Per la prima volta alle prese con la comicità realistica del vaudeville omonimo (1851) di Eugène Labiche e Marc Michel, R. Clair ne sposta l’azione al 1895, la serra dentro una giornata di festa per la celebrazione di un matrimonio, scandita dalle tappe dell’affannosa ricerca di un cappello di paglia, la limita nello spazio mobile di cinque ambienti, annullandone la staticità teatrale originaria secondo l’effetto dinamico “a palla di neve”, come lo chiama H. Bergson (nel saggio Il riso ). L’azione – danza di oggetti e di personaggi ridotti a marionette – si svolge al ritmo frenetico di un indemoniato balletto. È la punta alta nel cinema muto di Clair, sostenuta da un impeccabile senso dell’organizzazione farsesca, dalle invenzioni scenografiche di Lazare Meerson e dalla leggerezza di tocco con cui il regista governa un gruppo eterogeneo di attori europei e di immigrati russi. Non a caso il vaudeville di Labiche-Michel ispirò alcuni tra i più importanti musicisti del ‘900 tra cui Jacques Ibert (1929) e Nino Rota che ne compose una felice trasposizione teatrale, messa in scena nel 1955 a Palermo e poi per tre stagioni di seguito al Piccolo Teatro di Milano con la regia di Giorgio Strehler. Le sue musiche, trasposte per pianoforte e eseguite da Angela Annese, accompagnarono la ripresa del film alle Giornate del Muto 2007 a Pordenone. Ebbe altre 3 versioni filmiche in Germania (1939), Francia (1940-44) e Argentina (1946).
Prodotto, come Entr’acte , da Rolf de Maré, impresario teatrale che voleva procurare una parte di protagonista al suo primo ballerino/coreografo (e amante) Borlin che, tra l’altro, risultò attore insipido. Il 3° lungometraggio muto di Clair è scomponibile in tre atti. Il 1° e il 3° raccontano le disavventure di Jean, timido impiegato di banca, innamorato della graziosa Dolly e perseguitato da due colleghi rivali. Il 2° è un sogno in cui Jean è trasportato in una grotta magica, abitata da vecchie fate cui rende bellezza e gioventù con un bacio. Ritrova Dolly. Una fata cattiva li trasporta in volo alla cattedrale di Nôtre Dame dove Jean è trasformato in un bulldog. L’azione si sposta nel museo delle cere Grévin i cui personaggi storici tornano in vita. Dalla ghigliottina Jean è salvato da Charlot e dal suo monello. “È il [suo] primo film in cui la scenografia acquista un ruolo esplicitamente significante” (G. Grignaffini). È anche, nella storia del cinema, uno dei primi film autoreferenziali. Muto.
Un film di Wallace Worsley. Con Lon Chaney jr, Ernest Torrence, Patsy Ruth Miller Titolo originale The Hunhback of Notre Dame. Horror, durata 93′ min. – USA 1923. MYMONETRO Notre Dame de Paris valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Nella Parigi di Luigi XI (1423-83) la zingara Esmeralda (Miller) s’innamora del capitano Phoebus (Kerry), ma è concupita da Johan (Hurst), fratello dell’arcidiacono della cattedrale di Notre-Dame. Accusata ingiustamente di un ferimento, è salvata dal deforme campanaro Quasimodo (Chaney), trova rifugio nel luogo sacro, ma sarebbe ugualmente giustiziata se non fosse ancora soccorsa da Quasimodo. Dal romanzo Notre-Dame de Paris (1831) di Victor Hugo, già filmato in Francia nel 1911 da Albert Capellani, con Werner Krauss protagonista, Worsley trae con molte licenze (finale incluso) un film che rimane una pietra miliare del cinema fantastico muto sebbene i suoi caratteri esterni siano da colosso storico. Notevole la descrizione dei cupi corridoi della cattedrale e dei vicoli della “corte dei miracoli”, teatro di una pittoresca festa dei buffoni, ma il loro punto di forza è Chaney in uno dei risultati più alti della sua arte mimetica. Muto.
Un cacciatore mongolo, trovato dagli oppressori del suo paese in possesso di un talismano che lo fa ritenere discendente di Gengis Khan, è oggetto di interessate premure e quasi indotto a firmare un trattato che, se gli darà ozi e ricchezze, lo allontanerà però sempre più dalla causa degli oppressi. Il suo rinsavimento coincide con l’evasione di un partigiano che chiede la sua protezione.
