È la ricostruzione storica dell’invasione della Russia da parte dei cavalieri teutonici che, dopo la presa di Pskov, furono travolti dall’esercito russo guidato dal principe Nevskij e spinti nel lago gelato Peipus. È una grande “cine-opera” (così fu definita all’epoca) realizzata da uno dei più grandi registi del mondo. La musica di Prokof’ev non si dissocia mai dalle sequenze del film che vuole essere un inno al patriottismo.
Un errore giudiziario è al centro di Sono innocente, lontanamente ispirato alle gesta di Bonnie e Clyde: Eddie Taylor (Henry Fonda), con un passato tra riformatorio e carcere, è deciso a rifarsi una vita con la fidanzata Joan Graham (Sylvia Sidney), ma viene ingiustamente accusato di una rapina che non ha mai commesso.Catturato e condannato a morte, Eddie si procura un’arma e, preso un ostaggio, si fa aprire il cancello, proprio quando il vero colpevole è stato identificato. Durante la fuga l’uomo uccide il cappellano che aveva cercato di aiutarlo, i due sposi fuggono in auto verso il Canada, ma ben presto la polizia viene messa sulle loro tracce: la ragazza viene colpita a pochi metri dalla salvezza. Eddie allora se la carica moribonda sulle spalle e si avvia a piedi sulla montagna, ma un cecchino uccide anche lui. Il fascino del film è dovuto al grande quadro sociale dell’ America del New Deal, che dalle carceri si propaga nelle strade, alla timida felicità della coppia nel suo lungo viaggio verso la morte, soli contro tutti (i biechi egoisti perbene, gli inesorabili poliziotti, e soprattutto il destino avverso). Il secondo film americano di Lang dopo il successo di Furia, prototipo del ‘gangster film di ambiente rurale’ in contrapposizione a quello urbano (Scarface o Nemico pubblico), ritorna su individui senza scampo braccati una società crudele che non consente loro una vita normale, ambientando la vicenda nell’America violenta della ‘Grande depressione’. E’ infine da notare che nell’edizione italiana realizzata poco prima della guerra, i dialoghi originali appaiono pesantemente modificati.
Fondamentale opera del regista tedesco, il “testamento” fu all’epoca condannato perché presentava troppi riferimenti con l’ascesa di Hitler. Narra del dottor Mabuse che, internato in un manicomio criminale, attraverso l’ipnosi condiziona a distanza il dottor Baum guidandolo in piani criminosi. Suo scopo è arrivare al potere assoluto.
Joe è un tranquillo lavoratore che si trova per caso a passare in una cittadina del Middlewest quando viene scambiato per un delinquente e messo in prigione. La furia della folla provoca un incidente durante il quale Joe scompare. Tutti lo credono morto e una dozzina di persone viene processata per l’incendio alla prigione. Convinto dalla donna che ama, Joe, che voleva invece lasciar condannare gli imputati, si presenta in tribunale per evitare loro la pena di morte. Ma mentre li discolpa pronuncia un discorso durissimo contro la società americana.
Un ignoto maniaco, che violenta e uccide bambine, semina la paura a Düsseldorf. La polizia ordina retate nell’ambiente della malavita i cui capi, danneggiati negli affari, decidono di reagire organizzando una caccia all’uomo con i mendicanti della città. Catturato, il maniaco viene processato. Lo salva dall’esecuzione la polizia che intanto l’aveva identificato. 1° film sonoro di Lang che ne scrisse la sceneggiatura con la moglie Thea von Harbou ispirandosi a un fatto di cronaca. Esordio di Lorre (vero nome: Laszlo Löwenstein, di origine ungherese), probabilmente nel primo personaggio di deviante sessuale nella storia del cinema. Su una tematica che gli è cara (opposizione tra giustizia ufficiale e giustizia privata, senso della colpevolezza universale), Lang fa un film di taglio realistico che nell’uso della luce (fotografia di F.A. Wagner) non trascura le esperienze espressionistiche, calibrando suspense, cadenze del poliziesco, dramma sociale. Il “tema dell’assassino” (fischiettato dallo stesso Lang) è tratto dal Peer Gynt di E. Grieg; l’idea del tribunale dei criminali deve qualcosa al Brecht di L’opera da tre soldi . Un classico. Rifatto nel 1951 da J. Losey.
