Il capo di una piantagione del Sudest asiatico s’innamora a poco a poco di una ragazza di piccola virtù condotta nell’azienda da un suo sottoposto. A un certo punto, però, l’uomo s’infatua della distinta moglie d’un tecnico e trascura la ragazza, finché una scenata culminata col ferimento del piantatore non gli farà capire che la piccola prostituta è la donna per lui.
Un’ereditiera fa causa a un giornale. Il direttore allora decide di contrattaccare facendola circuire da un amico perché la comprometta. Ma costui se ne innamora, e a complicare le cose interviene la fidanzata del direttore che, delusa del comportamento dello stesso, si sta innamorando dell’amico. Girandola di bisticci e di equivoci, finché le coppie non trovano la sistemazione giusta (il direttore con la fidanzata, l’amico con l’ereditiera).
Un film di William A. Wellman. Con James Cagney, Jean Harlow, Edward Woods, Beryl Mercer, Donald Cook. Titolo originale The Public Enemy. Drammatico, b/n durata 84 min. – USA 1931. MYMONETRO Nemico pubblico [1] valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Nell’America del 1909, alle soglie del proibizionismo, il ritratto senza reticenze dell’ascesa e della caduta di un gangster, Tom Powers (James Cagney), dall’infanzia trascorsa nelle strade di un quartiere povero di New York alle prime imprese criminose insieme con il fido amico Matt Doyle (Edward Woods), dagli amori travagliati con la fidanzata Kitty e la bellissima Gwen Allen (Jean Harlow) alla tragica fine per mano di una banda rivale. Interpretato da un vibrante James Cagney, capace perfino di far assumere al personaggio dimensioni eroiche nonostante la sua totale negatività, è insieme a Piccolo Cesare e Scarface il film che meglio rappresenta il genere ‘gangster movie’. La serratissima regia di William Wellman si esalta in alcune sequenze chiave come il laconico finale con l’abbandono del cadavere di Cagney davanti alla casa della sua famiglia.
Maria Stuarda (1542-87) non vuole rinunciare al trono e affronta Elisabetta (1533-1603) regina d’Inghilterra, sua rivale gelosa. Accusata di cospirazione, viene imprigionata, processata e condannata. Primo dei tre consecutivi drammi in costume interpretati dalla Hepburn e sua unica esperienza con Ford, è un film elegante e misurato, sorretto dallo scenario di Dudley Nichols, emozionante, volutamente statico. “È un’opera impregnata di religiosità nel senso più ampio: sottomettendosi al proprio destino Maria vince, anche nel momento in cui perde tutto”.
Dopo un naufragio tre passeggeri di una nave riescono a raggiungere una solitaria isola dove in un castello vive il sadico conte Zaroff (Leslie Banks), che li invita a restare per servirsene come prede in una terribile battuta di caccia all’uomo. Ma anche uno dei naufraghi, Bob Rainsford (Joel McCrea), è un cacciatore provetto, e insieme a una ragazza (Fay Wray) cercherà di sopravvivere a tutti i costi… Diretto dalla coppia Pichell-Schoedsack (un anno prima di King Kong), La pericolosa partita (noto anche come Caccia fatale) è un film dalle inquietanti atmosfere con ambigui riflessi sadiani, una delle grandi pellicole del ‘cinema del terrore’, ben assecondata da un montaggio pregevole e da ottimi interpreti (su tutti Leslie Banks). Molti degli artefici di questo film si ritrovarono di lì a un anno a realizzare il primo leggendario King Kong. Del film vanno infine segnalati i numerosi remake, da Game of Death di Robert Wise del 1946 a La preda umana di Roy Boulting del 1956.
Il film, tratto dal romanzo di Pierre Benoît, racconta la storia di due ufficiali che, dopo essersi smarriti nel deserto, scoprono Atlantide e la regina Antinea della quale si innamorano.
