpreti funzionali, un perfetto ingranaggio d’azione in cui la tecnica del giallo si coniuga con una sottile indagine psicologica. Il vero tema del film è la morte, come in La signora di Shangai. E poi Welles: c’è un salto di qualità tra la breve parte che riguarda Harry Lime e il resto. Non sembra dubbio che abbia dato più di un suggerimento a Reed; è certo che collaborò ai dialoghi. Sua è la celebre battuta sull’Italia del Rinascimento e la Svizzera. Per molti anni Lime divenne un sinonimo di Welles che portò il personaggio in una serie radiofonica di 39 puntate: Le avventure di Harry Lime. Palma d’oro a Cannes e Oscar per Krasker. Esiste anche in versione colorizzata. Ridistribuito nel 2000 in edizione originale con sottotitoli italiani.
Tre avventurieri vengono accusati di furto di bestiame dalla comunità di una cittadina del West. Sceneggiato da Lamar Trotti e fotografato da Arthur Miller, questo film, tratto da un romanzo di Vantilburg Clark, uscì negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale. Il tema del linciaggio provocò una profonda impressione. Sul film (forse il capolavoro di Wellman) qualche anno dopo, Manny Farber su “The New Republic” scrisse: “… The Ox-Bow Incident è un significativo momento della nostra cultura”.
Durante l’occupazione nazista, l’ufficiale tedesco Werner von Ebbrennac si stanzia nella casa di campagna di un anziano signore che abita con la nipote. Costretti ad ospitarlo, i due non replicano mai alle sue disquisizioni su quella cultura francese di cui è appassionato, nelle sere del rigido inverno del 1941 in cui cerca il conforto del calore del caminetto. Sebbene si renderà conto della follia che regge la barbarie nazista, von Ebbrennac non avrà il coraggio di fare la scelta giusta. Sentito esordio dietro alla macchina da presa di Jean-Pierre Melville, Il silenzio del mare ha aperto una nuova strada nella storia del cinema francese, nonostante le accuse di “monologo interiore illustrato” e di una certa rozzezza a livello squisitamente cinematografico mosse allora. Tratto dall’omonimo romanzo breve pubblicato nella clandestinità da Vercors, pseudonimo di Jean Marcel Adolphe Bruller, il film è un dramma da camera pervaso da rovelli esistenziali e senso della disfatta, solitudine e dolore. Con un budget minimo, pari all’incirca ad un decimo del costo di una produzione media, e una troupe di collaboratori di cui nessuno professionista, il cineasta esordiente ha inaugurato, di fatto, quella scioltezza di linguaggio che sarà recepita, una decina di anni dopo, dagli autori della Nouvelle Vague. Come faranno i registi del venturo movimento, infatti, Melville insegue un’estrema libertà compositiva, definendosi nella maniera più stretta possibile autore primo del testo filmico, lontano dalle strettoie delle produzioni e dalle schiavitù di qualsiasi genere: non a caso, oltre alla regia, curò adattamento, produzione e montaggio. Fuori sistema, austero e angosciante, ma sempre vivo nella sua chiarezza espositiva, si fonda sulla voce off dell’anziano proprietario di casa, spesso immobile o con la pipa tra le mani per scaldarsi, che fronteggia col silenzio il simbolo di un invasore via via vacillante nelle sue stesse convinzioni. Animato da un autentico spirito corsaro, tutto interiorizzato e meditativo, apparirà in netta controtendenza a chi conosce quella riscrittura del noir scattante e “americanizzata” che coincide con la maturità artistica di Melville. Caso isolato e irripetibile, Il silenzio del mare incontrò un grande favore di pubblico e, in parte, anche di critica. Fotografato da Henri Decaë, qui alla sua prima prova e poi abituale collaboratore del regista così come di altri nomi della nascente Nouvelle Vague. Girato nella stessa casa in cui Vercors aveva immaginato il suo racconto
Dal romanzo Il postino suona sempre due volte (1934) di James Cain: malmaritata a un uomo più vecchio di lei, una donna induce un giovane vagabondo di cui è diventata l’amante a uccidere il consorte in un incidente automobilistico truccato. Qualcosa di più di un film: una bandiera, un manifesto, un simbolo. Memorabile esordio di Visconti, aprì la strada al neorealismo postbellico, agganciò il cinema italiano alla cultura europea della crisi, fu la scoperta di un’Italia amara, fatta con violento pessimismo, tramite il filtro del romanzo nordamericano e del realismo francese di J. Renoir. Nonostante difetti, eccessi, compiacimenti estetizzanti, un ammirevole esempio di fusione tra realismo e decadentismo. Scritto da Visconti, G. De Santis, M. Alicata, M. Puccini e, non accreditati, R. Assunto e S. Grieco. Fotografia: Aldo Tonti, Domenico Scala. Musica: Giuseppe Rosati. Marcuzzo (nel film lo Spagnolo) fu impiccato per errore con il fratello Armando (e seppelliti vivi) nell’aprile 1945 da una banda di partigiani, comandata dal sanguinario Gino Simionato detto il Falco che, con altri 3, fu indagato e prosciolto nel ’54 per amnistia. Il romanzo di Cain fu filmato dal francese P. Chenal (1939) e dagli americani T. Garnett (1946) e B. Rafelson (1981).