Un film di Vsevolod Pudovkin. Con Vera Baranowskaja, Nikolai Batalov, Ivan Koval Samborskij Titolo originale Mat’. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 65 min. – URSS 1926. MYMONETRO La madre [1] valutazione media: 3,33 su 5 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Tratto dal romanzo omonimo del 1907 di Gor’kij, “La madre”, primo lungometraggio di Pudovkin , si inserisce nel clima politico della Russia degli inizi del XX secolo e segna l’inizio del realismo socialista. Protagonista del film è una contadina, Nilvona Vlasova, moglie del fabbro ubriacone Vlasov, la quale subisce una trasformazione caratteriale in seguito alla morte del marito. Causa del suo cambiamento è il figlio Pavel, operaio socialista e militante del movimento rivoluzionario insieme ad altri suoi amici, che verrà arrestato dopo che sua madre ha rivelato alla polizia dove Pavel ha nascosto le armi; e morirà in un tentativo di evasione durante una manifestazione per il 1 maggio. A quel punto sarà allora Nilvona a raccogliere la bandiera rossa e a farsi uccidere dai militari. La narrazione è strettamente collegata alla dimensione psicologica dei personaggi e alla loro vita quotidiana, per evidenziare i problemi del movimento del proletariato dell’epoca. La protagonista dapprima è una donna disperata, picchiata dal marito, piena di paura, poi, spinta dall’esempio del figlio, anche lei compie una “rivolta” contro quella vita squallida ;cresce in lei un desiderio di libertà e di dignità, di combattere contro quella parte oscura, bestiale che è nell’uomo. E’ Nilvona l’eroina del film, proprio lei, umile, povera ,cosi come gli altri personaggi semplici che abitano il villaggio, immersi in una natura evocativa e mutevole che dà alla vicenda un tocco romantico perfettamente in armonia con il reale. La madre è stato considerato per mezzo secolo un classico del cinema muto sovietico e classificato nel 1958 dai critici di Bruxelles come uno tra i 12 migliori film della storia del cinema per essere sottoposto in seguito ad alcune revisioni.
Un film di Yakov Protazanov. Con Yuliya Solntseva, Igor Ilyinsky, Nikolai Tsereteli, Nikolai Batalov, Vera Orlova, Vera Kuindzhi, Pavel Pol, Konstantin Eggert, Yuri Zavadsky, Yulia Solntseva, Valentina Kuinzhi, Nikolai Tserectelli, Ygor Ilinski, Yuri Zavadski Avventura, b/n durata 120 min. – URSS 1924. Durante la guerra civile in URSS, un ingegnere sovietico effettua un volo su Marte. La sovrana del pianeta s’innamora dell’esploratore spaziale che prende parte a una rivoluzione tesa a sollevare i proletari marziani, soggetti a un sistema di bestiale sfruttamento. Il protagonista si risveglia e si rende conto che il suo è stato il sogno di un uomo dai nervi logori. Realizzato con notevole dispendio di mezzi, e accolto con molte riserve dalla critica e dalle autorità, è considerato uno fra i primi film sovietici di anticipazione, fra l’altro interpretato da attrici bellissime. Pregevole soprattutto per l’estrosità della messa in scena, che vanta l’impiego di scenografie costruttiviste contrapposte a scorci realistici della Mosca negli anni della NEP.
Uno dei documentari del grande regista sovietico. Lo girò per conto dell’Ente statale per il commercio. Infatti metteva in risalto la macchina produttiva russa. Ritmo molto moderno. Le immagini sono alternate a parole, frasi, motti, un metodo utilizzato in un altro ambito da Godard.
Un film di Sergei Komarov. Con Igor Ilinsky, Anel Sudakevich, Mary Pickford, Douglas Fairbanks, Vera Malinovskaya, Nikolai Rogozhin, M. Rosenstein, Abram Room, M. Rosenberg, N. Sisova, Y. Lenz, A. Glinsky Muto, durata 68′ min. – URSS 1926.
