Un dietro le quinte della vita di alcuni impiegati. In questo microcosmo arriva un ingenuo laureato al primo impiego, Luigi, che a poco a poco si inserisce a modo suo in questo ambiente ipocrita e fatuo. La morte (suicidio o incidente?) del suo più caro amico lo segna profondamente, ma la banca è aperta tutti i giorni. Pupi Avati ha realizzato con finezza uno spaccato della vita dei giovani d’oggi, guidando al meglio, come sempre, i bravi attori.
Chicago: Duncan Mackay conduce da tanti anni XXVth hour, un talk show molto popolare in cui si intervistano personaggi pubblici a viso aperto, ponendoli di fronte a domande molto dirette e spingendoli a rivelare fatti “scomodi”. Quando il presentatore viene trovato morto in una camera d’albergo la guida del programma passa ad Arnold Gardner, nativo di Spencer, nell’Indiana, divorziato, con due figli e un padre che fu uno stimato giudice ed è ora anziano e malato.
Pur giovane, Arnold non fa rimpiangere il predecessore, e gli ascolti battono in breve tempo tutti i record della storia della trasmissione.
Il 31 dicembre 1899 si prepara una festa di nozze in un villone della campagna emiliana, a Sasso Marconi. Figlia di un avvocato in difficoltà finanziarie, Francesca è costretta a un matrimonio di convenienza con un ricco possidente quarantenne che per testimone ha scelto il compaesano Angelo, da poco rientrato dagli Stati Uniti dove, sembra, ha fatto fortuna. Francesca lo vede ed è amore a prima vista. Ammirevole a livello descrittivo (la 1ª parte è quasi un documentario sugli usi e costumi della borghesia terriera di 100 anni fa), il film zoppica negli sviluppi narrativi. Vengono al pettine i nodi degli artifizi romanzeschi, gli errori di sceneggiatura, la discutibile scelta degli interpreti, gli spunti macchiettistici. Curata la parte figurativa, specialmente nella fotografia di Pasquale Rachini.
Bologna 1948: l’amore adolescenziale di Dado per Sandra che lo mette in conflitto con famiglia e insegnanti. Tragico epilogo 46 anni dopo. Flashback dal punto di vista del morto come in Viale del tramonto , confronto tra la Bologna (l’Italia) di una volta, quando tutto era più semplice, e quella di oggi. Minimalismo e melodramma, bozzettismo e mistero. Dopo 3 film “americani”, Avati torna alla sua Emilia, miscelando la tenerezza del rimorso e l’accidia del sentimento. Il cocktail non è riuscito.
Il segretario di Stato americano Harry (non Henry) Kissinger, idolatrato dalle donne, annuncia alla stampa la creazione di una multinazionale intesa a dispensare sesso e felicità a tutti. Un siculo-americano si reca allora a Milano con l’incarico di istituire un “bordello” per le signore milanesi. L’iniziativa riscuoterà enorme successo.
Winfried Conradi è un uomo âgée col vizio dello scherzo. Le sue buffonate colpiscono democraticamente familiari e fattorini che bussano alla porta e provano allibiti a consegnargli l’ennesimo pacco. Insegnante di musica in pensione, la sua vita si muove tra le visite alla vecchia madre e le carezze al suo vecchio cane, ormai cieco e stanco. A casa della ex moglie una sera a sorpresa ritrova sua figlia. Ines ha quasi quarant’anni e una carriera che impegna ogni ora della sua giornata. Occupata in un’azienda tedesca che l’ha traslocata a Bucarest, vive appesa al telefono e a una vita incolore, dedicata completamente alla professione e con poco tempo da spendere in famiglia. Senza preavviso, Winfried decide di farle visita e di passare qualche giorno con lei.
Luciana è una giovane immigrata spagnola a New York, che lotta per sopravvivere mentre prova a fuggire da un traumatico incidente del suo passato. Per sbarcare il lunario accetta lavori di ogni sorta: un giorno distribuisce volantini pubblicitari mascherata da pollo, un pomeriggio fa la babysitter, una sera si veste elegante per andare a una festa esclusiva, apparentemente solo per farsi guardare. Luciana dovrebbe sostituire una sua amica, che le promette “non devi far niente di ciò che non vuoi”, in cambio di duemila dollari solo per partecipare al party. Ma la serata prenderà ben presto una piega imprevista e pericolosa, e sarà troppo tardi per abbandonarla.
Tina ha un fisico massiccio e un naso eccezionale per fiutare le emozioni degli altri. Impiegata alla dogana è infallibile con sostanze e sentimenti illeciti. Viaggiatore dopo viaggiatore, avverte la loro paura, la vergogna, la colpa. Tina sente tutto e non si sbaglia mai. Almeno fino al giorno in cui Vore non attraversa la frontiera e sposta i confini della sua conoscenza più in là. Vore sfugge al suo fiuto ed esercita su di lei un potere di attrazione che non riesce a comprendere. Sullo sfondo di un’inchiesta criminale, Tina lascia i freni e si abbandona a una relazione selvaggia che le rivela presto la sua vera natura. Uno choc esistenziale il suo che la costringerà a scegliere tra integrazione o esclusione.