Dal romanzo (1934) di James Cain, filmato anche da P. Chenal (1939), L. Visconti (1943), B. Rafelson (1981): sensualmente intrappolato dalla moglie del padrone dell’autogrill dove lavora, un giovanotto uccide il principale. Il destino aspetta dietro l’angolo. Per ragioni di censura il legame tra sesso e violenza, così esplicito in Cain, è suggerito da Garnett con un clima claustrofobico e segnali indiretti che fanno degnamente appartenere il film al genere noir. Conta soprattutto per la presenza di L. Turner e di J. Garfield, ma anche i personaggi di contorno sono ben disegnati.
Un film di Charles Chaplin. Con Isobel Elsom, Charles Chaplin, Martha Raye, Mady Correll, Allison Roddan.Comico, Ratings: Kids+13, b/n durata 122 min. – USA 1947. MYMONETRO Monsieur Verdoux valutazione media: 4,57 su 18 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Per mettere al riparo dalla rovina economica la moglie e il figlio, Verdoux, bancario licenziato, corteggia ricche vedove, le sposa e poi le uccide intascandone i quattrini. Lo stratagemma dura per anni, finché, quando la moglie e il figlio muoiono, Verdoux si costituisce. Viene condannato a morte e fa notare che, a confronto delle spaventose stragi di cui è capace la guerra moderna, il suo delitto è ben poca cosa.
Dal romanzo di Ira Wolfert Tucker’s People: giovane avvocato abbandona i suoi ideali per lavorare al soldo di un racket sulle lotterie clandestine di cui rimane vittima il fratello maggiore. Brillante esordio nella regia di Polonsky, sceneggiatore di idee marxiste che nel ’51 finì sulle “liste nere” per essersi rifiutato di collaborare con l’HUAC, il comitato per le attività antiamericane. Prodotto dal regista con Garfield, è uno dei film gangster più “politici” nella storia di Hollywood, un coinvolgente saggio drammaturgico sul capitalismo e la corruzione. Dialoghi scoppiettanti di verità, claustrofobica fotografia di G. Barnes, musiche di D. Raksin, Garfield e Gomez, suo fratello, ottimi
Sulle frizzanti musiche di Cole Porter si svolge la storia di un pirata che si finge governatore, di un attore che si finge pirata e di una ragazza che vive sognando il mare, ama il pirata come un mito e poi sposa l’attore. Uscito sui nostri schermi con ben 32 anni di ritardo, il film è l’adattamento di una commedia (1942) di S.N. Behrman piuttosto insignificante. Kelly e Garland si scatenano in una cornice scenografica eccentrica e raffinata. Almeno 3 sequenze di balletto memorabili per l’impiego dello spazio: l’esibizione nella piazza di Puerto Sebastian, “Mack the Black” e “Be a Clown” che riassume la filosofia del film.
