La dolce Nanninella (Rosè Angione), inserviente in un caffè, mantiene con il suo salario il padre, un uomo alcolizzato che la maltratta. Corteggiata da Tore (Alberto Danza), la ragazza vorrebbe fidanzarsi con lui, ma il padre la promette in moglie a Carluccio (Antonio Palmieri).
Il miglior film del regista svedese in terra statunitense. Nonostante il finale voluto dalla produzione, questo rimane uno dei capolavori del muto con la grande interpretazione di Lillian Gish. Una giovane donna della Virginia arriva in Texas. Rimane intrappolata in una casetta di legno, durante una grande bufera. La insidia uno sconosciuto. Grande fotografia.
Film muto. Alonzo (Chaney), apparentemente senza braccia (le ha nascoste sotto un corsetto), lavora in un circo gitano in Spagna come lanciatore di coltelli con i piedi e s’innamora di Nanon (Crawford), sua partner, che nutre un patologico ribrezzo per le mani degli uomini. Per amor suo si fa amputare le braccia, ma quando torna al lavoro Nanon si è fidanzata con il forzuto del circo Malabar (Kerry), che l’ha guarita dalla sua fobia. Finale tragico. 5° dei 10 film che T. Browning e L. Chaney girarono insieme tra il 1919 e il 1929, e uno dei 7 che J. Crawford interpretò per la M-G-M nel 1927. Sceneggiato da Waldemar Young su un soggetto dello stesso regista, è uno dei più deliranti melodrammi d’amore del cinema muto, e dovrebbe figurare in un’ideale antologia dei migliori film d’ambiente circense. Browning meriterebbe una personale retrospettiva. “Tra tutti i registi americani è colui che cercò di più di far saltare le barriere tra l’animalità e l’umanità, il normale e il mostruoso, il desiderio e la frustrazione, il reale e il fantastico” (J. Lourcelles).
Un film di Frank Capra. Con Harry Langdon, Gladys Brockwell, Al Roscoe Titolo originale Long Pants. Commedia, durata 60′ min. – USA 1927. MYMONETRO Le sue ultime mutandine valutazione media: 3,25 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Muto. Indossati finalmente i suoi primi calzoni lunghi, il timido sognatore Harry perde la testa per una bella dissoluta dei quartieri alti e, per amor suo, tenta di uccidere inutilmente l’ingenua Priscilla, sua coetanea e vicina di casa. Langdon ha fatto film più divertenti, ma Long Pants (titolo italiano imbecille) fa macchia nella sua carriera per il carattere ibrido tra romance e commedia, con lampi di film noir e di cinema d’avanguardia. Sviluppa un tema che fu centrale nella narrativa nordamericana a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento: il conflitto tra innocenza ed esperienza, gentilezza della provincia e corruzione urbana.
Walking Back è un film muto del 1928 diretto da Rupert Julian e, non accreditato, da Cecil B. DeMille. La sceneggiatura si basa su A Ride in the Country, un racconto di George Kibbe Turner pubblicato a puntate dal 6 all’8 agosto 1927 su Liberty[1].
Smoke Thatcher, al quale il padre rifiuta la macchina, “prende in prestito” l’auto di un vicino di casa per portare a ballare la sua ragazza, Patsy. I due, però, hanno un incidente quando Smoke si mette a gareggiare con un rivale e l’auto si prende una bella botta. È talmente rovinata che i meccanici del garage dove Smoke porta il veicolo gli propongono di dargli un’altra auto se accetterà di fare l’autista per loro durante una rapina. Il garage, infatti, è il covo di una banda, e le automobili sono tutte rubate.
Genuine è una sacerdotessa sanguinaria che viene comperata in un mercato orientale di schiavi da un vecchio Pigmalione moderno, il quale però se ne innamora al punto di rinchiuderla in una strana gabbia di vetro inaccessibile ai visitatori. La donna riesce a convincere un giovane barbiere a tagliare la gola al padrone e, una volta libera, diventa una temibile supervamp che porta alla rovina tutti gli uomini che incontra.