Nel 1944 in Belgio una compagnia di fanteria americana si trova a mal partito contro gli attacchi tedeschi per colpa di un capitano incompetente e vigliacco. Un tenente lo fa fuori prima che si arrenda. Tratto dal dramma teatrale Fragile Fox (1954) di Norman A. Brooks, adattato da J. Poe, non è tanto un film contro la guerra quanto contro coloro che la fanno male. Ancora una volta Aldrich mette in immagini i suoi temi preferiti: l’autorità perversa e insana, l’eroe schiacciato dal sistema, la debole democrazia che crede nel compromesso. Realizzato con pochi mezzi (e senza la collaborazione dell’esercito), esce dagli schemi del cinema hollywoodiano di guerra per energia, taglio rapido, gusto dell’eccesso.
Bologna, 1938. Il prof. Michele Casali, docente al Liceo “Galvani”, ama in modo assoluto la figlia Giovanna, bruttina e con problemi psicologici. La ama al punto di estraniarsi la moglie e non cessa di amarla quando lei uccide per gelosia una bella compagna di scuola. Abbandona casa e lavoro per starle vicino quando è richiusa nel manicomio criminale di Reggio Emilia dal quale esce nel 1945. È il film più “russo” di Avati, regista/produttore di lungo corso: in 40 anni 36 regie di cui 31 per il cinema. Oltre ad amare la natia Bologna, Avati ama i suoi personaggi: buoni, cattivi, ambigui, spesso impotenti e perdenti. E sa dirigere gli interpreti anche quando li usa in modo insolito o li recupera (dal passato come fa qui con la Grandi o dalla TV come Greggio). Mette in luce una giovane attrice emergente (la fiorentina Rohrwacher che ha vinto 1 David di Donatello) in un personaggio non facile che passa dai 17 ai 24 anni e impegna il veterano Orlando in un ruolo che è complesso più che ambiguo, visto che risulta negativo come padre, proprio nella misura in cui stravede per la figlia. È un personaggio estremo come, meglio di molti critici, ha capito la giuria internazionale di Venezia 2008 che l’ha premiato con la Coppa Volpi.
Un film di Hal Ashby. Con Jane Fonda, Jon Voight, Bruce Dern Titolo originale Coming Home. Drammatico, durata 127 min. – USA 1978. – VM 14 – MYMONETRO Tornando a casa valutazione media: 3,21 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Allo scoppio del conflitto nel Vietnam, un ufficiale americano parte per la guerra. Sua moglie, infermiera volontaria, conosce un reduce paralizzato del quale si innamora. L’uomo, fervente assertore del non-intervento, è sorvegliato dall’Fbi che mette al corrente l’ufficiale della relazione dell’infermo con sua moglie.
Angelino ha 35 anni e, dopo la morte della madre, vive con il padre Peppino. Angelino non ha un lavoro, non ha desideri e non ha una ragazza. La sua vita trascorre tra le richieste del padre, che lo vorrebbe impegnato in un’attività e magari anche sposato, e un triste bar. Intorno a loro un grigio inverno che muta i colori della Sardegna, una radio che trasmette prediche religiose e una situazione economica in cui la crisi domina. Bonifacio Angius riesce a centrare in pieno l’obiettivo di realizzare il primo lungometraggio di finzione realizzando un ritratto complesso e amaro di una condizione esistenziale che è al contempo radicata nel territorio portato sullo schermo (un angolo di Sardegna) e rappresentativa di miriadi di situazioni analoghe italiane e non. Perché Angelino non è lo scemo del villaggio, non è un depresso né tanto meno un bamboccione da stereotipo socioeconomico.
Soffre piuttosto di un autismo sociale che non gli impedisce di porre e di porsi domande (solo apparentemente banali) che vanno ad impattare contro un muro di gomma che persegue l’indifferenza come obiettivo auspicabile. Anche quando sembra che la vita gli scorra sopra senza lasciare traccia nel suo intimo impermeabile a qualsiasi evento non è così. Angelino in realtà soffre per un rapporto con una figura paterna che lo ha avuto al fianco senza accorgersi di avercelo. Perché Peppino è un padre che ha svuotato nell’intimo la consorte e che non sa neppure che cosa ha o non ha condiviso con il figlio. A questo si aggiunge una distorta proposta della religiosità vista solo dal punto di vista del giudizio e della possibile punizione. Tutto quanto è stato quasi congelato nel lasciarsi vivere del giovane uomo avrà però modo di emergere con una grande lucidità che Angius sa cogliere con profonda partecipazione riuscendo però a non trascurare di innervare la sua sceneggiatura con una dolente ironia
In una fabbrica di pigiami un’operaia canta e balla così bene da far perdere la testa al direttore. Contrastano questo sentimento rivendicazioni salariali e lotte interne tra i lavoratori e direzione, ma alla fine i buoni sentimenti hanno la meglio, come in ogni favola che si rispetti.