Appena sposata con Jean, comandante di una chiatta a motore, Juliette va a vivere a bordo dell’Atalante con un vecchio marinaio, un ragazzo e 3 gatti. Annoiata e irritata dalla gelosia del marito, se ne va a Parigi. Jean riparte con l’ Atalante . Tempo dopo si ritrovano. 2° lungometraggio di J. Vigo che, già malato durante le riprese, morì il 5 ottobre 1934 all’età di 29 anni, meno di un mese dopo la 1ª proiezione pubblica del film, tagliato di una ventina di minuti, edulcorato e ribattezzato Le chaland qui passe , dal titolo di una canzone di moda (inserita a forza tra le musiche di M. Jaubert), versione francese di “Parlami d’amore, Mariù” di C.A. Bixio, lanciata da V. De Sica. Dopo essere riapparso in edizioni volenterosamente ricomposte nel 1940 e nel 1950, fu restaurato con scrupolo filologico nel 1990. In contrasto con la maggior parte del cinema francese dell’epoca, è un film di poesia attraversata da bagliori surrealisti (come la sequenza subacquea, resa popolare dalla sigla di “Fuori Orario” su RAI3): il naturalismo zoliano vi si sposa con l’immaginazione lirica dell’invisibile. Fragile, incerto nella sua dolce linea narrativa, qua e là balbettante, è un film arrischiato e trasgressivo di rottura che punta sulla sdrammatizzazione e il rifiuto dello psicologismo, e mette l’accento su momenti privilegiati, particolari curiosi, figure che appaiono e scompaiono senza logica. Per la sua forza erotica ed eversiva è stato accostato a Rimbaud e al primo Céline.
Jean (Gabin) ha disertato e cerca abiti civili. Trova qualcuno disposto ad aiutarlo in una vecchia osteria. Siamo a Brest, nel nord della Francia. Lo aiutano due disperati come lui, un barbone e un pittore da quattro soldi. Jean incontra Nelly, triste e rassegnata a sua volta, in cerca di una qualche protezione, che trova nella casa di un vecchio che si rivela ben presto uno sporcaccione, addirittura un assassino. L’amore fra Jean e Nelly non è nemmemo un’oasi, è un momento casuale e già disperato. Si aggiunge un altro personaggio, malavitoso, che ce l’ha con Nelly. Per difenderla Jean umilia il malvivente che gliela giura. Alla fine niente va bene. Nelly torna dal vecchio, vittima di una strana, sordida attrazione, e Jean viene ucciso in strada dal malavitoso. Film di pura costruzione intellettuale studiato per simboli e con la più grande attenzione a evitare ogni minima tentazione realista. La nebbia che sovrasta tutto il film è il pericolo, è il destino, è l’avvertimento che tutto è travisato ed è ancora più difficile muoversi e decidere. Le case brutte, il caffè brutto, la gente brutta, è tutto un segnale di come sia impossibile persino la speranza. Gli uomini non determinano niente. È il destino a decidere tutto. Tutto questo nella poesia generale di un grande regista e un grande poeta che si integravano magnificamente. Carné e Prévert erano fra i padroni del cinema francese di quel momento. Perfettamente inseriti nella “moda” del Fronte Popolare, sofferenti come tutti gli intellettuali che erano stati sedotti dalle idee che venivano dall’Est e delusi dal non poterle effettivamente applicare. Dunque la miglior realizzazione di quel programma poteva stare nella solidarietà individuale e nell’amore. Ma tutto, in un momento così difficile, disperato, risultava impossibile: impossibile per Jean salvarsi fuggendo, impossibile l’amore con Nelly. In quegli anni film come Il porto rappresentavano quanto di meglio il cinema potesse offrire in Europa. Arte vera, contrapposta alla pratica americana del successo al botteghino. Un cinema di grande contenuto poetico legato, come già detto, alla cultura, ai simboli, ai significati di “quel” momento. Sono splendidi graffiti senza mercato, troppo incastrati nella cornice del loro tempo.
Edit 10/7: sostituita versione dvdrip fra subita con 1080p
Un armatore, che la grande crisi ha messo nei guai, cerca di trovare finanziamenti con un grande pranzo elegante da lui stesso organizzato. Alla fine ci riuscirà grazie allo snobismo di un’arricchita.