Nel 1926, un mese dopo la prima di Sparrows (Passerotti), Mary Pickford e Douglas Fairbanks partirono per una vacanza europea e il 20 di luglio arrivarono a Mosca. A Yartsevo, a 330 verste di distanza dalla loro destinazione, il treno si fermò per consentire una conferenza stampa. Dal momento del loro arrivo, furono costantemente assediati da grandi folle adoranti. Le illazioni secondo cui c’era stato un fallimentare tentativo ufficiale di imporre il silenzio stampa sulla visita paiono destituite di fondamento. In realtà, sulla scia della nuova politica economica dell’URSS, in quel periodo il turismo veniva attivamente incoraggiato. Doug e Mary si rivelarono i turisti occidentali ideali, e come tali furono pubblicizzati. I due firmarono un autografo che diceva: “Siamo incantati dalla cordiale accoglienza che ci è stata riservata e affascinati dall’entusiasmo dei Russi – davvero un grande popolo.” Si dichiararono entusiasti del recente meraviglioso film sovietico Bronenosec Potëmkin (La corazzata Potëmkin), ed espressero agli intervistatori tutta la loro ammirazione per Lenin, aggiungendo anche che il loro più grande desiderio era quello di incontrare Trotsky. Naturalmente furono invitati a visitare gli stabilimenti cinematografici Mezhrabpom-Rus. In quel periodo, quasi certamente, vi si stava ancora girando Miss Mend, cosa che spiegherebbe la presenza nello studio di Sergei Komarov e di Igor Ilinsky, entrambi interpreti di primo piano del film di Ozep (completato e distribuito in tre parti nell’ottobre del 1926). Komarov e Ilinsky colsero al volo l’occasione offerta dalla solenne visita delle due star americane. Leggenda vuole che Komarov si sia fatto passare per il cameraman di un cinegiornale, il che può anche darsi, pur se, in ogni caso, non sarebbe stato affatto difficile organizzare le riprese del cruciale evento del bacio concesso a Ilinsky da Mary Pickford. Igor Ilinsky, (1901-1987) aveva raggiunto in poco tempo le vette della popolarità col personaggio di Petya Petelkin, il vincitore della lotteria protagonista della commedia Zakroishchik iz Torzhka (Il sarto di Torzok, 1925) di Yakov Protazanov, e probabilmente sarebbe stato comunque presentato, come giovane astro in ascesa, a Mary Pickford, pertanto non era sicuramente difficile organizzare un bacio e una ripresa dello stesso da usare a fini pubblicitari.
Nel corso dell’anno seguente, Komarov e il suo co-sceneggiatore Vadim Shershenevich progettarono di scrivere una storia che ruotasse attorno a quel bacio e alle immagini di folla adorante colte per le strade di Mosca.La trama che ne uscì vedeva Ilinsky nel ruolo di Goga Palkin, lo strappa-biglietti di una sala cinematografica. Goga è innamorato di Dusia, che però sogna solo i divi del cinema e gli dice che lo amerà soltanto a condizione che diventi famoso. Recatosi nello stabilimento cinematografico, dopo una lunga serie di avventure, Goga partecipa come stuntman a una scena in cui deve pendere come un impiccato dal soffitto dello studio. Sennonché, nello scompiglio provocato dall’arrivo di Doug e Mary, tutti quanti abbandonano precipitosamente il set dimenticandosi di lui. Quando i visitatori raggiungono infine il teatro, lo scorgono appeso sopra di loro: Mary stabilisce che Goga è il novello Harry Piel e lo premia con un bacio. Ora che Goga è finalmente famoso, Dusia gli concede la sua mano. La pungente ironia nel descrivere lo stile hollywoodiano e le follie degli ammiratori adoranti è resa più leggera da una benevola invidia. Goga è il tipo di personaggio maldestro che dette grande popolarità a Ilinsky. Dapprima attore di teatro, Ilinsky lavorò dal 1920 al 1934 con Vsevolod Meyerhold. Le sue discontinue apparizioni sullo schermo iniziarono sotto ottimi auspici con Aelita (id. 1924) e in seguito inclusero Kukla s millionami (La bambola milionaria, 1928), l’unico altro film diretto da Komarov, e Volga-Volga (1938) di Grigori Alexandrov. Sergei Komarov (1891-1957) fu tra gli attori preferiti di Kuleshov, Pudovkin e Barnet, sotto la direzione dell’uno o l’altro dei quali girò la maggior parte dei suoi film fino alla metà degli anni ’40. Potselui Meri Pickford uscì nelle sale il 9 settembre del 1927. I titoli russi alternativi si possono tradurre con “Il re dello schermo” (Korol ekrana) e “La storia di come Douglas Fairbanks e Igor Ilinsky litigarono per Mary Pickford” (Povest o tom, kak possorilis Dooglas Ferbenks c Igorem Ilinskim iz-za Meri Pikford). Un altro tributo ironico a Fairbanks uscì nelle sale in concomitanza con la sua visita: “Il ladro, ma non di Bagdad” (Vor, no ne Bagdadskii), una comica di un rullo su un bambino di una delle repubbliche orientali che entra in possesso di un mantello dell’invisibilità. Realizzato per il consorzio statale dei tabacchi – Lentabaktresta – al fine di promuovere la vendita delle sigarette, il film era stato scritto da Alexander Rodchenko, che ne aveva curato anche scene e costumi, e fu diretto da V. Weinberg ma, purtroppo, non ne è rimasta traccia.