Riprendendo in parte il meccanismo già sperimentato ne “I Parenti di mia moglie”,Keaton crea il divertimento basandosi quasi esclusivamente sul rigore insensato che domina la dimora dei Canfield. Ogni oggetto assume valore diverso rispetto a quello solito o non è ciò che sembra.Molto divertente anche la lunga sequenza del viaggio d’andata.Ma la scena indimenticabile è quella del cavallo mascherato.Irresistibile l’impassibilità del protagonista anche nelle situazioni più impensabili.E notevoli le sue capacità acrobatiche,che si faranno più strabilianti nei film successivi.La Talmadge era realmente moglie di Keaton,e Will McKay da piccolo è interpretato dal figlio della coppia Joseph.
Vent’anni dopo la morte di un eccentrico milionario, i parenti sono convocati da un notaio nel suo castello a mezzanotte per ascoltare la lettura del testamento. La riunione si trasforma in una notte d’incubo per i convocati, specialmente per la giovane designata come unica erede. È il 1° dei 4 film hollywoodiani del regista e scenografo tedesco P. Leni. Prodotto dall’Universal e tratto da una pièce (1922) di John Willard, sceneggiata da Robert F. Hill e Alfred A. Cohn, è un falso film di fantasmi anche se diventò il modello per la categoria Old Dark House , influenzando la produzione horror dell’Universal nei primi anni ’30. Regista incline al grottesco, P. Leni accentua le venature comiche presenti nel testo teatrale, combinandole con uno stile visivo di taglio espressionista (uso delle ombre, caratterizzazione spinta di alcuni personaggi, dinamismo della cinepresa alla Murnau), ben servito dalla fotografia di Gilbert Warrenton. Parodiato in The Laurel & Hardy Murder Case (1930), fu rifatto più volte: The Cat Creeps (1930), Il fantasma di mezzanotte (1939), Il gatto e il canarino (1978). Restaurato da Photoplay Prod. con musica di Neil Brand. Muto.
Un film di Harry Edwards. Con Joan Crawford, Harry Langdon, Edward Davis Titolo originale Tramp Tramp Tramp. Comico, b/n durata 65 min. – USA 1926. MYMONETRO Di corsa dietro un cuore valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Dopo aver interpretato numerosi cortometraggi, nel 1926 Harry Langdon arriva a interpretare il suo primo lungometraggio, Di corsa dietro al cuore, diretto da Henry Edwards e codiretto da un giovane Frank Capra che ne cura anche la sceneggiatura e la produzione.Il sodalizioCapra-Langdon sarebbe in seguito proseguito con La grande sparata e Le sue ultime mutandine. Nel film, al fianco del comico, all’epoca all’apice della popolarità, appare una giovane esordiente di appena 21 anni, destinata a divenire una delle stelle più sfavillanti e controverse di Hollywood, Joan Crawford. Harry (Langdon) partecipa a una maratona podistica da New York alla California per conquistarsi i favori di una ragazza, Betty (Joan Crawford), figlia dell’organizzatore della corsa. Dopo innumerevoli gag, per Harry arriverà con la vittoria anche la scoperta che Betty è già fidanzata.
Vent’anni dopo la morte di un eccentrico milionario, i parenti sono convocati da un notaio nel suo castello a mezzanotte per ascoltare la lettura del testamento. La riunione si trasforma in una notte d’incubo per i convocati, specialmente per la giovane designata come unica erede. È il 1° dei 4 film hollywoodiani del regista e scenografo tedesco P. Leni. Prodotto dall’Universal e tratto da una pièce (1922) di John Willard, sceneggiata da Robert F. Hill e Alfred A. Cohn, è un falso film di fantasmi anche se diventò il modello per la categoria Old Dark House , influenzando la produzione horror dell’Universal nei primi anni ’30. Regista incline al grottesco, P. Leni accentua le venature comiche presenti nel testo teatrale, combinandole con uno stile visivo di taglio espressionista (uso delle ombre, caratterizzazione spinta di alcuni personaggi, dinamismo della cinepresa alla Murnau), ben servito dalla fotografia di Gilbert Warrenton. Parodiato in The Laurel & Hardy Murder Case (1930), fu rifatto più volte: The Cat Creeps (1930), Il fantasma di mezzanotte (1939), Il gatto e il canarino (1978). Restaurato da Photoplay Prod. con musica di Neil Brand. Muto.