Eureka è un film del 2000 scritto e diretto da Shinji Aoyama. Presentato al Festival di Cannes 2000, ottenne la nomination per la Palma d’oro e vinse il Premio FIPRESCI e il Premio della Giuria Ecumenica.
In piccolo paese del Kyūshū un mitomane dirotta un autobus e giustizia quasi tutti i passeggeri. Scampano al massacro soltanto in tre: l’autista (il signor Sawai) e i giovanissimi Kozue e Naoki Tamura, fratello e sorella.
Le cinque giornate sono quelle di Milano (18-23 marzo 1848), ma raccontate alla rovescia: delinquente da strapazzo e panettiere sono coinvolti nei moti contro il dominio austriaco. In cadenze di balletto crudele, sghignazzante e qualunquista, il film oscilla tra fascismo e Potere Operaio. È fascista a livello espressivo, estremista a quello ideologico, confuso su entrambi. Sceneggiatura di D. Argento, Luigi Cozzi, Vincenzo (Enzo Ungari) e Nanni Balestrini.
Film in 3 episodi. “Il filo pericoloso delle cose” (scritto da Tonino Guerra – 29′). Un uomo litiga con la compagna e fa l’amore con una vicina di casa. Le due donne s’incontrano nude sulla spiaggia. Imbarazzante recupero di cascami anni ’60: “un pallido catalogo turistico di luoghi antonioniani” (A. Pezzotta). Induce a una domanda etica: c’è stata a monte una speculazione o una manipolazione a spese di un novantenne e del suo passato? Girato, si dice, nel 2002. “Equilibrium” (scritto da Soderbergh – 27′). Un uomo racconta i suoi sogni erotici a uno psicanalista distratto e guardone. Ma è tutto un sogno. Prolisso e pretenzioso, un giochino fuori tema, frettolosamente messo in immagini. Divertente. E allora? “La mano” (Scritto da Kar-wai – 42′). Un sarto s’innamora di una prostituta, sua cliente, e continua ad amarla in silenzio per anni. Quasi una protesi di 2046 : linguaggio, atmosfere, attori, ambienti, meccanismo narrativo sono i medesimi. Con masturbazione iniziale e finale. Per entrambi i film, il sospetto di manierismo autoriale è legittimo. Ha il vantaggio della breve durata.
È la vera storia di Woody Guthrie, cantante e suonatore di chitarra. Siamo nel 1936, l’America sta vivendo il momento drammatico della grande crisi. Guthrie raggiunge gli stati del sud e si unisce a una squadra di disperati come lui. Lotta con loro per un migliore trattamento nel lavoro. Viene scoperto dal padrone di una radio; col suo talento potrebbe aver successo se si integrasse, ma preferisce sostenere con le sue canzoni le lotte dei lavoratori.
Yasuko, Yoichi, Koichi e Bill sono quattro studenti delle scuole superiori che cercano di sfuggire, indulgendo nel sesso di gruppo, a uno schiacciante senso di alienazione che li allontana dal mondo intorno a loro, tutto per vedere se siano in grado di emanciparsi dalle corruzioni della società adulta. Dopo aver rivelato di aver avuto una relazione con la sua insegnante, Yasuko si sente come una prostituta, perché è come se avesse ridotto il sesso a una transazione economica piuttosto che a qualcosa che ha a che fare con il piacere. Inizia allora un’odissea che ha come obbiettivo l’esplorazione di sé.
Emilio, un ragazzo di quindici anni, assiste ad un attentato e riconosce nel terrorista rimasto ucciso un allievo di suo padre che era recentemente venuto a far visita a casa sua con un’amica. Decide allora di raccontarlo alla polizia, ma il padre lo rimprovera. Qualche tempo dopo incontra anche la ragazza e ne parla al padre insistendo affinché lei si costituisca. Il padre non gli dà retta ed Emilio scoprirà il perché: li trova insieme e insieme li farà arrestare.
Il sax Gianca (Briguglia) e la tromba Nick (Santamaria) s’incontrano nel 1994 a Umbria Jazz e diventano amici per la pelle, cioè per il jazz, ma presto il primo si rende conto che soltanto l’amico ha talento. Si consola sposando la fulva ragazza (Puccini, già Elisa di Rivombrosa ) che entrambi corteggiano. E si rassegna alla quieta routine di commercialista. I tre si rincontrano dieci anni dopo a un concerto bolognese di Nick e riallacciano il loro rapporto sulla scia di un motivo musicale, composto in passato da Gianca, intitolato Ma quando arrivano le ragazze? Quando il bolognese Avati ritorna al jazz, suo amore di gioventù (verso la fine degli anni ’50), si può stare tranquilli: parla di sé stesso con tenerezza, un po’ di malinconia e molta nostalgia, questo sentimento che si nutre di amnesie più che di ricordi. Come certe canzoni d’amore di cui fece l’elogio Truffaut, è un film che dice poco, ma lo dice bene, con grazia un po’ ruffiana. E con l’assolo del recuperato Dorelli (non a caso suo coetaneo) fa centro. David di Donatello alle musiche di Riz Ortolani.
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