Edit 26/2/24 sostituita versione satrip con bdrip 720p
Nell’indagine sulla morte di un ex commilitone, Rip Murdock viene a contatto con Coral Chandler, ex amichetta del morto, ora sposata segretamente a un gangster, e cade nella trappola della sua seduzione. Film che s’iscrive al libro d’oro del cinema nero degli anni ’40. H. Bogart, lasciato l’abituale ruolo del cinico dal cuore tenero, impersona un vero eroe nero intrappolato dal destino per mezzo di una classica dark lady il cui “universo distruttore, con le sue inquadrature inclinate e le sue luci cupe, tradisce lo scacco della sua vita affettiva” (C. Macek).
Una ragazza fugge di casa per sposare l’amato. Quasi subito si accorge che lui, per procurarsi i soldi necessari alla loro sopravvivenza, non va troppo per il sottile. Sospetta addirittura che abbia ucciso un loro facoltoso amico e stia per eliminare anche lei. Sconvolta, decide di partire. Finale, naturalmente, a sorpresa
Constance Peterson (Ingrid Bergman) è una giovane dottoressa che lavora presso una clinica psichiatrica e che non presta alcuna attenzione ai suoi pur tanti ammiratori. Almeno fino a quando nella clinica arriva il dottor Edwards (Gregory Peck), destinato a prendere il posto del vecchio direttore, il dottor Murchison (Leo G. Carroll), che deve andare in pensione per raggiunti limiti di età. Tra i due scoppia improvviso l’amore, tanto che la riservata dottoressa dedita solo al lavoro si trasforma in una donna follemente innamorata. Ma Edwards ha comportamenti alquanto strani – ad esempio non sopporta la visione della neve e delle righe – che porteranno Constance a scoprire che l’uomo non è il dottor Edwards, ma un misterioso John Ballantine che ha perso la memoria e crede di aver ucciso il vero dottor Edwards per prenderne il posto. Ben presto i sospetti trapelano anche nella clinica e i due sono costretti a fuggire e a rifugiarsi in casa del dottor Brulov (Michael Chekhov), di cui Constance era stata in passato la giovane assistente, che dopo gli iniziali dubbi aiuterà l’uomo a recuperare finalmente la memoria. Definito dallo stesso autore come una “caccia all’uomo in un involucro di pseudo-psicoanalisi”, Io ti salverò costituisce uno dei più celebri e complessi thriller di Hitchcock, impreziosito dalle immagini oniriche realizzate appositamente da Salvator Dalì e sorretto dalla coppia Ingrid Bergman-Gregory Peck.
Dal romanzo Thieves Like Us di Edward Anderson. Evaso dal carcere con due criminali e costretto a partecipare alle loro imprese, il giovane Bowie s’innamora di Keechie, nipote di uno dei due, e la sposa. Fuggono insieme, ma Bowie è ucciso dalla polizia. Nell’ultima scena, Keechie incinta legge una lettera del marito, si volta verso la cinepresa e dice: “I love you”. 1° film di Ray, prodotto da John Houseman per la RKO. Un noir di acceso romanticismo e di lirica tenerezza sullo sfondo di un mondo notturno, violento e ostile. Il regista trascura le scene d’azione per concentrarsi sulle figure dei due giovani “innocenti” e sulla loro estraneità all’ambiente. Rifatto da Altman con Gang (1974).