Una delle opere minori del grande Chaplin ma comunque un grande esercizio nel melodramma. Charlot viene assunto per fare il clown in un circo dove è capitato per caso, fuggendo, innocente, dopo che è stato commesso un furto. L’amore per una cavallerizza lo porta a gareggiare con lo spasimante della ragazza ma alla fine rimarrà solo.
Nel festeggiare con qualche eccesso la fine del celibato, il ricco californiano Max rompe uno specchio. Sette anni di guai. La fidanzata rompe il fidanzamento e, mentre lui è alle prese con ladri o con bestie del circo, sposa il suo migliore amico. Max non si dà per vinto. È il 1° dei 3 film lunghi che Linder (vero nome: Gabriel Maximilien Leuvielle) girò a Hollywood, anche come produttore. Ex attore teatrale, esordì sullo schermo nel 1907 ( Les débuts d’un patineur ) e in pochi anni divenne popolare anche all’estero con brevi comiche della Pathé. Nel 1917 Chaplin gli fece una dedica autografa su una foto durante il suo primo soggiorno negli USA: “Al solo e unico Max: il mio maestro. Dal suo discepolo Charlie Chaplin”. Fu il 1° comico al cinema ad apparire col suo vero volto e in abiti eleganti: dell’eleganza, anzi, fece un carattere predominante del suo Max, il dandy, gaudente scioperato e irreprensibile, icona della Belle Époque e della Ville Lumière. Una gag famosa (presa dal circo) che fece scuola: un cameriere ha rotto un grande specchio e chiede al cuoco di mimare i gesti dell’ignaro Max che si rade. Ma sono esilaranti anche le sequenze del treno e della gabbia delle belve. 1500m. – 70′ circa. Muto.
Un agiato professore di entomologia (De Wahl) trascura la moglie Irene (Teje), corteggiata dal giovane scultore Preben (Hanson) e da un ricco barone (Bryde). Preben, ingelosito, provoca un duello tra il barone e il marito di Irene, sventato da Marte (Molander), nipote del prof. e sua assistente. Irene confessa l’adulterio e chiede il divorzio. Il prof. ne è lieto perché si è innamorato di Marte. Le due coppie felici iniziano una nuova vita insieme. Ispirata alla pièce A kék róka di Ferenc Herczeg, adattata dal finnico Stiller con Gustav Molander, è l’archetipo della commedia sofisticata: brillante, ambigua, di un cinismo venato d’ironia con un risvolto in favore della poligamia. Il finale suscitò scandalo, dentro e fuori la Svezia. Fecero sensazione la sequenza girata da un aereo (una rarità nel 1920) e quella del balletto al teatro dell’Opera di Stoccolma. Ammirato da Lubitsch, influenzò il Chaplin di La donna di Parigi (1923) e, nel sonoro, Billy Wilder, Blake Edwards e persino l’Ingmar Bergman delle commedie. Jörn Donner dedicò a Stiller il suo Amare (1964). Grande successo internazionale. Muto.
Allontanatosi dalla famiglia dopo un litigio, Mattia Pascal, bibliotecario toscano, vince a Montecarlo una grossa somma. Avendo appreso che il cadavere di uno sconosciuto suicida è stato scambiato per lui, assume il nome di Adriano Meis e incomincia una nuova vita a Roma. Scopre, però, che la vera identità è quella conferita dallo stato civile e che perciò ufficialmente non esiste. Intanto sua moglie si risposa. Bizzarro incontro tra la prima avanguardia francese e i temi, le atmosfere di Pirandello. Incantò Leonardo Sciascia ragazzino che, dopo averlo rivisto 45 anni dopo in cineteca, scrisse un saggio su Mosjoukine, uno dei più grandi attori del muto. Il film è giocato su un doppio registro: quello naturalistico negli interni di una famiglia borghese, ma anche negli esterni dei paesaggi toscani (San Gimignano, Siena) e romani; quello metafisico e astratto di un racconto filosofico. Ma, al di là delle riserve sulla sua dimensione estetizzante, bisogna riconoscere che L’Herbier ha cercato gli equivalenti filmici dell’umorismo pirandelliano e li ha individuati nelle forme espressive del burlesque cinematografico (A. Costa). Ne derivano le clowneries di Mosjoukine. 1° film di Simon. Come spesso succede ai film muti, le copie in circolazione sono diverse l’una dall’altra. In Italia il romanzo ebbe una riduzione televisiva (1960) curata da Diego Fabbri e una teatrale di Tullio Kezich, messa in scena da Luigi Squarzina (1974) e da Maurizio Scaparro (1986).