Da un episodio del romanzo Jean le bleu (1932) di Jean Giono. In un paese della Provenza arriva il nuovo fornaio, Aimable Castanier (Raimu), che si fa presto apprezzare da tutti per la bontà dei suoi prodotti. Quando la sua giovane moglie Aurélie (Leclerc) scappa col pastore del marchese di Venelles, il fornaio, disperato, smette di fare il pane. Tutto il paese partecipa alla ricerca della fuggitiva. “Maestro dell’uno e del multiplo”, Pagnol tocca qui uno dei vertici della sua carriera col ritratto di Aimable (uno straordinario Raimu) e con la piccola folla di personaggi che gli fanno corona: la loro solidarietà nascosta è, come le disavventure del fornaio, l’asse portante del racconto. Bellissimo film agreste che fa macchia nel cinema francese dell’epoca per il suo solare calore mediterraneo, l’ammirevole fusione di ironia e compassione, precisione realistica e folclore pittoresco. Inosservato in Italia dove fu distribuito soltanto nel 1943 col divieto ai minori di 16 anni, ebbe un grande successo sui mercati di lingua inglese.
L’ “uomo ombra” del titolo è uno scienziato che scompare misteriosamente. Gli vengono attribuiti alcuni delitti, e Charles viene incaricato delle indagini dalla preoccupatissima figlia del professore. Soluzione a sorpresa.
Falso barone e falsa contessa, ladri di gioielli, si fanno assumere da ricca signora parigina per un colpo grosso. Ma lui s’innamora della padrona da derubare. Una delle più deliziose commedie di Lubitsch, tutta giocata sul ritmo binario della ripetizione e della specularità. Nella sequenza veneziana in apertura la voce del gondoliere è di Enrico Caruso. Un capolavoro della frivolezza con interpreti infallibili. Scritto da Samson Raphaelson e Grover Jones dalla pièce teatrale The Honest Finder di Laszlo Aladar prima che entrasse in vigore il Production Code di autocensura: i dialoghi tra maschio e femmina sono impregnati di allusioni sessuali. E molti, molti letti. Morale conclusiva: Marshall deve scegliere se diventare un aristocratico ipocrita o essere fedele al suo mondo dove la disonestà è soltanto un lavoro, non un modo di vivere.
La ricca vedova Sonia decide di lasciare il piccolo regno di Marshovia per raggiungere Parigi. Ciò getta il re nella più profonda delle preoccupazioni. Se la donna dovesse sposarsi all’estero ritirerebbe dalla banca locale tutti i suoi capitali mandando lo Stato in fallimento. Occorre correre ai ripari facendo in modo che l’affascinante sciupa femmine Conte Danilo la seduca e la induca a sposarlo. Lui da buon militare obbedisce ma finisce con l’innamorarsi veramente. Sembrerebbe tutto a posto ma…
Lubitsch trova nell’operetta di Lehar un’ottima occasione per lavorare con una coppia di attori già rodata rispettando e contemporaneamente giocando con il copione originale.
Forse non è uno dei film più considerati nella filmografia di Lubitsch ma questa versione dell’operetta del musicista ungherese si distanzia da quella che lo ha preceduto per una ricerca di stile e una successione di ammiccamenti allo spettatore che dimostrano, ancora una volta, la straordinaria padronanza del mezzo da parte del regista. Ovviamente rispetto a Von Stroheim ha a disposizione il sonoro che fa la differenza ma non è solo questo il motivo di interesse.
La sceneggiatura che Samson Raphaelson ed Ernest Vajda gli mettono a disposizione sfrutta appieno tutte le possibilità che il soggetto offre ma anche la produzione non lesina sui costi. Si veda, a titolo di esempio, la scena di ballo sontuosamente coreografata e si tenga conto che i differenti abiti di Jeanette MacDonald richiesero il lavoro di dodici sarte per quattro mesi.
Lubitsch si avvale di un Maurice Chevalier che sprizza divertimento da tutti i bottoni della divisa che indossa e parla un inglese da francese che finisce con l’essere perfetto per un militare di una piccola nazione dell’Est che sulle carte geografiche si trova soltanto utilizzando una lente d’ingrandimento. In questa storia che vede tutte le donne entrare in fibrillazione quando il Conte Danilo fa la sua apparizione (e non c’è differenza tra fanciulle del popolo e cocotte di Chez Maxim’s) le allusioni sessuali non mancano ma sono fonte di situazioni esilaranti. Si veda quella in cui la regina continua a chiedere al consorte (molto più anziano di lei) a che ora tornerà da una riunione. Fuori c’è Danilo che attende di entrare nella sua camera.
Un film di Ernst Lubitsch. Con Fredric March, Gary Cooper, Miriam Hopkins, Edward Everett Horton. Titolo originale Design for Living. Commedia, b/n durata 90′ min. – USA 1933. MYMONETRO Partita a quattro valutazione media: 3,50 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Due amici sono amati dalla stessa ragazza, donna di mondo, ma trovano un accordo e mettono su casa insieme, dove, però, la convivenza è soltanto platonica. Tratto dalla commedia omonima (1933, in Italia Quartetto d’archi) di Noël Coward e sceneggiato da Ben Hecht, è una partita a tre in cui la penuria di denaro del trio che fa una vita da bohème corrisponde alla privazione del sesso. Lubitsch e Hecht hanno camminato sul filo del rasoio per evitare, data la materia, gli attacchi delle potenti associazioni in difesa della pubblica moralità, ma incorsero ugualmente nella censura del Codice Hays, da poco entrato in vigore. E.E. Horton, principe dei caratteristi, riesce a sopravanzare le 2 star maschili.