Dal romanzo (1910) di Gaston Leroux. Un musicista dal viso sfigurato e coperto da una maschera, che vive nei sotterranei del Teatro dell’Opera di Parigi, rapisce una giovane cantante lirica di cui s’è innamorato. È la prima versione, forse la migliore e una delle più fedeli, del romanzo e occupa un posto a parte nella carriera di Chaney. Fu giudicato uno dei dieci migliori film americani del 1925, fece entrare molti dollari nelle casse della Universal ed ebbe una grande influenza sul cinema di spavento successivo. In un seguito quasi ininterrotto di scene di bravura, il film resiste ancor oggi per il suo clima d’incubo, il ritmo alacre della narrazione, la patina mitica di cui i decenni trascorsi l’hanno incrostato come succede, per esempio, ad altri film muti, Les Vampires o Judex del francese Louis Feuillade. Alcune scene furono girate in Technicolor bicromico. Nel 1929 fu ridistribuito in due versioni, una delle quali parlata per un terzo (con la voce di Chaney doppiata da un altro attore) e allungata di una decina di minuti con scene d’opera. A causa di contrasti tra Julian e Chaney durante le riprese il primo fu costretto a lasciare il set, sostituito da Edgard Sedgwick e dallo stesso attore. Oltre ai rifacimenti sonori successivi, esiste anche una versione cinese in due parti (1937 e 1941): Yebang gesheng (Il canto di mezzanotte) di Ma-Xu Weiban
Da una novella (1921) di W.S. Maugham e dal dramma Rain ( Pioggia , 1922) di J.B. Colton e C. Randolph, prodotto dalla società della Swanson, è il terzultimo film muto di Walsh, anche sceneggiatore e, dopo molti anni e per l’ultima volta, attore nella parte del sergente Tim O’Hara. Fuggita da San Francisco per evitare il carcere, una prostituta sbarca a Samoa, isola del Pacifico, diventa l’amante di un simpatico marinaio e attira l’attenzione di un fanatico puritano (un prete in Maugham) il cui interessamento non è soltanto spirituale. Il regista approfitta dell’assenza di dialoghi per smorzare nelle didascalie le battute più crude che, secondo i lip-readers (che leggono i movimenti delle labbra), gli interpreti pronunciano. Grazie all’atmosfera di erotismo esotico e all’interpretazione realistica della Swanson, ebbe un grande successo di pubblico e di critica. Leggere alla voce Pioggia le schede dei due mediocri film sonori derivati dalla stessa novella. L’ultimo dei 9 rulli, perduto, è stato ricostruito con fotogrammi fissi in un’edizione restaurata. Muto.
Un film di Carl Theodor Dreyer. Con Helge Nissen, Jacob Texiere, Ebor Strandin Titolo originale Blade af Satans Bog. Drammatico, b/n durata 158′ min. – Danimarca 1920. MYMONETRO Pagine dal libro di Satana valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
In quattro episodi vediamo Satana (Nissen) che, maledetto da Dio, percorre il mondo inducendo gli uomini a compiere il male; può sperare di essere liberato dalla maledizione divina solo se qualcuno gli resiste, ma pochi lo fanno. Il primo episodio racconta il tradimento di Cristo da parte di Giuda, prezzolato da Satana nei panni di un fariseo. Il secondo episodio è ambientato nella Spagna del XVI secolo: Satana è un Grande Inquisitore che esercita la sua influenza su un giovane monaco tormentato, spingendolo a commettere un orribile stupro. Il terzo episodio è collocato all’epoca della rivoluzione francese: un giovane che ha la possibilità di salvare Maria Antonietta dalla ghigliottina lascia che sia giustiziata, perché gli ricorda un misfatto che era stato indotto a commettere da Satana, qui un capo giacobino. Il quarto episodio si svolge in Finlandia, durante la guerra civile del 1918: qui Satana è un empio monaco a capo di una plebaglia di bolscevichi, che minaccia di uccidere la famiglia della telegrafista Siri, se essa non manderà un messaggio che attiri i Bianchi in un’imboscata.