Come un archeologo che ricostruisca un’ipotesi di vita organica a partire dalle tracce fossili, il regista indaga la pioggia seguendone le impronte evanescenti, la evoca nel frullare del fogliame, nel movimento di una finestra che sbatte, nell’ingrossarsi dei tendaggi, la intuisce nelle onde circolari che si allargano sui canali, nel gesto di un passante sorpreso dalle prime gocce, nella rapida schiusa degli ombrelli, nell’affrettarsi dei carrettieri, nelle tracce fangose degli pneumatici. Non è l’evento in sé a suscitare interesse, piuttosto il tessuto di relazioni in cui è implicato; non è sulla pioggia che si concentra la partecipazione dello sguardo cinematografico, ma sulla sua espressione figurativa, che è, per natura, variegata, mutevole.tarista Ivens.
Kinemon sono una famiglia devota che vive nell’idillica comunità di Greenpeace, in Virginia. David adora il fratello maggiore Allen e sogna il giorno in cui sarà abbastanza grande e forte da poterlo aiutare nel suo importante lavoro, quello di conducente della diligenza postale. Nel frattempo David trascorre le proprie giornate sorvegliando il bestiame, giocando con il suo cane, nuotando e ammirando timidamente Esther, nipote di nonno Hatburn, il vicino di casa. La famiglia Kinemon è allietata dalla nascita del figlio di Allen e di sua moglie Rose. Poi l’idillio rurale è infranto dall’arrivo di Iscah, cugino di nonno Hatburn, e dei suoi due figli, Luke e Buzzard, evasi dal carcere e in fuga.
Sposata a un commerciante (Alex Arquillère) ottuso e brutale, “la sorridente signora Beudet” (Germaine Dermoz) ne è così esasperata che pensa addirittura di ucciderlo. Lieto fine. André Obey e Denys Amiel avevano applicato nella commedia la loro teoria del “teatro del silenzio” in cui ciò che si dice ha assai minore importanza di ciò che si tace ma che i protagonisti sentono profondamente. Il tema dette modo a Germaine Dulac di realizzare il suo film migliore, interpretato con bella sensibilità da Germaine Dermoz, di cui è difficile dimenticare il volto avvizzito riflesso da uno specchio a tre facce. L’azione del film si svolge in una squallida cittadina di provincia. Gli oggetti servono a esprimere i conflitti, ma non assumono mai un senso simbolico: le metafore s’esprimono col montaggio: il signor Beudet arrabbiato diventa un orco, la musica di Debussy suonata al pianoforte dalla signora Beudet evoca ruscelli e stagni. Ma il film è decisamente intellettualistico e troppo spesso irritante.
Paul Bergot, soldato combattente in Belgio, e Mary Brown, americana, hanno una fitta corrispondenza epistolare durante la prima guerra mondiale, e finiscono con l’innamorarsi a distanza. Tornata la pace, Paul emigra e sbarca a New York col suo datore di lavoro, Zandow il Grande, artista circense pubblicizzato come “l’uomo più forte del mondo”, nonché uomo-cannone, e si mette alla ricerca di Mary, della quale non aveva più avuto notizie, armato solo di una sgualcita foto di lei.
Unseen Cinema – set di sette DVD con 155 film per una durata complessiva di 1200 minuti (20 ore) – ci fa conoscere le opere finora ignorate di cineasti americani che hanno lavorato negli Stati Uniti e all’estero dall’invenzione del cinema alla seconda guerra mondiale e ci propone un diverso e spesso controverso approccio al cinema sperimentale, visto come il risultato sia collettivo sia individuale dell’attività – ad ogni livello della produzione cinematografica – di artisti d’avanguardia, registi professionisti, cineasti amatoriali. Molti di questi film non sono mai stati disponibili dopo la loro realizzazione, altri non sono mai stati proiettati in pubblico, quasi nessuno si poteva vedere così bene come adesso. Sessanta fra i maggiori archivi cinematografici mondiali hanno collaborato con l’Anthology Film Archives per restituire al pubblico moderno un periodo a lungo trascurato della storia del cinema. Per ulteriori informazioni, si veda il sito www.unseen-cinema.com.
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