La vicenda, basata su un episodio reale, la tragedia mineraria di Courriéres del 1906, é trasferita, dallo sceneggiatore Vajda, per aumentarne la carica polemica, in epoca successiva alla prima guerra mondiale. Siamo infatti in Lorena, nel 1919 la regione appena strappata dai francesi ai tedeschi. Un gruppo di minatori tedeschi varca il confine per trovare lavoro in quella che fu la loro terra. Invece del lavoro, questi uomini trovando sospetto e ostilità, frtto amarissimo dei recenti eventi bellici. All’annuncio di una sciagura nella parte francese della miniera (che si estende soto la linea di confine), saranno proprio i minatori tedeschi che, messe da parte le discodie, contribuiscono in modo decisivo a salvare i loro colleghi francesi. Fraternizzando con loro, proclamano che non vi é che una miniera e due nemici comuni: la guerra e il gas. Questo semplicistico atteggiamento, che riduceva entrambe le cose al rango di inevitabili calamità, senza analizzarne le cause, e suggeriva una soluzione genericamente utopistica (soltando in parte contraddetta dall’amara scena finale che vedeva ripristinare le divisioni nazionalistiche e rimessa al suo posto la cancellata di separazione divelta dai soccorritori), portò a Pabst critiche severe. Per quanto giustificate, esse non sminuiscono tuttavia il valore del film, che per l’incalzante ritmo narrativo, contrappuntato da un felicissimo uso del sonoro (rumori e differenze di lingua in aprticolare) può ben venire considerato, nel complesso come una delle opere più riuscite del cinema degli anni Trenta.
L’infanzia e la giovinezza di Davide Copperfield, l’orfano dal cuore generoso e sensibile protagonista del libro di Charles Dickens. Ritroviamo nella fedele versione di Cukor tutti i celebri personaggi del romanzo vittoriano: il patrigno malvagio Murdstone, la burbera e adorabile Zia Betty, la fragile moglie-bambina di David, Dora, che muore dopo un breve periodo di matrimonio, e Agnese, la fedele amica e innamorata del protagonista, che gli è sempre stata vicina in tutte le traversie fino a quando David non diventa un famoso scrittore e capisce che è lei la vera compagna della sua vita.
Dramma sociale a tinte forti con denuncia nei confronti di organizzazioni xenofobe come il Klu Klux Klan. Frank Taylor, un operaio interpretato da Humphrey Bogart, vede sfumata una promozione a causa di un immigrato polacco, Dombrowsy, che viene preferito a Frank per la sua maggiore capacità lavorativa. Frank allora si unisce all’organizzazione xenofoba “Black Legion” che combatte gli immigrati e le minoranze razziali con metodi violenti.
Il film, l’ultimo film del periodo inglese di Alfred Hitchcock, tocca due dei motivi preferiti dall’eccentrico regista inglese, che diventarono ossessivamente ricorrenti nel suo cinema: lo scambio causale di persona e il terrore dell’ignoto che può crollarci addosso da un momento altro. Il film è tratto da un romanzo di Josephine Tey, A Shilling for Candels,e narra la storia di un giovane scrittore accusato dell’omicidio dell’amica, delitto in realtà compiuto da un altro. Il giovane è costretto a fuggire. Braccato dalla polizia inizia da solo la ricerca del vero assassino. Lo aiuterà una giovane donna. Il film è ricco di virtuosismi tecnici come la carrellata attraverso la sala da ballo.
Un paesino è dominato da una banda di furfanti che eleggono come sceriffo un vecchio ubriacone. Questi, in un risveglio di dignità, chiama in aiuto il figlio d’un famoso pistolero pensando che sia degna progenie del padre, ma invece il giovane ostenta d’odiare le pistole. Disperazione degli onesti. Il ragazzo, però, è estremamente astuto e riuscirà a trovare le prove per incastrare i banditi. Inoltre, quando i fuorilegge uccideranno l’ubriacone, farà vedere di essere in gamba anche coi pugni e con le armi.