“Angel” è il soprannome che un ricco gaudente USA dà a una signora misteriosa che incontra a Parigi in una lussuosa casa d’appuntamenti. Per lui è amore a prima vista. Dopo una serata intima, lei scompare. Rincasata, scopre che è un amico del marito. Equivoci e complicazioni. È la più drammatica e cattiva delle commedie sofisticate di Lubitsch (o la più malinconica?). Dalla pièce Angyal del magiaro Melchior Lengyel, adattata da Samuel Raphaelson e Frederick Lonsdale, sostenuta “da una geometria rigorosa e al tempo stesso reticente” (Guido Fink), merito soprattutto della regia. È interpretata da una Dietrich in gran forma per doppiezza, giuoco a nascondino, implacabile logica prefemminista. Fotografia: Charles Lang. Sottovalutato dai critici anglofoni.
Miliardario pluridivorziato s’innamora di una francese nobile e squattrinata che accetta di sposarlo, ma solo per rendergli la vita impossibile e dargli una lezione. Da una commedia di Alfred Savoir, già filmata nel 1923, qui sceneggiata da B. Wilder e C. Brackett, è un Lubitsch con il ritmo veloce e il cinismo di un Hawks. Con Desiderio (1936), Angelo (1937) e Ninotchka (1939), costituisce un piccolo trattato lubitschiano di economia politica sul fascino discreto del capitalismo.
Un film di Jean Vigo. Con Jean Dasté, Delphin, Louis De Gonzague-Frik Titolo originale Zéro de conduite. Commedia, Ratings: Kids+16, b/n durata 47 min. – Francia 1933. MYMONETRO Zero in condotta valutazione media: 4,17 su 8 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Zero in condotta narra la vita di alcuni studenti in un collegio, privati della libertà creativa dell’infanzia e sottomessi alle rigide regole dei sorveglianti adulti ‘Bec-de-gaz’ e ‘Pète-sec’. I sorveglianti sono a proprio agio solo all’interno del collegio, dove tutto è fissato in regole ben precise, mentre per i ragazzi la libertà è fuori. Quattro di loro, dopo essere stati puniti con uno ‘zero’ in condotta per la loro vivacità, proveranno a ribellarsi, grazie anche all’aiuto del nuovo sorvegliante Huguet, molto più vicino ai propositi giovanili che alla rigidità delle istituzioni. Il culmine dell’incomunicabilità fra adulti e ragazzi si avrà però il giorno della festa del collegio: davanti alle massime autorità sul palco, con in prima fila il governatore e il direttore del collegio, i collegiali in rivolta rovineranno la festa dei notabili, costretti a scappare e rifugiarsi al chiuso, mentre loro volteggiano finalmente liberi. Ogni scena del film sembra evocare un mondo che gli adulti non ricordano più: un volo di piume, uno scambio di cioccolata per firmare un patto, un cadavere magicamente risorto, una guerra di fagioli, una mappa per fuggire, una bandiera per sognare… Massacrato dalla censura dell’epoca, il piccolo poema sulla memoria, di ispirazione autobiografica, dell’allora ventottenne Vigo, costituisce un irriverente apologo sulla contrapposizione tra la rivolta anarchica dell’infanzia e l’ordine borghese del mondo adulto. Un film “maledetto” che ha trovato negli anni successivi numerosi seguaci e imitatori.
Da La squadriglia dell’aurora a Brume, a Arcipelago in fiamme, Howard Hawks, aviatore in gioventù, ha sempre amato i film di ambiente aeronautico. In questo Avventurieri dell’aria si intrecciano difficili storie d’amore e tensioni di lavoro nell’aeroporto di Barranca, dove il capitano Geoff, impersonato da Cary Grant, perde in un volo l’amico più caro e trova l’amore in una bella passeggera, Bonnie.