Lei resiste e si uccide piuttosto che diventare una traditrice.Carl Theodor Dreyer aveva appreso il mestiere alla Nordisk, scrivendo didascalie, adattando romanzi e drammi, ed occupandosi del montaggio di gran parte dei lungometraggi della società dal 1915 al 1918. Il suo talento venne riconosciuto e gli fu pertanto concesso un sostanzioso budget per fare questo film, la più grande produzione realizzata dallo studio nel 1919. Dreyer, tuttavia, non era soddisfatto delle risorse disponibili e, dopo aver completato il film, lasciò indignato la Nordisk. Eppure, anche se la sceneggiatura è sbilanciata (il complicato episodio francese è un po’ debole), questo film ambizioso colpisce per i primi piani indagatori, i set austeri e disadorni, il montaggio teso e le composizioni attentamente centrate. La sceneggiatura era stata scritta nel 1913 dall’autore danese Edgard Høyer (l’episodio finale era ambientato in origine durante la guerra russo-giapponese); si tratta di un’opera originale e nonostante ciò che si legge in molti credits, non deve nulla al bestseller di Marie Corelli The Sorrows of Satan (1895), portato sullo schermo da D.W. Griffith nel 1926.
Stella Dallas è una giovane ragazza di provincia che subisce un forte colpo alla morte del padre. Per risollevarsi dalla sua disperazione sposa, forse troppo in fretta, l’altolocato Stephen, con il quale non ha nulla in comune. Dopo la nascita della figlia, Laurel, i due coniugi si separano e prendono strade diverse. Stephen fa ritorno a New York ma presto Stella si rende conto che sua figlia non avrà mai buone possibilità di crescere in maniera sana se resterà con una madre sola e incapace a badare a lei.
Nel 2028, i sopravvissuti all’ultima devastante guerra non sono più capaci di esprimersi in un linguaggio comprensibile. Uno scienziato proveniente da un altro pianeta scende sulla Terra ed incontra una donna. Fallito qualsiasi tentativo di comunicare, l’uomo scopre che può farsi intendere da lei mediante la danza. Si tratta del quarto lavoro firmato da Jean Renoir, che faceva forse parte del progetto per un film di più ampio respiro. Ad interpretarlo sono la moglie stessa del regista e Johnny Higgins, un ballerino americano che stava riscuotendo sui palcoscenici di Parigi un buon successo. Fantasia, semplicità e gestualità si integrano armoniosamente in questo interessante cortometraggio. Pochi minuti di cinema per proporre un discorso compiuto ed intelligente che vale il messaggio di pace e speranza proposto da tanti film (del passato e recenti) con maggiore dispiego di mezzi e trame più o meno cervellotiche.
Il racconto di Andersen permette a Renoir di concentrarsi sul dramma della piccola fiammiferaia, sul suo volto, sulla sua agonia. L’uso di trasparenze e sovrimpressioni consente la realizzazione di un clima coinvolgente.
New England, 1600 circa. Hester si lascia sedurre dal reverendo del villaggio, restando incinta. Quando torna suo marito, che lei credeva morto, viene accusata di adulterio e marchiata a fuoco con la A di adultera. Ciò nonostante, si rifiuta di denunciare il reverendo che è tra i suoi accusatori più intransigenti.