Charlot lavora in una fabbrica i cui ritmi disumani lo conducono al ricovero in manicomio. Quando esce si trova coinvolto in una manifestazione sindacale e viene arrestato. Dopo aver sventato un’evasione ritorna in libertà e salva una ragazza di strada dall’arresto innamorandosi di lei. La loro vita non sarà facile ma la speranza in un futuro migliore non verrà a mancare. Chaplin, nonostante l’avvento del sonoro, rimane legato ai tempi e ai ritmi del cinema muto e anche in questo caso si affida all’audio per l’indimenticabile colonna sonora musicale e per i suoni e i rumori ma evita il più possibile le parole (e quando ne fa uso le assemblea con effetti surreali). In un’intervista rilasciata al “New York World” nel febbraio 1931 aveva affermato: “I macchinari che consentono di risparmiare manodopera ed altre invenzioni moderne non sono stati fatti per ricavare profitto ma per assistere l’umanità nella ricerca della felicità. La speranza per il futuro dipende da cambiamenti radicali per far fronte a questa situazione. I benestanti non vogliono che la situazione presente cambi. Non è certo questo il modo di impedire che si affermino idee bolsceviche o comuniste”. Cinque anni dopo la luce dei proiettori si accendeva su un operaio vittima dell’automatizzazione e su quel gregge di pecore che si sovrapponeva alle masse. La catena di montaggio, gli scioperi, la povertà che colpiva chi, in seguito alla Grande Depressione, era finito ai margini del sistema produttivo, tutto questo e molto di più entrava a far parte di uno dei capolavori della storia del cinema. Nessun atteggiamento predicatorio inficia la narrazione. Anzi le gag che si susseguono nella prima parte dedicata alla fabbrica sono perfette nei ritmi e nei tempi di esecuzione (prima tra tutte la scena del pasto ‘meccanizzato’). Charlot sta dalla parte degli ultimi sempre, anche quando fa la guardia notturna, e ciò gli procurò accuse di comunismo che ebbero le loro conseguenze anni dopo quando, ai tempi del maccartismo, fu costretto a lasciare gli Stati Uniti. Questo è anche l’ultimo film in cui compare il personaggio di Charlot. Il suo allontanarsi di spalle verso il futuro a fianco della monella è un addio destinato a rimanere per sempre nella memoria.
Ad Alessandria Tolomeo e sua sorella Cleopatra intrigano per il potere. Il dissidio facilita la penetrazione di Roma in Egitto per opera di cesare, ma Cleopatra riesce a sedurre il Dittatore che la investe del potere, non senza per altro averla voluta prima al suo seguito a Roma per completare il trionfo.
Un temibile gangster s’installa a casa di un timido impiegato suo perfetto sosia sequestrandone la zia e la donna amata. Tratta da un romanzo di W.R. Burnett e sceneggiato da Jo Swerling e Robert Riskin, è una deliziosa commedia gangsteristica con un superlativo E.G. Robinson a due facce. L’ineffabile Ford dimostrò di essere capace di fare un film “alla Capra”. Suo commento: “Era tutto a posto. Non l’ho mai visto”.
Nel 1917, il comandante di una squadriglia dell’aviazione inglese soffre vedendosi costretto a mandare i suoi piloti al macello e viene sostituito da un altro ufficiale che, non sopportando il peso del comando, si mette a bere. Si riscatterà offrendosi per una missione suicida.
Un goffo banchiere è ossessionato dalla presenza dei fantasmi di una coppia di amici molto snob che soltanto lui vede. Equivoci e disavventure a catena. È il 1° dei 3 Topper , tutti fortunati, che poi divennero una serie televisiva. Il fantastico si inserisce nelle cadenze del comico con agilità rara. Attori in gara di bravura. All’origine c’è il romanzo The Jovial Ghost di Thorne Smith.
Uno studioso porta dall’Egitto un sarcofago contenente una mummia e lo sistema in un museo. Un giorno, leggendo la preghiera scritta su un papiro che si trovava nel sarcofago, egli ridà vita alla mummia.
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