Appartenente al periodo inglese del grande maestro del cinema, è la prima versione di questo titolo. Infatti anni dopo, nel 1956, con il medesimo intreccio Hitchcock avrebbe girato a Hollywood il remake con James Stewart e Doris Day. Una spia viene pugnalata, ma prima di morire rivela a un turista inglese il nascondiglio di un importante messaggio. Verrà rapita la figlia del turista, ma quest’ultimo riuscirà sia a smascherare l’organizzazione, che sta preparando un attentato, sia a salvare la propria bambina. Più onesto e più ironico rispetto alla versione hollywoodiana
Il film è diviso in due parti: la prima si intitola “Das Paradies” (Il paradiso), la seconda “Das verlorene Paradies” (Il paradiso perduto). La sequenza iniziale ha già tutto il carattere di uno sguardo segnato da un estetismo omoerotico: vediamo infatti un giovane uomo dalla corporatura statuaria, in piedi sopra ad uno scoglio, impegnato nell’attività della pesca con una lancia: ogni lancio è un successo, il ragazzo recupera molti pesci. Altri ragazzi, giovani fisicamente prestanti, corrono in acqua per poi mostrare i “trofei” del loro compagno. Il pescatore è chiaramente l’eroe del film e si chiama Matahi. Nel frattempo un gruppo di ragazze fa corone di fiori e gioca sotto una cascata. L’aitante Matahi e la bella Reri sono innamorati l’uno dell’altra e sembra che nulla possa disturbare il loro idillio. Improvvisamente appare all’orizzonte una nave, gli abitanti dell’isola corrono alla spiaggia pieni di gioia e curiosità e remano con le loro canoe verso i nuovi arrivati, ma con la nave giunge anche il dramma, rappresentato dal personaggio di Hitu, un vecchio sacerdote proveniente da un’isola vicina. Egli infatti annuncia che la più bella ragazza dell’isola, Reri, è stata scelta quale vergine sacra e che quindi da quel momento deve essere considerata tabù: nessun uomo la potrà mai toccare. Matahi e Reri sono disperati. Durante la festa d’addio la bellissima fanciulla è costretta a danzare, Matahi la osserva e comincia a ballare con lei. Insieme si muovono in una danza selvaggia e passionale. Ognuno comprende che si stanno amando, anche Hitu. Durante la notte Matahi nuota sino alla nave dove Reri è stata condotta; la rapisce e i due fuggono insieme. Nella seconda parte del film ritroviamo i due innamorati rifugiatisi su un’altra isola dove vivono commercianti europei e cinesi, cioè su un’isola “civilizzata”. I nuovi abitanti hanno portato soprattutto due cose: soldi e alcool. Matahi lavora come pescatore di perle ed è il migliore nel suo campo. La felicità della giovane coppia è offuscata solo da Hitu, il quale, durante l’assenza di Matahi, trova Reri e la riporta sulla sua imbarcazione. Non appena Matahi se ne accorge, corre alla spiaggia e raggiunge a nuoto Hitu e Reri. Cerca di salire sulla barca tenendosi ad una fune, che viene però tagliata dal malvagio sacerdote; riprova, ma le sue forze lo abbandonano ed affoga nelle profondità marine
Dal romanzo (1922) di Rafael Sabatini: chirurgo irlandese, condannato da un tribunale britannico per aver curato un ribelle ferito, viene inviato in un bagno penale. Diventato pirata nel mar dei Caraibi, si riscatta combattendo contro i francesi. Prodotto dalla Warner, ben sceneggiato e dialogato da Casey Robinson, ricco di briose sequenze d’azione,magnificamente fotografato (Hal Mohr, Ernest Haller), interpretato da un E. Flynn in gran forma è uno dei più scattanti film di pirati mai realizzati. Eccellente colonna musicale del compositore austriaco Erich Wolfgang Korngold, al suo esordio a Hollywood. Il romanzo di Sabatini era già stato filmato nel 1925 da D. Smith. Il personaggio fu ripreso da L. Hayward in Le avventure di Capitan Blood (1950) e Il corsaro (1952).
Le avventure della piccola Dorothy e del suo cagnolino Totò in un mondo fantastico in cui sono stati trasportati da un ciclone. In compagnia di tre simpatici amici, il leone, lo spaventapasseri e l’omino di ferro.
In un castello, uomini e donne si danno a giochi erotici. Fra questi c’è un aviatore che si è innamorato della moglie di un aristocratico. Lui vorrebbe avere con la donna un rapporto serio e sincero, ma la “règle du jeu”, la regola del gioco, tollera la relazione sessuale, non l’amore vero. Quando l’aviatore viene ucciso per sbaglio da un guardiacaccia, tutto rientra nella normalità. Amaro apologo, che preannunciava la rovina dell’Europa.
La regina di Svezia, Cristina, ha molti pretendenti che vorrebbero sposarla per ragioni di Stato. Ma l’incontro con un diplomatico spagnolo, avvenuto casualmente, è fatale per entrambi. Cristina abdica per poter vivere la sua storia d’amore, ma uno dei suoi cortigiani sfida a duello lo spagnolo e lo uccide. Sola, senza trono e senza amore, Cristina comincia i suoi vagabondaggi per l’Europa.
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