1° film di L. Buñuel, da lui prodotto (con il denaro della madre), sceneggiato (con S. Dalí) e diretto. Vi appare all’inizio come l’uomo xche affila il rasoio con cui recide trasversalmente l’occhio sinistro di una donna, una delle più celebri immagini-choc del cinema, collegata con quella della luna piena. Non c’è una “trama”, ma soltanto insinuazioni, associazioni mentali, allusioni; non c’è una logica, tranne quella dell’incubo; non c’è una realtà, tranne quella dell’inconscio, del sogno e del desiderio. Nato nell’ambiente parigino del surrealismo, è probabilmente il più celebre film d’avanguardia del mondo, anche se non il più significativo e importante. Molti gli preferiscono il successivo L’Âge d’or (1930). È il corrispettivo filmico del Primo Manifesto del Surrealismo (1924, ristampato da André Breton nel 1929) di cui condivide l’estetica di Lautréamont, l’influsso di Freud, la volontà rivoluzionaria di ispirazione marxiana con spunti presi da Buster Keaton e René Magritte. Il titolo incongruo deriva da Un perro andaluz , raccolta di poesie e prose di Buñuel, pubblicata nel 1927 sulla Gaceta Literaria di Madrid. Non è da escludere che abbia una connotazione polemica contro Federico García Lorca che nel 1928 aveva pubblicato Primer romancero gitano , accolto da molti con entusiastici elogi, ma non dall’amico Buñuel che gli rimproverava il “terribile estetismo”. Proiettato dal giugno 1929 allo Studio des Ursulines di Parigi, tenne il cartellone per molte settimane. Nel 1960 il regista-produttore ne cedette i diritti e fu sonorizzato con musiche ( Morte di Isotta di Wagner, tanghi argentini) scelte da Buñuel. L’attore protagonista, P. Batcheff, si suicidò pochi mesi dopo la fine delle riprese.
Ambientato a Parigi negli anni del Secondo Impero, il film narra di Nana Coupeau, attrice di poco talento che sogna una vita migliore, lontana dai quartieri malfamati della città. Questa possibilità le viene data dall’incontro con il Conte Muffat, il quale, caduto vittima del fascino di Nanà sul palcoscenico durante la rappresentazione di La Blonde Venus al teatro del varietà, grazie alla sua influenza (egli è il Ciambellano dell’Imperatrice) riesce a farle ottenere il ruolo da protagonista nella successiva pièce.
Mefistofele tenta il vecchio mago Faust prima con la possibilità per un giorno di compiere miracoli, poi con i piaceri della giovinezza. Faust seduce Margherita che, quando il suo bambino muore, è condannata al rogo per infanticidio. Maledetta la giovinezza e ritrasformato in vecchio, Faust sale sul rogo. Nell’epilogo in cielo l’arcangelo Gabriele annuncia che l’amore ha reso nullo il patto e ha salvato l’anima di Faust. Prodotto dall’UFA con grandi mezzi, le scenografie di Robert Herlth e Walter Röhrig e i testi di Gerhart Hauptmann (che poi Murnau non utilizzò), il film è – anche grazie alla fotografia di Carl Hoffman, l’operatore di I Nibelunghi – un grande risultato plastico anche se il suo coté medievale non è da prendere molto sul serio. L’interprete di Valentino è il futuro regista William Dieterle. “La segreta autenticità del Faust va cercata a livello figurativo, là dove Murnau rilancia – e trascende – le tensioni retoriche di Lang” (F. Savio). VEDI FAUST – Scheda monografica
Nella traccia audio ci sono diverse colonne sonore da abbinare al video.
Un goffo cameraman non riesce a combinare niente di buono: potrebbe riprendere fatti importanti se non dimenticasse di inserire la pellicola in macchina e se non sovrapponesse due filmati. Sta per abbandonare il lavoro quando una scimmietta, che ha ripreso involontariamente due scene interessantissime, gli porta il successo e l’amore di una bella ragazza.
Diviso in due parti: La morte di Sigfrido e La vendetta di Crimilde. Un grande film con lo stile classico di Fritz Lang, teso verso la poesia e la grandiosità degli spazi e delle forme che divengono un’espressione di architettura visiva. Narra delle gesta di Sigfrido, che uccide un drago e bagnandosi nel suo sangue diventa invincibile. Uccide poi il sovrano dei Nibelunghi e prende il loro tesoro. Innamoratosi di Crimilde, fa un patto con re Gunther: se Sigfrido permetterà al sovrano di sposare la regina d’Islanda Brunilde, Gunther gli concederà la mano dell’amata. Ci saranno i matrimoni, ma Sigfrido verrà mortalmente ferito alla spalla da un servo di Gunther, infatti l’eroe non si era bagnato col sangue del drago quella parte del corpo a causa di una foglia. Brunilde si suicida e Crimilde si vendicherà dopo essersi risposata con Attila.
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