XII secolo: la guerra tra i clan Minamoto e Heike impazza e il principe Yoshitsune, reduce da una vittoriosa battaglia navale, rientra alla capitale. Calunniato presso il fratello, lo shogun Yoritomo, Yoshitsune si trova costretto a fuggire, seguito da sei fedelissimi samurai. Per salvarsi dovranno attraversare il territorio nemico, senza rivelare la propria identità. Nel 1945 squassato dalla guerra appena conclusa, Kurosawa Akira riesce a confezionare tra mille difficoltà il suo primo jidai geki, un piccolo capolavoro che anticipa i temi del successivo La fortezza nascosta. Per far fronte alla scarsità di mezzi, un parco pubblico di Tokyo diviene una foresta e i cavalli spariscono dal copione in quanto irreperibili, senza contare le battaglie che il regista deve combattere con il doppio organo preposto alla censura, nipponico e statunitense. Gli uomini che camminavano sulla coda della tigre riprende un classico del teatro Kabuki, e ancora prima del teatro N, sulla cosiddetta “beffa di Ataka” e ne fa una parabola sul potere e sul valore dell’uomo, che prevale su gerarchie e tradizioni costituite. L’uso dei primi piani e l’espressionismo della recitazione è figlio di un cinema ancora legato all’era del muto, ma l’efficacia delle performance attoriali non ne risulta affatto diminuita. Basta infatti un cenno del principe Togashi (interpretato da Susumu Fujita) per far capire che, nonostante la verità sui finti monaci sia trapelata, a vincere è la comprensione umana per il sacrificio di un samurai disposto a violare formalmente il codice pur di rispettarlo nella sostanza, arrivando a umiliare il proprio signore pur di metterlo in salvo. Onore e valore dell’individuo hanno così la meglio su dogmi insensati, secondo un tema che tornerà in molte opere del maestro giapponese. L’elemento peculiare de Gli uomini che camminavano sulla coda della tigre, aggiunto da Kurosawa, riguarda il personaggio del facchino-giullare – interpretato dal comico Enoken – che funge da coro critico, con incursioni da protagonista nella vicenda: un idiot savant clownesco – altro topos dell’autore, basti pensare a Ran – contrapposto agli ieratici samurai-monaci, che intuisce prima di altri la natura delle cose e la asseconda con il suo buon cuore. Con un finale aperto e inatteso, che ne suggerisce un nuovo ruolo nell’intera vicenda.
Alla vigilia della 2ª guerra mondiale, un giovanotto che lavora in una fabbrica di munizioni del Nevada è accusato ingiustamente di sabotaggio. Si nasconde, incontra una ragazza che l’aiuta a smascherare i veri sabotatori. Coinvolgente thriller bellico girato con molti mezzi che si conclude con la famosa sequenza mozzafiato sulla statua della Libertà. C’è un uso ripetuto del teleobiettivo. Alla sceneggiatura collaborò la squisita Dorothy Parker.
Iconiugi Smith, che pur bisticciando spesso si amano teneramente, scoprono un bel giorno di non essere ufficialmente sposati, perché il loro matrimonio, per un disguido burocratico, non è valido. Prima di regolarizzare la posizione, lui farà sospirare a lungo la sposina per ammorbidirne il carattere.
Un giovane inglese giunto in Australia verso il 1830 conosce la misteriosa Lady Considine, una nobile che è fuggita con uno stalliere il quale per amor suo ha commesso un omicidio. L’uomo è stato condannato alla deportazione in colonia e la moglie lo ha seguito. Ormai indifferente al marito, è divenuta alcolizzata. L’invidiosa governante dei Considine mette il giovane in cattiva luce presso il padrone di casa.
Otto persone si rifugiano a bordo di una scialuppa di salvataggio dopo che la nave è stata affondata da un sottomarino tedesco. Reazioni e crisi di ognuno di loro; c’è anche un tedesco che finge di non capire l’inglese: è un capitano del sottomarino, spietato e crudele come deve essere un tedesco.
L’affascinante Maddalena Paradine (Alida Valli) viene accusata di aver ucciso il marito. L’avvocato Keane (Gregory Peck) assume la sua difesa e si innamora di lei, mettendo a repentaglio il suo matrimonio e la sua carriera, ma nel corso del processo scopre che la donna ha avuto una relazione con lo stalliere di Villa Paradine (Louis Jourdan). Nel frattempo, il giudice Horfield (Charles Laughton), che presiede il processo, cerca di conquistare la moglie di Keane, ma non ha successo. L’avvocato Keane mette sotto pressione il giovane Latour, amante della vedova, fino a fargli ammettere la relazione clandestina. A causa del suo suicidio, la signora Paradine decide di vendicare la morte dell’amante accusando l’avvocato, in aula, di essersi innamorato di lei: la situazione per Keane si complica così in maniera inesorabile… Melodramma giudiziario fortemente voluto dal produttore Selznick, che contribuì anche alla sceneggiatura e impose a Hitchcock l’algida Alida Valli al suo primo film hollywoodiano – il regista avrebbe invece voluto riportare sullo schermo Greta Garbo – Il caso Paradine presenta un intreccio fortemente intricato con una seconda parte tutta ambientata in tribunale. Da segnalare la notevole interpretazione dell’immenso Charles Laughton nei panni dell’ambiguo giudice.
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